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La famiglia cambia, la pubblicità non se accorge

Nei messaggi e negli spot sembra ancora vincente un modello superato dalla vita di tuti i giorni. E il popolo del Web non perdona.

famigliaPubblicizzare un nuovo piatto? Pasta? Un surgelato? Ecco che appare magicamente una famiglia a tavola. In cucina, in terrazzo, in soggiorno ecco che mamma, papà, due bambini, solitamente tra i cinque e gli otto anni, rigorosamente maschio e femmina, plaudono questo o quel piatto. D’altra parte, che cosa esalta di più il lancio di un prodotto alimentare se non incorniciarlo nell’atmosfera festosa di un pranzo della domenica in famiglia? Ma aziende e agenzie hanno un problema, anzi più d’uno. I pranzi della domenica si fanno sempre più rari, e spesso si chiamano brunch; la famiglia, o meglio quel modello famigliare, come unico riferimento è solo una parte di un mondo ormai molto più vasto e sfaccettato.

“L’equazione ‘famiglia con figli = famiglia’ è sempre meno valida, con la conseguenza che sempre meno persone e famiglie si riconoscono con le immagini proiettate dalle pubblicità” spiega Federico Capeci, chief digital officer e Ceo Italia di TNS, in un articolo su Mark Up di Giugno. Un fatto che si può verificare guardandosi intorno: solo il 52,7% dei nuclei ha figli (fonte: Istat) e, tra questi, il modello classico c’è ma come quello di famiglia allargata che contempla figli da matrimoni diversi, poi ci sono le coppie, gay o etero, senza figli (31,4%), i single giovani e i single anziani, gli amici che condividono casa, spese e vita sociale, le coppie anziane e in aumento le famiglie monogenitoriali (15,9%)…

Non solo, a complicare ancora di più la vita di pubblicitari &Co, la responsabile d’acquisto, target primario di qualsiasi comunicazione dei beni di consumo, si è a sua volta moltiplicata in tanti e diversi modelli e non sempre al femminile: crescono infatti le famiglie mantenute solo dallo stipendio delle donne (oggi al 13,5%) complici l’aumento seppur minimo dell’occupazione femminile (+0,6%) e la disoccupazione maschile (6,3%) “La famiglia funziona come un social network, è mobile e aperta – sostiene Capeci – Non esiste più un opinion leader, la scelta viene fatta da chi è in possesso di maggiori informazioni”.

In più, chi sbaglia viene punito perché al consumatore non sfugge nulla: le distonicità dei messaggi tradizionali vengono colte dalla rete che, con un ruggito 2.0, le ripudia in massa. L’esempio più recente è quello della pubblicità Versace: due modelle, Gigi Hadid and Karlie Kloss, una ventunenne, l’altra ventitreenne con ognuna due bambini tra i due e i 6 anni e un marito di colore al braccio, spingono carrozzine. In passato, nessuno avrebbe fatto una piega, anzi si sarebbe plaudito alla multirazzialità dell’adv; oggi, invece, la campagna è stata massacrata mediaticamente perché letta come un messaggio che istiga le minorenni ad avere figli a 15 anni.

Un’esagerazione? Forse, ma certamente per chi dà brief alle agenzie, anche quelle titolate (nel caso Versace il fotografo altro non è che la star Bruce Weber) si pone un problema: “Dovremmo cercare altre rappresentazioni – spiega Capeci – I meccanismi che creano una famiglia non dipendono dagli specifici componenti, ma da ciò che li lega, che, in sintesi, è una relazione emotiva fondata sul trasferimento di valore tra i componenti. Quindi, tutto ciò che parla o che favorisce il trasferimento di valore tra persone, legate da una relazione emotiva, parla alla famiglia; alle tante famiglie, oggi, presenti nel mercato”.

Il suggerimento di Capeci per orientarsi è comprendere quale valore il prodotto sia in grado di promettere e cercare di approfondire con quale leva voglia conservare o amplificare le relazioni tra quelle persone unite da coabitazione. “Significherà magari riprendere le vecchie comunicazioni sulla famiglia di 20 anni fa e applicare gli stessi codici per una nuova comunicazione al target ‘amici’? Magari si, perché no?”. Ancora una volta oggi non è più l’etichetta a contare ma la relazione: l’amore, così come la famiglia, ha tanti volti e non ha più un solo nome. E’ necessario che anche la pubblicità lo ricordi.

Fonte: repubblica.it

  • Aggiornato il 22 Giugno 2016