Disabilità sensoriali

L’impianto cocleare e la “cultura sorda”

Una storia sul duplice status della sordità (disabilità e identità culturale) racconta la complessità di un lungo dibattito, e le sue implicazioni per alcuni genitori

impianto cocleare

Derek e Christine Reid sono i genitori di Ellie, una bambina di tre anni e mezzo con una sordità profonda la cui diagnosi è stata ipotizzata dopo un test uditivo, nei primi giorni di vita di Ellie, e confermata con un esame più approfondito tre settimane più tardi. Si ritiene che oltre il 90 per cento delle persone nate con questo genere di deficit sensoriale abbia genitori con un udito normale, come nel caso dei Reid. In seguito alla diagnosi, e a fronte dell’inefficacia delle protesi acustiche per il caso di Ellie, i Reid hanno dovuto prendere in tempi relativamente stretti una decisione che si pone per tutti i genitori nella loro situazione: se sottoporre Ellie a un intervento chirurgico per impiantare una coclea artificiale, e poi pianificare un trattamento logopedico per l’apprendimento della lingua scritta e parlata; o se considerare da subito la lingua dei segni – a loro completamente sconosciuta – la lingua “naturale” destinata a Ellie; o se provare a fare entrambe le cose, seguendo un modello “bilingue”.

I Reid vivono a Braintree nel Massachusetts, una ventina di chilometri a sud di Boston. La loro storia è simile a quella di altre famiglie ed è stata raccontata dalla giornalista scientifica americana Sujata Gupta per Matter, un magazine online di scienza e tecnologia pubblicato sulla piattaforma “Medium”. In passato Gupta ha anche scritto e lavorato per riviste di settore come Nature, New Scientist e Scientific American, e per un pubblico più vasto su New Yorker e Wired.

Di cosa parla questa storia

L’articolo descrive diversi aspetti di un vasto e trasversale dibattito esistente anche in Italia: quello che riguarda il trattamento della sordità sul piano sociale e la considerazione della lingua dei segni, tenuto conto della profondità storica e della produzione artistico-culturale dei gruppi che apprendono e utilizzano questa lingua. Alcune di queste persone reputano oggi ostile e dannoso nei confronti della loro minoranza linguistica il fatto che diversi genitori udenti, ritenendo la sordità dei loro figli un deficit a tutti gli effetti, decidano in molti casi di ricorrere all’impianto cocleare e di sottrarre se stessi e i propri figli all’apprendimento della lingua dei segni, causandone – volontariamente o involontariamente – un progressivo impoverimento.

I numeri sulla sordità in Italia e negli Stati Uniti

Anche causa della complessa stratificazione del fenomeno e delle oggettive difficoltà nelle rilevazioni su larga scala, non esistono statistiche univoche e sufficientemente aggiornate sulla sordità. In Italia, secondo i dati citati più frequentemente, le persone sorde sono in un numero compreso tra 60 mila e 70 mila (perdite dell’udito più o meno gravi, in generale, interessano invece molte più persone: circa l’8-10 per cento della popolazione, in diverse fasce d’età). Negli Stati Uniti le persone con problemi di udito sono oltre 38 milioni (circa il 13 per cento della popolazione) e quelle tecnicamente sorde – non in grado di ascoltare una voce in modo comprensibile – sono almeno 550 mila. Circa 250 mila sono le persone che utilizzano la lingua dei segni.

Le cause della sordità non sono ancora del tutto chiare: esistono sordità ereditarie, pre e postnatali; sordità acquisite, a causa di malformazioni congenite, tossiche o dismetaboliche; e sordità “perinatali”, cioè subentrate alla nascita a causa di traumi, parti prematuri o altre complicazioni.

La diagnosi precoce di Ellie

Due giorni dopo la sua nascita, Ellie fu sottoposta da un tecnico del personale ospedaliero a uno screening audiologico (un’indagine per una diagnosi precoce) per rilevare eventuali deficit uditivi: pur non essendo doloroso, viene preferibilmente fatto mentre il neonato dorme, ma in questo caso la neonata era sveglia. Il tecnico inserì nel condotto uditivo esterno delle orecchie di Ellie due piccoli auricolari: emettono un suono prolungato e, perché il test sia superato, devono registrare la risposta della coclea, una delicata parte dell’orecchio interno – a forma di chiocciola – che percepisce il segnale acustico e lo traduce in impulso nervoso. Nel caso di Ellie l’apparecchio non registrò alcuna risposta. Continua……..

Fonte: ilpost.it

(s.c./s.f.)