Disabilità sensoriali

“Dentro la vita”: viaggio nel romanzo di Flora Caruso

Che la realtà possa superare la fantasia è certamente noto ma, in quali termini possa accadere, come nel caso di Dentro la vita, il libro autobiografico di Flora Caruso, è davvero inimmaginabile. dentrolavitaUn’infanzia felice quella di Flora che declina progressivamente, in pochi anni, verso il buio di una grave retinopatia congenita fino ad arrivare all’oscurità di una violenza sessuale subita nel corso dell’adolescenza. Una vita ricca di eventi, densamente vissuta nella unicità del complicato, ma meraviglioso, contesto della città di Napoli, nella quale l’autrice nasce nel 1957 e vive attualmente. Consigliere dell’Unione Italiana Ciechi, tre mariti, due figli, molte amiche, viaggi, sport, attività sociale, ma anche conviventi violenti e truffatori. Come osservato nella Prefazione dalla filosofa Esther Basile, con questo libro Flora affronta un “…viaggio dentro un romanzo, il romanzo della sua vita”, narrandola attraverso minuziose e, talvolta, crude ricostruzioni che ci raccontano il passaggio dalla luce al buio della cecità grazie alla quale, però, da non vedente ha imparato a guardare…

Flora, nella copertina del libro ha voluto evidenziare questa frase: “Non posso vedere ma posso guardarti”, cosa significa?

La repentina privazione della vista che mi ha strappato dal “mondo visibile”, mi ha insegnato, mio malgrado, a “guardare” laddove, troppo spesso, il vedente non si spinge. E, andando oltre, ho acquisito una consapevolezza del mondo che mi consente, ogni giorno, di vivere dentro la vita.

Improvvisamente Flora s’interrompe e, dopo qualche secondo di silenzio, con tono fermo e deciso, prosegue.

Non sono più spettatore della mia vita. Alla cecità mi sono adattata ma certamente mai rassegnata. E` con l’adattamento a questa nuova condizione che sono riuscita a sottrarmi ad una più pericolosa oscurità, quella della depressione.

Ripercorrendo la sua vita, introduce il lettore nel mondo dei non vedenti con sfumature inaspettatamente molto divertenti, come le tre cieche alle prese con i coriandoli, piuttosto che la fettina di carne confusa per un panno per spolverare. Quanto ha pesato la condivisione della sua condizione con altre persone non vedenti?

Direi che e` stato determinante. In una prima fase della malattia sono stata ostile al mondo dei ciechi perché non accettavo la mia condizione, la rifiutavo, punto e basta! Ad un certo punto mi decisi e mi recai presso l’Unione Italiana Ciechi dove, mentre ero completamente smarrita – non solo fisicamente – un giovane insegnante di nome Riccardo, totalmente cieco – mentre io, invece, avevo ancora un piccolo residuo visivo – con passo deciso, senza esitare, mi accompagnò nella stanza del direttore. Incredibilmente, lui, in una condizione sfavorevole rispetto alla mia, si muoveva come un vedente. In quell’occasione compresi chiaramente che la qualità della mia vita avrebbe potuto essere ben diversa. Ed, in effetti, lo e` stata perché l’adattamento alla mia condizione mi ha illuminato la strada da percorrere per “imparare ad essere cieca” prima di divenirlo del tutto.

La città di Napoli, una città del sud, assume chiaramente un ruolo pregnante nella sua vita di donna cieca portandola, anche se indirettamente, a contatto con il mondo della camorra. Come hai vissuto quegli anni?

Sono stati anni vissuti intensamente, una palestra di vita. A tratti mi sono addirittura sentita più fortunata di alcune donne vedenti, succubi di situazioni familiari di arretratezza culturale, radicate in habitat ancora più infimi. Immaginate, poi, se la donna in questione e` anche cieca! Mi riferisco alle mie amiche di sempre, Vicky, Adriana, Luana…mi hanno dato e continuano a darmi moltissimo. Da Vicky c’e` tutto da imparare. Una donna che e` riuscita a lasciare un marito camorrista e a salvare i propri figli. Adriana che, preso il cosiddetto toro per le corna, decidendo di denunciare un marito ubriacone e bugiardo, è stata stuprata da un operatore di giustizia. Luana, affetta dalla più crudele delle cecità, quella dei medici. Curata per anni per una demenza precoce mentre, invece, un meningioma (totalmente ignorato) cresceva nella sua testa facendola diventare cieca con l’ulteriore perdita del gusto e dell’olfatto a 48 anni. Tutto evitabile se il meningioma fosse stato rimosso prima.

Anche il mare e` un  elemento importante della sua vita. Le vacanze felici, il primo bacio, il marito marinaio e persino un’immersione a più di 20 metri di profondità.

Il mare e` quasi un richiamo ancestrale, la vita per me. Mi sono sentita nascere quando ho fatto l’immersione in quel mondo fluido, senza barriere dove, finalmente, mi sono sentita libera, senza quella che noi ciechi definiamo la “paura del muro” che ci fa stare sempre un po’ ritratti, rigidi, insomma. Una volta, invece, ci stavo per morire; mentre nuotavo le cinghie di una specie di giubbetto salvagente, facendomi effetto cappio mi tirarono sott’acqua, ero quasi morta e, quando sono stata riportata a galla, mi e` sembrato di rinascere.

Le condizioni di salute di suo padre (epilettico e cieco) per lunghi periodi lo costringevano lontano dalle mura domestiche ma, ciononostante, in relazione alla sua cecità sembra abbia svolto un ruolo preminente rispetto a quello di sua madre.

Si, e` cosi. Papà, facendo il panettiere lavorava la notte ed era più facile che fosse con noi bambine di giorno. Mamma era infermiera con turni estenuanti, giorno e notte. Ma in effetti lei era sicuramente più cupa ed introversa di papà che, invece, era più allegro ed espansivo. Lui è stato di grande supporto, un riferimento per me. Mamma ha sempre rifiutato la mia cecità che, invece, per papà non era un problema, lui ci conviveva chiedendo sempre aiuto. Ma in quegli anni non avevo capito che lui era cieco, perché mamma giustificava tutto con: “papà non vede bene” mentre la realtà era ben diversa.

Se oggi incontrasse la sua vecchia insegnante di matematica che la invitò a lasciare la “scuola per ragazzi normali” mentre le era stata fornita la diagnosi di “cecità isterica”, insomma frutto di un capriccio della psiche, rispetto alla quale era attesa la guarigione, cosa le direbbe?

Le direi che essere insegnante significa anche aiuto alla crescita e non solo didattica.

All’istante, aggrottando le sopracciglia, lo sguardo le si fa cupo e severo.

Fu davvero un messaggio diseducativo. Persone cosi dovrebbero tenersi alla larga da qualsiasi forma d’insegnamento. Oggi, il ruolo degli insegnanti di sostegno è di assoluta importanza, hanno una grande responsabilità e devono essere ben preparati. Purtroppo, però, troppo spesso, i corsi di specializzazione sono frequentati superficialmente e soltanto per avere qualche punto in più in graduatoria.

Dopo tanti anni, per la prima volta, attraverso il libro, ha deciso di denunciare l’incontro con “l’uomo nero”. Si e` pentita di non averlo fatto prima?

Certamente, moltissimo. La mia vita sarebbe stata indiscutibilmente diversa! Magari non mi sarei sposata a 15 anni perché avrei naturalmente lasciato quel ragazzo al quale, invece, mi sono aggrappata, per paura di restare sola dopo quello che mi era accaduto. Ma ero piena di sensi di colpa: mia la colpa di aver voluto sciogliere i capelli, di aver voluto indossare la minigonna, di essere passata dove mi era stato detto di non passare. Papà sarebbe morto di crepacuore e mamma forse mi avrebbe gonfiato di botte per la vergogna che avrei rappresentato. Ma ora lo so, ho certamente sbagliato, le violenze vanno denunciate.

Il “primo riscatto” è stato quello di riuscire ad entrare nel mondo del lavoro dopo il conseguimento del diploma di qualifica per centralinisti non vedenti. In quali altri ruoli, oggi, un cieco può riscattarsi? Nel corso degli anni si sono create nuove possibilità di impiego per i non vedenti?

Si, oggi la figura del centralinista è praticamente scomparsa, non serve più. La tecnologia svolge un ruolo molto importante creando maggiori possibilità di accesso al lavoro come ad esempio nel campo dell’informatica, delle lingue, dell’insegnamento. Ma bisogna studiare e formarsi per prepararsi adeguatamente al mondo del lavoro, la cecità non può essere un alibi. Era vero nel passato e lo è, tanto più, oggi: non ci sono spazi per coloro che non s’impegnano. Il nostro Presidente dell’Unione Italiana Ciechi di Napoli è un esempio lampante: laureato in giurisprudenza ed impiegato nel settore informatico presso l’Università.

Lei sostiene che i preconcetti verso la cecità possono sfociare in un eccesso di protezione oppure in un rifiuto, più o meno manifesto. Ad oggi, quali dei due comportamenti ha  maggiormente registrato?

Nella mia personale esperienza alla fine ho registrato maggiormente atteggiamenti di rifiuto per paura o per egoismo. Troppo difficile confrontarsi con un problema complicato da gestire, mentre i propri problemi sono al centro dell’universo. E` per questa ragione che tocca a noi andare incontro agli altri del “mondo visibile” per accompagnarli delicatamente nel nostro mondo. Ma la sofferenza peggiore, che maggiormente subisco, è senz’altro l’indifferenza, la chiusura mentale rispetto alla quale nulla si può.

Vivere Dentro la Vita ed esserne protagonisti è la sua arma per sconfiggere la cecità?

Vivere dentro la vita non serve a sconfiggere soltanto la cecita` ma, soprattutto, a riappropriarsi di se stessi per non subire passivamente gli eventi ed avere, quindi, una visione globale del mondo. Vivere dentro la vita è la cosa migliore che tutti possiamo fare, vedenti e non vedenti.

Fonte: osservatoreitalia.it