Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Quadro storico

Il "Francisus Lanfranchi invenit et fecit"

L'Architetto e le sue opere

"Francesco Lanfranchi", ha scritto di recente uno dei più geniali indagatori della storia dell'architettura piemontese, Augusto Cavallari Murat "é personalità di risalto che nel secolo XVII s'intrecciò talora a quella dei Castellamonte e dei Guarini essendo autori di Monumenti d'eccezione". Peccato, aggiungiamo noi, associandoci convinti ad un sì lusinghiero giudizio, che egli rimanga di tale secolo pure una fra le figure più enigmatiche: tanto é vero che solo in questi ultimi anni, nell'estrema penuria di documenti d'archivio, il suo profilo é andato precisandosi sempre più nitidamente man mano che va crescendo la rinomanza del figlio Carlo Emanuele con cui Francesco era stato sino ad oggi regolarmente confuso. Si può insomma constatare, in base ai recentissimi risultati delle ricerche dell'Ing. Carlo Brayda un netto avanzamento nella classificazione delle opere lanfranchiane, rispetto al catalogo abbozzato nel 1927 da E. Oliveto specie poi in seguito all'aggiunta di una nuova voce, relativa all'Eremo di Lanzo, per merito, come é noto, del Cavallari.

Ci restano, tuttavia, oscuri sia la data (1600) che il luogo di nascita, e così pure la paternità; il Manno, infatti, lo suppone nato a Chieri dal nobile Ottavio, mentre il Torelli lo dice figlio di Matteo, notaio in Torino nel 1566. É certa, invece, la sua appartenenza ad un ceppo patrizio dell'Ospizio dei Balbi di Chieri, che si suddivideva nei Balbi, nei Simeoni, nei Bertoni, nei Benzani, nei Rotondi, nei Signorini, nel de Isto, nei Porro, nei Lanfranchi, e nei Bovetti: in tutto ben 28 famiglie di cui si ricordano molti privilegi tra cui quello di precedenza nel Consiglio Comunale.

Tra i quattro Savi preposti alle faccende della guerra doveva inoltre costantemente sedere uno dei Balbo, il cui assenso poi era necessario per le assegnazioni nel pubblico tesoro, veniva infine da loro tenuto in permanente possesso uno dei quattro sigilli del Comune. Al Lanfranchi spettava perciò l'uso legittimo dello stemma dei Balbi ("D'oro a cinque bande d'azzurro". Cimiero: braccio destro, armato impugnante una lancia d'oro), col relativo motto : omne solum forti patria. II Manno dal canto suo fa discendere Francesco da ben otto generazioni di antenati nobili, tra i quali, alla quinta, un Guidetto, Podestà della "Cittá delle cento torri".

Architetto ed ingegnere del Duca Carlo Emanuele II, Francesco Lanfranchi era stato nominato nel 1631 Governatore del Palazzo e del luogo di Mirafiori, ove, nell'anno seguente gli nacque dalla moglie Paola Margherita Simeoni (chierese essa pure, e dell'"Hospitio" dei Balbi), il figlio Carlo Emanuele ( morto 6 luglio 1721) che venne tenuto alla fonte battesimale dal Principe, e che oltre a seguire le orme paterne, fu anche pittore. Accasatosi a sua volta con Maria Maddalena Argenta, Carlo diede vita ad una florida progenie estintasi, nel 1815 in Maria Teresa Garetti di Ferrere, figlia di Francesco Antonio, Conte di Ronsecco. Il 7 gennaio 1638 (parliamo sempre di Francesco) il Duca lo nomina suo aiutante di Camera "ad honorem" (carica che diviene "ordinaria" con stipendi, onori e privilegi il 7 novembre 1643) ed infine, il 2 giugno 1655 "Guardia Mobili" con annuo stipendio di L. 1000 d'argento "due rationi di cibarie al giorno", onori privilegi ecc. ecc.

La voce più antica del catalogo delle sue opere, che risale al 1622-33, riguarda la distrutta chiesa della S.S. Annunziata, per le monache Turchine: sorgeva all'angolo di Via Carlo Alberto con Via Ospedale ed aveva la pianta a croce greca. L'ultimo vestigio, il tamburo della cupola venne abbattuto nel 1926. Segue un gruppo di edifici, i più cospicui e ragguardevoli, eretti tutti a Torino ed in piena efficienza anche oggi, eccezion fatta per il Tempio di Ercole Ercinio (1650) creato per gli sponsali della sorella del Principe, Enrichetta, nonché del coronamento dell'antica Torre Civica (1656) in contrada di Dora Grossa. Al 1659 appartiene il progetto firmato e datato del presente palazzo : il capolavoro indiscusso, cui, secondo il Brayda 2, avrebbe lavorato sino al 1666. Dal 1661 al '67 lo vediamo impegnato per la Chiesa della Visitazione e (dal '63 al '68) a quella dell'Arciconfraternita di S. Rocco. Ciò vale per Torino.

Quanto alla provincia, invece lo incontriamo dal 1663 al '64, all'Eremo di Lanzo, ove di fresco si é scoperta una testimonianza a lui contemporanea che lo conferma autore della Chiesa, come già del resto faceva supporre I'oculata analisi stilistico-strutturale, eseguitavi antecedentemente dal Cavallari-Murat sulla traccia anche delle marcate affinità che le caratteristiche architettoniche del tempio presentavano con la maniera dei Castellamonte; codesta affinità difatti si presentava in certi casi talmente spiccata (vedi la Chiesa della Visitazione a Torino), da sollevar lunghe controversie prima che una parola decisiva sulla reale paternità artistica dell'edificio potesse venire pronunciata.

Le Chiese di Santa Croce in Caramagna (1668), e di S. Rocco in Carmagnola (1667-1669), concluderebbero il breve inventario, a condizione, beninteso, che si accetti come data autentica della morte di Francesco Lanfranchi l'anno 1669, avendo suo figlio da quell'epoca cominciato a percepire gli stipendi, che prima solo a lui competevano. Carlo Emanuele, infatti, per un atto di speciale benevolenza del Duca, era stato chiamato a sostituire il padre nelle cariche onorarie di Corte, man mano che queste si trasformavano in ordinarie, con laute retribuzioni nei riguardi del genitore. Bisogna dunque non dimenticare che, l'accettazione della data predetta, si rivela assai importante per le conseguenze che essa comporta circa l'attribuzione della Basilica Mauriziana (1669 1679) e della Chiesa di S. Giuseppe (1683-1690), assegnate, sinora, a Francesco, e che, all'opposto spetterebbero a Carlo Emanuele, confuso spesso col padre a causa della fedeltà con cui ricalcò modi ed accenti del suo linguaggio architettonico. A parte ovviamente la plausibilissima ipotesi, già formulata, del resto, a suo tempo, da Eugenio Olivero, che almeno nell'episodio specifico della Basilica Magistrale, il Lanfranchi junior altro non abbia fatto fuorché condurre a compimento una fabbrica già iniziata dal genitore, o ne abbia sfruttato schizzi, appunti, pensieri, ovvero progetti già ben definiti. Non vi é comunque da escludere che, anche su questo, come su altri momenti ed aspetti della vita e della personalità dei due nobili artefici, si riesca a gettare più vivida luce in un futuro forse non lontano.


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