Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Architettura del palazzo

Una folla di statue ed uno stemma: Simone Boucheron

In tale incisione infatti se già incontriamo, unico nuovo elemento, l'attíco (la "lunga serie di balaustri", direbbe il Craveri), che tuttora sovrasta il robusto cornicione, più non scorgiamo traccia delle lussureggianti volute, delle conchiglie, dei mascheroni, dei medaglioni, che s'aggrappavano ai timpani delle finestre dei due piani distruggendone la monotonia. viceversa, ancora vi troviamo minuziosamente definita la folla di statue, che avrebbe dovuto schierarsi lungo l'intero prospetto, statue che supponiamo non siano mai state modellate in creta, giacché, nell'ipotesi contraria, comparirebbero almeno sui rami intagliati nei decenni seguenti, con finalità scopertamente turistiche ed illustrative, che necessitavano logicamente degli osservatori attenti e puntuali.

Rimasero, perciò, vuote per oltre un secolo e mezzo le due alte nicchie fiancheggianti l'arcata centrale del portico e destinate ad accogliere due turgidi simulacri, ritraenti Madama Reale e Carlo Emanuele.

Eugenio di SavoiaPalazzo Civico esterno

Intorno al 1826 il Sindaco M.se Tancredi Falletti di Barolo, vi pose un paio di fontanelle, alimentate dalla non lontana sorgente di S. Barbara. Soltanto nel 1858, gl'intercolunni vennero riempiti per í1 munifico dono del banchiere Cav. Giovanni Mestrallet il quale offerse al Municipio i due monumenti esaltanti, l'uno il Principe Eugenio di Savoia Soissons, colto, scrive tortuosamente Nicomede Bianchi, nell'atto "di dare con maturità di consiglio,l'ordine per l'assalto alle trincee occidentali nemiche", l'altro, il Duca Ferdinando di Savoia Genova, mentre : "impugnata la spada dà il comando dell'assalto alla baionetta ai suoi soldati, slanciandosi risolutamente alla loro testa".

Opera di scultori pervenuti presso i contemporanei a solida fama, Silvestro

Ferdinando di SavoiaPalazzo Civico esterno
Simonetta, da Cambiasca, e Giuseppe Dini, novarese, queste statue, sebbene mal s'accordino fra loro, per il concitato gestire, che impedisce pure un armonico inserimento nelle massicce strutture sorreggenti la loggia centrale, rivelano, tuttavia, una vitalità intensa, scaturita sicuramente da un impulso sincero ed autentico. Rimasti pertanto sulla carta tutti i busti, i medaglioni, i loricati guerrieri, immaginati nel progetto del Lanfranchi, l'unica sovrapposizione scultorea che arricchisse la fronte del palazzo, quasi sfiorando l'attico, era l'elegantissimo c: dovizioso stemma, perpetuante, tramite un'austera scritta latina, il ricordo del l'imeneo di Carlo Emanuele con la "Colombina d'Amore", ed additato frequentemente come un capolavoro di tecnica artigianale d'alto livello, attorno cui avevan prodigato ogni più geloso segreto del mestiere due "firme" come Simone Boucheron, giunto da pochi anni da Tours, e Michele De Fontaine, di Rouen, destinati ad alte cariche per la eccelsa perizia.

Il Boucheron difatti morirà in Torino nel 1681, (riposa nella chiesa di S. Maria degli Angeli), col grado di "Mastro della fonderia ducale", mentre al De Fontaine, patenti emanate il 1° settembre 1667 avrebbero conferito la dignità di: "Intagliatore generale e direttore degli ordegni delle stampe di tutte le monete... valle zecche di S.A.R. di qua de' monti".

Ogni sera quando ai rintocchi dell'Ave Maria, battuti dalla campana maggiore della Torre, due grandi torcie venivano accese ai lati dell'Ingresso d'onore, anche la metallica criniera dei "lioni" che sostenevano lo scudo crociato biondeggiava per qualche breve istante. Nel 1799 al primo scatenarsi del furore giacobino, stemma, scritta, liane vennero gettati in piazza e distrutti coscienziosamente.

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