Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Architettura del palazzo

La sala delle congregazioni

Una volta usciti dalla Sala del Sindaco, dopo un breve indugio nella Sala di Marmo, che ci consentirà di giungere coll'occhio affacciandoci ai finestroni della loggia sino al limite estremo di Piazza Castello si potrà senz'altro passare nella Sala delle Congregazioni.

Notevole anche per la singolarissima decorazione delle pareti, fasciate da alti riquadri, delimitati ed arricchiti di finissime cornici ispirate ad un gusto vagamente neoclassico, ove motivi di stile Luigi XVI si sposano a timidi precorrimenti dello stile Impero, questa sala, vanta il complesso pittorico più ricco e importante del Palazzo, inferiore soltanto all'altro, testè ammirato, nella Sala del Sindaco. Malauguratamente, si tratta altresì di un complesso che pone, quanto all'identificazione della paternità artistica dei problemi di ardua soluzione.

Sala congregazioniPalazzo Civico - Sala congregazioni
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Alziamo per prima cosa gli occhi verso il soffitto che è dipinto e scolpito con intagli fortemente rilevati, specie nella massiccia cornice che chiude la zona centrale, dalla sagoma pronunciatissima, e rimane collegato alle pareti da una lunga teoria di mensoline.

Alziamo, dunque, subito gli occhi al soffitto maestoso, attratti dalla composizione su tela che campeggia nella zona centrale e che si ricollega per il tema, mistico ed allegorico ad un tempo, idealmente al ciclo della Sala del Sindaco, e cioè al miracolo del Corpus Domini, qui assurto addirittura a simboleggiare il trionfo della Fede, rappresentata nelle sembianze di una donna velata, che leva in alto con la mano destra il calice, su cui appunto si libra l'ostia del miracolo.

Non vogliamo abbandonarci ad analizzare descrittivamente i singoli particolari; l'evidente simbolismo delle tre figure muliebri, che presentate in una sapiente e delicatissima graduazione di scorci compongono con la personificazione della Fede, che tutto sovrasta, una ideale piramide rispecchiante, in certo modo, la concezione dei rapporti tra la religione e l'esercizio dei pubblici poteri, professata dalla politica di Carlo Emanuele III, in ogni circostanza, quanto meno in teoria, se non nella pratica.

Stimiamo infatti di ben più pungente interesse riferire in sintesi le conclusioni cui è pervenuta la Dott.ssa Andreina Griseri in merito al nome da pro porre quale probabile autore del pregevole dipinto. Attraverso appunti e comunicazioni orali, la Griseri ci ha esposto l'opinione (maturata in seguito all'esame di alcuni particolari stilistici, tipiche movenze, valori cromatici, nonchè dell'eloquente rapporto spazio-figure) che ci si trovi in presenza di un artista di scuola piemontese, operante tra il 1765 ed il '68 in stretti rapporti col romano Gregorio Guglielmi, il quale formatosi alla scuola del Trevisani e del Conca si orientò poi verso la più sana ed equilibrata esperienza classicheggiante del Subleyras, e proprio nel 1765 fu attivo a Torino, dove lavorò notevolmente al Palazzo Reale ed al Palazzo Chiablese.

Sala congregazioniPalazzo Civico - Congregazioni

Più antichi di circa un secolo appaiono i quattro scomparti angolari che completano il rettangolo del soffitto : anche qui, Andreina Griseri, afferma potersi scorgere, ancora, la mano del Dauphin, come del resto conferma, fugando qualsiasi eventuale, residuo, scetticismo, il raffronto stilistico con due piccoli ovali, raffiguranti geni, che recano attributi di vittorie (a. 1660), da cui è fregiato pure il soffitto della Sala dei Paggi, al primo piano di Palazzo Reale.

Altro discorso occorre, invece, tenere per la spessa fascia affrescata, che, sfiorando la schiera delle mensoline percorre senza soluzione di continuità tutte le quattro pareti.

Ed, in effetti, se rimane soddisfacentemente leggibile lo specifico contenuto delle singole scene, sì che ne risultano evidenti sia il nesso coordinatore, sia il concetto unitario che ha suggerito la scelta dei temi in armonia alla destinazione data alla Sala "ab origine", un attento e spregiudicato esame dei suoi valori pittorici ci convincerà ben presto che non ci troviamo di fronte nè ad un autentico capolavoro, nè all'espressione di una personalità eminente.

L'intento gnomico a cui l'intera sequenza dei dipinti venne subordinata ha qui evidentemente imbrigliato l'estro dell'ignoto artefice, pur dotato di un in dubbio senso del colore che sotto la mano del restauratore torna a rivivere con l'antica fastosità. Il misterioso trescante tuttavia, con il continuo oscillare tra modi bolognesi e lombardi (ed i primi prevalgono di gran lunga sui secondi, dichiarando una palese ascendenza caraccesca), non ha purtroppo saputo esprimere una "sua" visione individuale che unificasse in un coerente tessuto narrativo l'inevitabile discontinuità di un procedimento esemplificativo, condotto con l'ausilio di una copiosa aneddotica.

Ci si dovrà accontentare di una grossolana classificazione cronologica assegnando l'intero ciclo ad un periodo lievemente posteriore a quello della costruzione del Palazzo, e ciò anche in considerazione del linguaggio turgido e macchinoso usato, assai lontano dalla fluida e spiritosa vena narrativa dell'"èquipe" luganese.

Potremmo definire il ciclo come un florilegio di proverbi salomonici e di episodi biblici (due per ogni parete) che dissertano con una discreta gamma di variazioni, sulle conseguenze dei consigli buoni e cattivi. Li intercalano figurazioni simboliche delle Virtù (Prudenza, Verità, Rettitudine, Segretezza, Concordia), e dei medaglioni retti da vigorosi Atlanti, putti rubicondi, ecc. il tutto cosparso da motti latini coniati con perfezione ciceroniana dall'inesauribile Thesauro.

Passiamoli in rassegna, individualmente. II primo che s'incontra, entrando nella Sala, ritrae un sussiegoso monarca assiso in trono; sta scritto in alto: "Facta est manus domini ut darei eis cor unum". Sotto, invece, leggiamo: "Concordi consilio labentem restituit rempublicam Ezechiele". La scena che si schiude a sinistra della prima, raffigura un gruppo di guerrieri, dei quali uno giace a terra cadavere, e su di lui si curva pietosamente una regina. Il motto in alto reca: "Nequissimum consilium super ipsum devolvetur".

In basso leggiamo : "Noxii consilii author noxam experitur Architophel". Sulla parete prospiciente le finestre, si vede, dapprima, un venerando vegliardo attorniato da un gruppo di civili e di guerrieri. La scritta che li sovrasta dice: "Qui sapiens est audet consilia" che sarebbe poi la morale tratta dall'episodio raffigurato e cioè: "Naamano valetudinem desperanti, fidale suorum cansilium saluti fuit". L'episodio successivo ci mostra un altro re in trono, conversante con un vecchio, tra queste due iscrizioni: "Simulator ore decipit", e: "Adulantium consiliis deceptus Achab, Martem lacessit et mortem".

Le scene effigiate sulla parete, che ci separa dalla sala del Consiglio Comunale, raffigurano nuovamente due monarchi troneggianti.

L'una, non meglio identificato, siede tra guerrieri ascoltando le invocazioni di un personaggio parimente sconosciuto. Se ne deduce che: "Corona dignitatis senectus", perchè: "rejecto senum prudenti consilio, rempublicam Roboam seseque perdit". Il monarca protagonista della scena attigua invece, è fin troppo noto, nientemeno che Salomone, il quale tiene corte, giacchè : " Ibi salus, ubi multa consilia", e tutti sappiamo che: Consiliorum Tribunal republicae firmamentum exornat Salomo".

Finalmente siamo arrivati alla parete in cui s'aprono le porte-finestre d'accesso alla loggia. vi assistiamo ad una violenta battaglia che si concluderà solo con l'assalto ad una città. L'ammonimento è: "Propter peccata labiorum ruina". Difatti: "Iniquum Caiphae consilium, flet Hierosolima".

Appropriato ci sembra pertanto che il ciclo si chiuda con la carneficina perpetrata in Ascalona dall'adiratissimo Sansone.

Attenzione:

"Qui ambulat fraudulenter revelat arcana"
e, come volevasi dimostrare:
"Suorum pernicie, commissum sibi secretum
pandit Sampsonis uxor".

Toujours la femme!

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