Disabilità sensoriali

Diabete: un paziente su 3 a rischio cecità

La retinopatia diabetica è in continuo aumento. Ma con un percorso di prevenzione, cura e riabilitazione può essere fermata. A Roma, un incontro tra esperti per sensibilizzare pazienti, medici e istituzioni.

IL 30% dei pazienti diabetici rischia di perdere la vista. A causa della retinopatia diabetica: una complicanza della malattia che però oggi è intercettabile nei pazienti a rischio e perciò, soprattutto, prevenibile. È questo il messaggio lanciato dal secondo Forum Nazionale sulla patologia “Retinopatia diabetica: una lotta possibile”, svoltosi oggi al Senato, promosso dall’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità (Iarb Italia onlus) e dalla rivista di economia e politica sanitaria Public Health Policy, con il patrocinio del Senato della Repubblica, del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità. L’intento dell’incontro è proprio quello di lanciare un appello e una sollecitazione per un’azione uniforme al mondo della politica e delle Istituzioni: non c’è, infatti, ancora una risposta sanitaria adeguata a contrastare la crescente diffusione delle retinopatia diabetica, patologia che oggi nel nostro paese interessa oltre un milione di pazienti e che potrebbe generare, secondo uno studio condotto dal Ceis-Università di Roma Tor Vergata, un aumento della spesa sanitaria di 4,2 miliardi di euro nei prossimi 15 anni.

Retinopatia diabetica, questa sconosciuta. Questa patologia è ancora oggi sottovalutata, anche dai pazienti diabetici stessi, che, pur sapendo che la loro malattia cronica può portare a una compromissione dell’occhio, tendono a non preoccuparsene finché non ne accusano i primi sintomi. Nel momento in cui si manifesta, però, potrebbe già essere troppo tardi, in quanto se non presa in tempo questa patologia porta a cecità o all’ipovisione. “Sensibilizzazione, diagnosi precoce e riabilitazione sono le tre parole chiave della nostra azione”, spiega Giuseppe Castronovo, presidente di Iapb Italia Onlus, “per ridurre il numero ancora oggi insostenibile dei pazienti diabetici colpiti da complicanze visive. Parliamo di circa il 30% dei pazienti”.

L’importanza della prevenzione. Il diabete, e quindi anche le sue complicanze come appunto la retinopatia diabetica, sono patologie che vanno intercettate precocemente per mettere in atto tutte le strategie idonee e contenerne così l’impatto. “Nel caso della retinopatia occorre lavorare su una diagnosi precoce, dal momento che questa condizione è complessa e fatta di molti stadi, alcuni dei quali possono portare a una serie o una totale compromissione della vista”, spiega Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale (Simg). “Si dovrebbe partire dallo screening retinografico, che in futuro dovrebbe essere eseguibile già presso l’ambulatorio del medico di base, e poi refertato da un oculista, perché senza integrazione non si va da nessuna parte”. Oggi ancora molti pazienti sono sotto-diagnosticati: solamente l’11% dei pazienti viene sottoposto a una visita oculistica. Una percentuale veramente molto bassa, se si pensa che lo screening retinografico può prevenire il 98% del calo dell’acuità visiva nei pazienti. “Bisogna agire sensibilizzando”, spiega Castronovo. “È fondamentale, infatti, arrivare a una diagnosi di retinopatia diabetica in tempo utile per affrontarla”.

La riabilitazione visiva. La retinopatia è la prima causa di cecità e ipovisione in età lavorativa nei paesi sviluppati: solamente in Italia si contano 362 mila non vedenti e oltre un milione di ipovedenti a causa di questa patologia. “La retinopatia diabetica non è correggibile né con gli occhiali né con interventi chirurgici”, spiega Simona Turco, oculista del Polo nazionale di servizi e ricerca per la prevenzione della cecità e riabilitazione visiva, presso il Policlinico Gemelli di Roma. “Per cui, nei pazienti ipovedenti più o meno gravi, si deve iniziare un percorso di riabilitazione visiva, che consiste nell’insegnare e addestrare il paziente a sfruttare al meglio quelle che sono le aree retiniche ancora funzionanti, con l’obbiettivo principale di migliorare la qualità di vita, non solo attraverso il recupero di un migliore livello fisico, funzionale, cognitivo e psicologico, ma anche attraverso il ripristino delle relazioni sociali”. La riabilitazione visiva, quindi, viene fatta successivamente a una valutazione complessiva del soggetto, in cui si prende in considerazione non solo l’aspetto visivo ma anche la motivazione del paziente. “È un percorso personalizzato, in base al habitus psicologico del paziente, le sue richieste, aspettative e la condizione visiva”, continua l’esperta. La limitazione visiva è una condizione molto particolare, che non rimane confinata solamente alla vista, ma compromette il funzionamento globale dell’individuo, limitandolo in maniera più o meno grave nella sua quotidianità, fino ad arrivare a condizionarne pensieri, azioni e modi di relazionarsi. “La presa in carico di queste persone deve essere globale – precisa Turco – con il susseguirsi di figure professionali come lo psicologo, oculista, ortottista, ottico, diabetologo, neurologo”. Per rendere la riabilitazione il più possibile efficace, il paziente deve essere parte attiva del proprio percorso di cura. “La perdita della vista è vissuta dal paziente come la perdita di una parte di sé”, conclude l’esperta. “Tra diabete e depressione esiste un rapporto di bidirezionalità, in cui il paziente diventa così portatore di una triplice disabilità, ovvero diabete, retinopatia diabetica e depressione. La riabilitazione in questi pazienti, così complessi e fragili, diventa una vera e propria sfida”.