Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Architettura del palazzo

La sala del Sindaco

Prima di accedere alla Sala del Sindaco, contenente il più cospicuo ciclo pittorico che possa ammirarsi nel Palazzo, ci sentiamo in dovere di fare una breve premessa.
Sala del SindacoSala del Sindaco
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La devozione del Comune di Torino, in quanto organo rappresentativo della Città, verso il Miracolo del Corpus Domini, è antica e notoria; la pagina qui riprodotta in appendice 1, che è stata tratta da una monografia edita dalla Città, appunto in occasione del V centenario del Miracolo, (per illustrarne 1'autentica documentazione, quale si conserva presso l'Archivio Storico Municipale), ci esime dal riprendere l'argomento ab origine, tanto più, poi, se si pone mente alla letteratura informatissima, fiorita intorno ad esso.

Non meraviglia di conseguenza che, deliberandosi l'edificazione dell'attuale Palazzo Civico, si fosse scelta, nel 1659, la data del 6 giugno, anniversario del Sacro evento, come la più propizia per dar mano alla fabbrica, che si desiderava attuare con la massima celerità, e grandiosità, e che, a lavori ultimati, si deliberasse di adornarne una delle sale più suggestive, ed ariose, con un. organico ciclo pittorico, acciocchè ne divenisse, una specie di Sancta Sanctorum.

Appare logico quindi che per un'opera di tanto impegno i1 Corpo Decurionale dovesse necessariamente orientarsi su di una personalità artistica di spicco, in grado, cioè, di soddisfare in pieno alle aspettative dell'autorevole committente. Ebbene, è proprio qui che comincia a delinearsi l'aspetto più enigmatico, e diciamo pure conturbante, della questione, in quanto chè ci riesce arduo indovinare i motivi che hanno, sino ad ora, impedito di radunare una benchè rudimentale documentazione, in merito alle opere d'arte figurativa eseguite in questa come nelle altre sale del Palazzo e all'epoca del Lanfranchi e nei secoli che seguirono. Per precisione diremo di possedere solo delle deliberazioni comunali, risalenti al 1663, le quali ci permettono di considerare la grandiosa realizzazione pittorica verosimilmente ultimata già in quello stesso anno.

Ed in fatti in un atto della Congregazione in cui si legge che: "il sternio qual si è fatto fare dal Mastro Gio. Battei Bracheri alla stanza del Miracolo in, questo palazzo s'è talmente guastato che s'è convenuto levarlo, et per ridurlo, in pristino vi andarà qualche spesa".

Tale notizia però a prima vista irrilevante, acquista per noi un notevole peso in virtù della spiegazione fornita circa l'origine dei danni, origine che secondo gli "Eccellentissimi Signori", dovrebbe riconoscersi nell'umidità "causata dalli maestri et pittori che ivi travagliavano".

Ma, anche qui, intorno ai nomi degli artisti, silenzio assoluto. Al silenzio dei documenti d'archivio, (almeno stando a quanto ci risulta, in base alle ricerche condotte sino alla data odierna), s'accompagna l'indifferenza totale della letteratura artistica ed erudita che eccettuato il Paroletti (a cui attinse 1'Olivero), il quale parlò non sappiamo con quale fondamento, di fregi ed affreschi del fiammingo Miel nella sala dei Fasti, registra una lacuna assai strana nei riguardi del restante patrimonio pittorico del Palazzo Civico, portandoci quasi a sospettare dell'ipotesi da noi in un primo tempo avanzata, che la distruzione di fascicoli ed incartamenti relativi fosse da ascriversi forse a quell'auto da-fè effettuato per festeggiare l'anniversario della morte del "Tiranno Capeto", il 2 piovoso anno VII (21 gennaio 1799) dinanzi all'Albero della Libertà di Piazza Castello. Alla riuscita della manifestazione aveva infatti collaborato con a patriottico » zelo il civico archivista offrendo ben cinque carrate di carte.

E ciò perchè, ove una documentazione fosse stata reperibile, la letteratura precedente a tale data avrebbe avuto più volte modo di prenderne conoscenza. Altra via adunque non rimaneva fuorchè quella della critica attribuzionistica, la quale peraltro ha trovato larga applicazione soltanto in questi ultimi anni. Si è pertanto dovuto attendere sino al 1961 per vedere assegnata una sicura paternità alla serie di pitture che illustrano il soffitto della sala che stiamo visitando. E ciò è avvenuto per merito esclusivo della Prof.ssa Andreina Griseri, docente presso la cattedra di Storia dell'Arte medioevale e moderna presso la Facoltà di Magistero dell'Università di Torino, studiosa del Barocco piemontese, delle sue radici, addentellati e diramazioni, già largamente nota anche fuori d'Italia per numerosi articoli e saggi, ricchi di intuizioni.

Sala del SindacoSala del Sindaco

La Griseri infatti prima fra tutti, nell'"Itinerario essenziale di Torino" dettato per "Tuttitalia" pronunciava esplicitamente il nome del lorenese Carlo Dauphin sia per l'ottagono centrale che per i quattro scomparti angolari del soffitto, e l'asserzione non poteva lasciar adito a dubbi e per la felicità dell'invenzione fantastica, che è offerta dalla pittura, e per la vigoria con cui è condotta la narrazione del sovrannaturale evento, rievocato in quello che ha di eterno e di universale senza con cessioni a riferimenti topografici o di costume che avrebbero attenuato il mira bile impeto creativa che travolge la scena isolandola in un clima di epica grandezza. Qui il prodigio sembra rivelarsi ad una umanità privilegiata vivente già in una landa ultraterrena.

Si potrà obiettare che quanto noi stiamo presentemente esaltando come manifestazione d'un particolare stato di grazia del Lorenese debba in realtà essere considerato un vizio spesso riscontrabile esaminando la sua copiosa produzione, vale a dire una irresistibile inclinazione verso una esagerata magniloquenza, già rimproveratagli dai contemporanei e, circa un secolo dopo dall'abate Lanzi.

Sennonchè, proprio a tale riguardo la Griseri molto di recente, vale a dire in una scheda del Catalogo della Mostra del Barocco (Torino, giugno-ottobre 1963) alludendo alle due pitture ispirate ai miracoli di S. Francesco, ha fatto osservare che detti quadri, "insieme al so fritto ancor oggi visibile in Municipio, con una serie di tele volte a raffigurare il Miracolo dell'Ostia, sono tra le opere più notevoli del Dauphin a Torino, e nel fitto catalogo steso dal Bartoli si distinguono per una chiara impostazione francese ancora memore del Vouet".

Noi, dal canto nostro riteniamo di poter riscontrare nelle due figure di popolani situate alla destra del Vescovo Ludovico di Romagnano, e poste di tergo, nei confronti dello spettatore, taluni di quegli elementi di pittoricismo intenso che fanno apparire alla Griseri il "S. Francesco sulle acque" assai affine ad un brano di pittura veneziana di maturo '600".

Compete pure alla valorosa indagatrice la non lieve benemerenza di aver esplicitamente dichiarata la presenza al Palazzo dei trescanti luganesi Recchi e Casella, presenza rimasta anch'essa del tutto inedita ed il carattere pura mente indicativo della nota contenuta nell'introduzione al settore della pittura nel catalogo della Mostra del Barocco Piemontese (Torino, giugno-ottobre 1963) assume un particolare significato, proprio perchè la sua laconicità, dà come scontata l'indistruttibilità di tale scoperta : " I lombardi si dividevano invece le commissioni e le imprese decorative nei castelli; i Fiamminghi invitati dal Cardinale Maurizio (se ne conosce un esempio assai prossimo a quella cerchia nel San Michele Arcangelo ora alla Sagra), i Bianchi, i Recchi, il Morazzone, il Casella dal 1622 al 1664; e si possono riscontrare al Valentino, con storie ambientate in mirabili stucchi manieristi, mentre per il Casella può valere la serie di affreschi a Palazzo Civico".

Tale serie si articola in otto scene, due per ogni singola parete, intercalate da puttini agli angoli e da quattro figurazioni allegoriche delle Virtù, trattate in chiaroscuro, coi relativi attributi; la Verità, recante, come attributo, uno specchio, la Giustizia contrassegnata da una bilancia ed una spada, mentre un calice ed una croce consentono di individuare la Fede, cosi come un frutto la Carità.

Passiamole in rassegna nell'ordine di successione: apre la teoria il furto sacrilego all'interno della "giesia d'Issiglie" descritto nel momento in cui viene perpetrato; mentre nella scena seguente sullo sfondo di un paesaggio alpestre alcuni malviventi insaccano la refurtiva; vediamo poi nella terza scena, sullo sfondo della "volta rossa" in Piazza del grano a Torino il 6 giugno 1453, in mezzo alla folla attonita ed inginocchiata in preghiera i malandrini che tentano inutilmente con percosse di far rialzare "il mullo" coricato, mentre la Sacra Particola si libra immobile nell'aria. Domina l'affresco successivo il Vescovo Ludovico Romagnano, che sotto il baldacchino, s'avvia in processione recando il calice con I'Ostia.

Nella quinta scena in mezzo alla piazza, presente il Vescovo, ritto sotto il baldacchino, e vestito dei paramenti, viene stilato l'atto ufficiale testimoniante l'avvenuto prodigio. Il sesto episodio ci presenta il Duca Carlo Emanuele I dinanzi a cui viene posta la pietra fondamentale della Chiesa del Corpus Domini (1607).

Nel settimo affresco alcuni altolocati personaggi visitano il cantiere ove fervono le opere dell'erigenda Chiesa. E conclude infine la serie Mons. Giulio Cesare Bergera, Arcivescovo di Torino, nell'atto di impartire la Benedizione Eucaristica dall'altare innalzata nel 1653 in Piazza Corpus Do mini, durante le celebrazioni del secondo centenario del Miracolo.

Si vedono inginocchiati in prima fila fra i fedeli Madama Reale Cristina di Francia ed il figlio Carlo Emanuele II. Giovanni Andrea Casella, "pittore dello stato di Lugano" dice il Vesme "scolar di Pietro di Cortona, e suo buon seguace, e talvolta anca di Bernino in disegno" come specifica l'abate Lanzi, quasi certamente rinnovò qui a Palazzo Civico la collaborazione con i comaschi Giovanni Paolo e Giovanni Antonio Recchi, zio e nipote, quella collaborazione che aveva ed avrebbe poi dato gustosissimi frutti nella "Sala della Magnificenza" al Castello del Valentino.

Sala del SindacoSala del Sindaco

Il confronto fra le singole scene dei due cicli consente a nostro avviso, di isolare le rispettive zone di attività, che però ridurremo a due soltanto, dato che ci sembra più logico supporre l'intervento dei Recchi nel ritrarre feste, trattati, cacce, episodi bellici, abbandonandosi talvolta ad un facile ma suggestivo e sincero paesismo. E forse può facilitarci in tale assunto la rilettura di un brano di Anna Maria Brizio, tratto da un saggio dedicato all'"Opera dei Recchi in Piemonte" ove è detto che, "Nella sala della Magnificenza" una doppia serie di vedute architettoniche e paesaggio forma quasi un doppio fregio nei fianchi della volta a padiglione e alla sommità delle pareti.

La serie superiore è di particolare interesse iconografico essendovi rappresentate nove vedute dei principali edifici seicenteschi di Torino e tre cittaforti.

" Ma alcune d'esse sono assai secche e sommarie, si da proporre il problema della loro attribuzione. Lavorò qui al Valentino, come in altre decorazioni alle fabbriche dei Duchi, insieme ai Recchi, Andrea Casella. È da indicare in lui l'autore di queste vedute, che si differenziano per stile dalle altre pitture dei Recchia. Ma nel Casella che dai documenti risulta pittore molta attivo, nessuna opera sicuramente attribuibile o chiaramente leggibile rimane. Onde la questione attributiva non può che rimanere sospesa a un, interrogativo".

A noi sembra che tenendo presente il carattere sostanzialmente artigianale (ci riferiamo ben inteso ai metodi di lavoro e diciamo pure allo scrupolo professionale) dell'attività delle dinastie di artisti operanti nei periodi di cui ci stiamo occupando, possa benissimo accettarsi l'ipotesi di una suddivisione del lavoro tra il Recchi ed il Casella nel caso specifico della fascia di affreschi dedicati al Miracolo del SS. Sacramento. Una volta infatti accettate coteste premesse verrà spontaneo pensare al Casella come all'autore degli scenari, delle quinte degli scorci pittorici, il più delle volte, in verità, "secchi e sommari" come osserva giustamente la Brizio. E di conseguenza la firma di Gian Antonio Recchi, potrà ragionevolmente venire proposta sia per l'efficacissima sintesi paesistica che costituisce lo sfondo del secondo episodio della serie, quello cioè dell'occultamento dell'ostensorio, sia per la quasi totalità degli "attori " dei vari episodi, trattati con una consumata tecnica narrativa che sa coordinare argutamente il potere suasivo del singolo aneddoto in rapporto all'economia generale del dramma. Ed anche se Gian Antonio non tocca, sempre nelle scene del Miracolo, il livello raggiunto cogli affreschi del Valentino, vi afferma pur tuttavia in molti modi, la vitalità, la presenza del suo estro rivelato, per esempio, da una capacità di caratterizzazione psicologica del "personaggio" che riesce sempre ad uscire dall'anonimato della Cronaca.

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Dopo quanto si è ora acquisito, assumerà pensiamo, un particolare sapore, il testo d'una dichiarazione fatta dai Sindaci e Decurioni torinesi, pubblicata nel "Summarium" per la Canonizzazione del Beato Amedeo (Roma 1676). I nostri antichi amministratori affermano che: "... interquamplures in arte picturae in hac urbe degentes, peritiores existunt domini Joannes Bartolomeus Caravolias, Lucas Demaret, Delphinus, patruus et nepos de Rechi, nec non Jacobus et Andreas de Casella quorum peritiae plurimum tribuitur et de quorum judicio maxima est apud omnes existimatio".

Tale dichiarazione venne formulata il 10 luglio 1665 e A. M. Brizio nel citarla ammonisce di non stupirci che il nome del Miel non figuri nell'elenco in quanto già morto sin dal 3 aprile 1663.

Il valore del documento è perciò altissimo nel senso che con ogni evidenza esso esternava il pensiero ed il giudizio del Corpo Decurionale relativamente ma limitatamente a quegli artisti con cui si era trovato, per cosi dire, in rapporti d'affari.

In seguito al nostro futuro incontro col Caravoglia, che avverrà nella Sala del Consiglio Comunale, l'elenco del "Summarium" potrà dirsi completo.


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