Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Amministrazione nei secoli

Com'era retto il Comune di Torino nei secoli passati

Sulle origini del Comune di Torino, le voci degli storici si intrecciano discordi e contrastanti. I frutti delle ricerche di Luigi Cibrario le ricondurrebbero al secolo VIII. A quell'epoca, come si riscontra da un documento dell'827, la nostra Città fu retta da "Scabini". Soltanto però alla morte della Marchesa Adelaide di Susa, approfittando della caotica situazione, scaturita dal dissolvimento del vastissimo patrimonio della consorte di Oddone di Savoia, potè rendersi autonoma, dando al proprio governo una struttura democratica. Democratica, si intende, nell'accezione puramente medioevale del termine che ignorava quasi del tutto il concetto di rappresentanza politica, giacchè l'unica forma di rappresentanza, allora conosciuta, era quella delle classi sociali, o delle arti e mestieri, inquadrate nelle rispettive Corporazioni.

Coll'affermarsi delle magistrature comunali, anche a Torino governarono i "Consoli", dei quali si fa per la prima volta menzione in un documento del 13 luglio 1147. Il loro numero era vario a seconda degli anni come varie erano le funzioni da loro esplicate: amministrazione della giustizia, disbrigo dei pubblici affari, esercizio del potere esecutivo. Il privilegio di una nascita illustre influiva, non poco, sulla ripartizione delle cariche. Infatti, i discendenti delle famiglie patrizie dette pure "d'Albergo", erano investiti della dignità di Consoli "Maggiori"; ai popolani, invece era unicamente riservata quella di Consoli "Minori".

L'armonia fra le due categorie di Consoli non regnò mai sovrana, e ciò per riflesso delle lotte fra la fazione aristocratica e quella popolare che infuriarono cruente, anche nella nostra Città. Pure tra noi i patrizi, che disponevano, oltre che di molte risorse finanziarie, e di una proprietà fondiaria assai cospicua, anche di fittissime reti di parentela, erano giunti a costituire dei veri e propri gruppi gentilizi, detti "hospicia", miranti a rendere ereditarie, nelle persone dei loro membri, le principali cariche comunali. La reazione popolare contro questo stato di cose culminò nel rovesciamento della Magistratura Consolare cui si volle sostituire quella di un forestiero, ossia del "Podestà". Primo Podestà di Torino sarebbe stato Tomaso il Nono, Legato imperiale del 1196. Dopo un tentativo riuscito, ma di breve durata, di restaurazione del Consolato la Podesteria si consolidò definitivamente dal 1200 in poi.

Il Podestà, che dapprima era un funzionario dell'Imperatore incaricato di reggere la suprema carica cittadina assommava in sè il comando delle truppe in guerra ed il potere giudiziario che veniva esercitato tramite un "giudice" deliberante nelle cause maggiori e civili, e un "milite", che sovrintendeva alle cause penali o minori. Il Podestà conduceva pure seco il suo luogotenente cioè il "cavaliere" agli ordini del quale militavano gli "sgherri", i "decani" o "uscieri", un "notaio" in funzione di segretario, un "paggio" e parecchi "servitori".

All'atto di prender possesso della propria carica il Podestà prestava giuramento di osservare gli Statuti e le franchigie cittadine e di uniformare ad essi ogni sua azione.

"Il Podestà - scrive il Bragagnolo Bettazzi - durava in carica un anno alla ferie del quale doveva render conto del suo operato; nè si lasciava partire se non dopo acquistata la certezza che non vi era luogo a reclami di nessuna parte e di nessun genere sulla sua gestione. Se aveva governato bene i torinesi lo accompagnavano con molte dimostrazioni al proprio Paese, e talvolta, gli regalavano la propria bandiera, nella quale in campo azzurro spiccava l'aureo toro".

All'epoca di Carlo d'Angiò, e sotto il dominio sabaudo il Podestà prese il nome di "Vicario" assumendo sempre più nettamente la fisionomia di un funzionario del Principe, incaricato di esercitare il potere esecutivo, o, con più esattezza, di farsi esecutore della volontà del Signore, dato che l'onere, dell'amministrazione civica, propriamente detta era passata in retaggio dei "clavarii" prima e dei "sindaci", poi.

Accanto al rappresentante del potere centrale troviamo sin dalle origini al governo del Comune di Torino, ben tre Consigli, il cui funzionamento era regolato dalle norme dettate in proposito dagli Statuti del 1360. Si aveva anzitutto la "maggior credenza", o "consiglio", i cui membri erano eletti a vita dai "clavarii", e si radunavano solo nelle date prestabilite, per deliberare degli affari di maggior rilievo.

Il disbrigo delle questioni giornaliere era, invece, affidato alla "minor credenza" o "consiglio privato" costituito da venti "sapientes", divenuti ventiquattro in seguito alle riforme del 1433 introdotte durante il Ducato di Amedeo di Savoia; da ultimo veniva "il Consiglio Generale" in cui sedevano i capi di casa che avevano diritto di "borghesia" (che pagavano cioè i tributi ed erano in grado di adempiere agli obblighi personali ed a quelli relativi alla difesa della Città) e di "abitazione". Tale Consiglio, denominato "concione", o "parlamento", teneva le proprie sedute sulla piazza antistante la chiesa di San Rocco (allora di San Gregorio) per decidere la dichiarazione di guerra, la stipulazione dei trattati di pace, nonchè l'inflizione del bando a quei cittadini che avessero attentato alle libertà comunali.

L'eccezionalità delle deliberazioni all'ordine del giorno, congiunta allo stato di emergenza in cui logicamente si trovava la comunità in simili circostanze rendevano l'atmosfera di queste assemblee quanto mai satura di elettricità e di conseguenza per nulla propizia allo svolgimento di una pacata discussione. Le sedute della "concione" erano perciò tumultuose ed agitate e spesso si trascendeva a vie di fatto: e se a un tale a "attivismo" si somma la non esemplare competenza di quanti vi partecipavano, si comprende facilmente come Emanuele Filiberto procedesse alla loro abolizione affermando nell'editto emanato il 10 luglio 1570 per Bourg-en-Bresse, che era necessario: "reduire le conseil a certain nombre representant tour le corps". Del resto non si trova negli archivi più tracce di "concione" dopo il 1533 e il 1560. Quanto alle votazioni, gli Statuti del 1360 disposero che avvenissero con fave bianche e nere salvo che si dovesse provvedere alla nomina dei sindaci o degli ambasciatori o su questioni relative agli interessi del Principe, giacchè in simile ipotesi, al fine di porre ogni consigliere di fronte alle proprie precise responsabilità, era d'obbligo ricorrere alla votazione per alzata o per seduta.

I Consigli venivano convocati con bandi pubblici oppure con i bronzei squilli della campana della Torre del Comune. Com'è noto, reggevano la "maggior credenza" in qualità di capi quattro "clavarii", collegio di antichissima istituzione incaricato della custodia delle chiavi del tesoro comunale, ufficio dapprima trimestrale, quindi annuale ma in ogni tempo gratuito. I designati a ricoprirlo erano inizialmente eletti a sorte; poi l'elezione passò al Vicario o al Giudice che dovevano trarne "duos ex nobilibus seu hospiciis et duos de populo", e ciò, in virtù della "Carta della Libertà" elargita al Comune torinese 1'8 ottobre 1360. Ogni sera le chiavi venivano affidate al guardiano del Convento dei Frati Minori, nel cui refettorio, anzi, soventissimo si svolgevano le sedute dei Savi del Consiglio.

Le attribuzioni dei clavarii erano numerosissime e per di più tutte della massima importanza: conservare le misure del Comune, convocare la credenza, vegliare affinchè si eseguissero gli ordini di polizia, nominare la folla di impiegati della Città che elencheremo brevemente. Anzitutto i "Ragionieri", cui trimestralmente il "Massaro o Tesoriere" (che sovente era un ecclesiastico) rimetteva i conti del Comune, quindi 24 "Buoni Uomini" (sei in ogni quartiere) che designavano tutti gli anni i "Campari" e le "Guardie forestali" custodi dei beni forensi, i quattro "Estimatori", i quali, fra l'altra, dovevano, pure, fissare le retribuzioni di quanti il Comune assumeva temporaneamente. E, per terminare, due "Ispettori ed Aggiustatori delle misure".

Da quanto si è detto, risulta chiaro, come il collegio dei "Clavarii", fosse la magistratura più importante del nostro Comune, direi in certo modo, il cardine di tutta l'organizzazione amministrativa. Essi infatti nominavano non solo i Consiglieri della Città, ma altresì i Sindaci il che si faceva sin dai tempi più remoti ogni tre mesi.

Nei primi secoli i "Sindaci" sono puramente i procuratori del Comune di cui debbono sostenere gli interessi dettando le scritture relative, ma, in virtù del l'atto del Consiglio, deliberato il 14 luglio 1432, raccolgono nelle loro mani tutto l'onere dell'autorità suprema, onere che non abbandoneranno più acquistando con l'andar degli anni una posizione di sempre maggiore autonomia sia nei riguardi dei "Vicari", che degli antichi elettori, nei confronti dei quali, anzi tale posizione viene capovolta circa tre secoli dopo allorquando "coll'ordinato" del 31 dicembre 1729, si deferisce ai Sindaci l'elezione dei Clavarii che ancora le R. Patenti del 18 dicembre 1687 confermavano essere prerogativa del Vicario e del Giudice.

IL funzionamento dei Consigli cittadini si mantenne pressochè invariato sino al Regno di Vittorio Amedeo II modellandosi nelle sue linee generali sulle famose riforme del 1433. Sotto Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I la maggior e la minor credenza venivano annualmente convocate in seduta plenaria o "Consiglio generale" il 29 settembre giorno di San Michele Arcangelo: in quella sacra ricorrenza si procedeva in certo modo al rinnovamento di tutta quanta la compagine amministrativa. Si eleggevano i nuovi consiglieri in sostituzione di quelli defunti, scegliendoli fra i nominativi presentati dai Clavarii che per lo più proponevano i discendenti o i prossimi congiunti degli scomparsi, si conferivano brevetti di cittadinanza, si nominavano i nuovi ufficiali del Comune o si confermavano quelli uscenti di carica e si eleggevano pure i Clavarii. In tale giorno, poi, la Minor Credenza composta dai 24 "sapientes" si rinnovava in un quarto dei suoi membri, eletti dal maggior Consiglio, cui ora competeva altresì, l'elezione dei "Sindaci". Il Consiglio generale era però, convocato altre due volte all'anno e cioè la seconda festa di Pentecoste ed il giorno di San Silvestro.

Fu soltanto col principio di Vittorio Amedeo II, cioè con le Patenti da lui emanate il 18 dicembre 1687, che si provvide a dare un assetto stabile e definitivo al meccanismo consiliare, regolandolo giuridicamente in ogni dettaglio; diciamo definitivo perchè le successive disposizioni legislative e quindi anche le preziosissime R. Patenti del 1767 non apportarono veruna sostanziale modifica.

Si ebbero come già per 1'innanzi due Consigli (dato che la Concione dei capi di casa era scomparsa fin dal 1500): il "Consiglio Generale", costituito da 60 cittadini deliberante per gli affari più importanti nelle tre normali sessioni del 30 aprile, 30 agosto, 31 dicembre salvo naturalmente, le convocazioni straordinarie e la "Congregazione" che in sostanza corrispondeva alla odierna Giunta Comunale, che si radunava "per maneggio delle cose giornaliere". La Congregazione era composta da 24 persone cioè: i 2 Sindaci, il "Mastro di ragione", 4 Ragionieri, l'"Archivista della Città", i 2 Sindaci dell'anno precedente, il "Segretario del Consiglio", più 10 Consiglieri, nominati dal Consiglio generale. E poichè abbiamo nuovamente menzionato il Consiglio generale, sarà opportuno soffermarsi un po' su di esso, per esaminarne, con un certo agio, la struttura. Esso si compone, come già si è detto, di 60 Membri, i famosi "Decurioni", divisi in due classi di ugual numero: alla prima di esse potevano aspirare solo i nobili più illustri. per lignaggio o per l'elevatezza delle cariche ricoperte; la seconda, invece, si apriva ai cittadini meglio reputati di ogni ceto sociale avvocati, medici commercianti.

Requisiti indispensabili per porre la propria candidatura al decurionato erano il possedere un certo censo, l'aver domicilio a Torino da almeno 15 anni ed in fine, dal 29 maggio 1651 l'iscrizione nell'Albo della Compagnia del Corpus Domini, ciò evidentemente affinchè non vi fosse adito a dubbi sulla fede religiosa dei futuri consiglieri. Ai Clavarii era demandata la compilazione delle liste degli eleggibili denominate "Rose" che venivano poi sottoposte al beneplacito della "Ragioneria", "organo consultivo con funzioni ispettive", la quale era formata dal Mastro della Ragioneria, da 4 Ragionieri, nonchè dai due Sindaci, e dal "Segretario di Città", e governava l'intera economia municipale.

L'elezione dei "Decurioni" avveniva, a maggioranza di voti, in quella tornata del Consiglio Generale che si teneva il giorno di San Silvestro. Il candidato attendeva lunghe ore la propria sorte passeggiando ben intabarrato sullo scalone del Palazzo Civico finchè, a votazione avvenuta, due clavari non uscivano a recargli la lieta novella invitandolo a partecipare alla seduta in corso con pieno diritto di voto.

Del resto, scherzi a parte, l'amarezza, di una delusione era comprensibilissima considerata la folta messe di vantaggi che il decurionato comportava: anzi tutto, la nomina era vitalizia, in secondo luogo, dava, agli eletti, il diritto di fregiarsi del titolo collettivo di "Conti di Grugliasco e Signori di Beinasco", titolo che, sebbene in sostanza puramente onorifico, solleticava un pochino l'orgoglio dei buoni borghesi. Si aveva, poi, la facoltà di partecipare in pompa magna a tutte le cerimonie civili e religiose, che nel calendario non erano certamente rare, si aveva il privilegio di reggere il baldacchino, durante la processione del Corpus Domini, privilegio che coll'estinguersi delle famiglie aristocratiche, cui spettava per diritto ereditario, era passato in retaggio al Comune. Tutto ciò naturalmente per tacere dei numerosi donativi di limoni, aranci, zucchero, cera, ventagli (anche per le decurionesse), che, a Torino, erano elargiti sin dai giorni di Madama Reale.

Qualora il candidato fosse stato un Cavaliere del Supremo Ordine dell'Annunziata ogni attesa del responso sullo scalone era eliminata, in quanto i due Clavarii più anziani si portavano al suo palazzo, in qualità di latori del risultato degli scrutini trasmettendogli, a nome di tutto il Consiglio, l'invito di intervenire alla seduta. Egli si recava, allora, al Palazzo Civico, ove, al suo arrivo, era ricevuto sulle scale dai colleghi, e sulla porta della gran sala del Consiglio, dai Sindaci. e dal Vicario.

Normalmente il nuovo decurione prestava senz'altro giuramento nella stessa Seduta in cui aveva avuto la sua elezione; egli si appressava, con lo spadino al fianco, al tavolo su cui era stato collocato il Libro dei Vangeli e ponendo le mani sul sacro testo pronunciava con voce intelligibile la formula prescritta mentre il Vicario ed i Sindaci rimanevano religiosamente in piedi ed a capo scoperto.

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