Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Architettura del palazzo

La sala del consiglio

Entrando dalla Sala delle Congregazioni, nell'aula del Consiglio, possiamo dire di aver raggiunto 1'"ultima Tule" del nostro viaggio attraverso il Palazzo Civico, e non sembri questo un preziosismo letterario poichè avendo cominciato idealmente, il percorso dai lontani tempi dell'Era Medioevale, la meta che stiamo toccando, rappresenta simbolicamente, nella storia delle istituzioni comunali torinesi, il punto di sutura tra passato e presente, e, nello stesso tempo, anche un ponte gettato verso l'avvenire.

Sarà, perciò, bene precisare senz'altro l'origine vera di una assai diffusa denominazione di cotesta sala, denominazione della quale, per un malinteso estetismo, si continua ad abusare, specie nel gergo politico-giornalistico.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)
visita virtuale (richiede iPix)

Le denominazione di "Sala Rossa" riferita alla Sala del Consiglio, è, infatti, assai antica, e venne suggerita non già dall'incandescenza dell'atmosfera, surriscaldata dai pubblici dibattiti, bensì puramente e semplicemente dall'essere stato questo locale tappezzato "ab antiquo" di pregevoli damaschi di tal colore, conservando attraverso i secoli pressochè intatti e, gli apparati ornamentali, e 1'arredamento, così come praticamente rimase immutata la sua originaria destinazione.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)

Occupata, su tre lati, dai banchi della Giunta e del Consiglio, (banchi e poltroncine pure rivestiti di velluto di colore rosso), l'aula è fatta ricca, principalmente, dallo splendido soffitto a cassettoni, di legno dorato ed intagliato, al centro del quale campeggia un'ampia composizione simbolica che può riguardarsi come una autentica apoteosi della Sapienza, che di sè stessa proclama, recita un cartiglio "Ego Sapientia habito in Consiglium", e che l'artista ha rappresentato sotto le sembianze di un vecchio, aureolato di luce, a cui fanno con torno alcune figure che, probabilmente vogliono ancora ricordare le virtù già simboleggiate nella Sala delle Congregazioni, e cioè la Prudenza, la Verità, la Rettitudine, la Segretezza, la Concordia.

La parete minore, verso la piazza, è dominata dall'altissimo pannello intagliato e sormontato dalla corona reale, incorniciante la tela che reca l'effigie di Carlo Alberto, ultimo Re di Sardegna. Cotesto pannello si estende all'intero spazio compreso tra i due finestroni laterali, essi pure intagliati con molta perizia, ed in parte dorati, al pari delle due porte d'accesso, le quali raggiungono il soffitto, mediante le fastose sovrapporte, decorate con episodi che, probabilmente, si ricollegano a vicende della Torino romana e medioevale.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)

Sulla serica stoffa di damasco rosso, che tappezza le pareti principali della sala, fanno spicco, a sinistra, entrando, due lapidi. Una bianca, col profilo scolpito in altorilievo, di Camillo Benso di Cavour, murata a ricordo del posto che Egli soleva occupare quale Consigliere Comunale. L'altra, invece, è dedicata ai tre Consiglieri in carica, "caduti per la patria" durante la guerra 1915-18: il Generale Prestinari, il Dott. Borio, l'Avv. Reyneri.

Fra le meste rimembranze si dischiude la rievocazione di una cerimonia solenne. Alludiamo al vasto dipinto che celebra la presentazione del voto della Città alla Basilica della Consolata, (30 agosto 1835), per la liberazione dal colera: fu donato al Comune, dice una scritta, dall'autore, Amedeo Augero, nel 1861.

Sulla parete opposta, (a destra, entrando), è invece, situato, il ritratto, non datato, ma attribuito a Bartolomeo Caravoglia, di Gian Francesco Bellezia, (nato il 26 novembre 1602 a Torino, ove mori il 13 marzo 1672), che di Torino fu Sindaco mentre infieriva la pestilenza che, (si legge a piè del quadro) imperversò dal 29 settembre 1629 al 29 luglio 1630, vale a dire, in anni che appartengono ancora alla preistoria del nostro Palazzo Civico. Certo, l'infelice (esteticamente parlando), tribuna del pubblico, risale appena alla metà del secolo scorso, ed è evidente conseguenza del trionfo delle istituzioni democratiche anche all'interno degli organismi municipali. Estetica a parte, vogliamo, tuttavia, augurarci che tale tribuna non abbia mai a venire soppressa, o modificata. Essa infatti deve rammentare, immutabile, a noi torinesi, ed agli italiani tutti, il volto che per primo assunse l'aula, da cui parti, coll'indirizzo rivolto a Re Carlo Alberto, su proposta di Pietro De Rossi di Santa Rosa, dal Corpo Decurionale il 5 febbraio 1848 la scintilla del rinnovamento costituzionale del Piemonte, e quindi dell'Italia. Il testo del documento venne consegnato al Sovrano due giorni appresso, dai Sindaci Vittorio Colli di Felizzano e Giovanni Nigra.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)

Vittorio Bersezio ci descrisse in una pagina ricca di "pathos" la dura, difficilissima missione, cosi come egli riuscì a seguirla, pigiato in mezzo alla folla in Piazza Castello. ... "si sapeva per Torino che il Re aveva acconsentito a ricevere i Sindaci, e assegnato loro la udienza per le quattro pomeridiane del giorno 7, ma col patto espresso, che non ci sarebbe rumore in piazza nè di plausi, nè di grida, avendo dichiarato che il menomo tumulto avrebbe fatto chiudere ai municipali le porte della Reggia. La folla radunata in piazza, forse più fitta ancora che nei giorni precedenti, stava in, cupo silenzio che aveva qualche cosa di solenne e anche di minaccioso. La carrozza dei Sindaci attraversa quella turba taciturna, che fissava ardentemente, ansiosamente, le faccie pallide dietro i cristalli chiusi. L'aspettazione irrequieta della folla si traduceva in fremiti e sussurri come quelli del vento negli alberi di una foresta. L'udienza non fu lunga. La gente si accalcò intorno alla carrozza nel suo ritorno, e tutti cercavano di leggere sul volto dei Sindaci l'effetto dell'ardimentoso passo, il contegno di quei due era d'un riserbo impenetrabile...".

Certo il ricordare tutte le sedute memorabili del Consiglio Comunale sarebbe un compito assai attraente a cominciare, per esempio, da quella della Congregazione del 31 dicembre 1675, nel corso della quale il Marchese di San Germano espresse il desiderio della Duchessa Reggente che venisse studiato un progetto per la pubblica illuminazione della nostra città, che in questo campo segui di soli otto anni Parigi, mentre Londra non vi provvide se non nel 1736.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)

Altre sedute andrebbero classificate tra le memorabili, e sarebbero quelle che videro il passaggio delle consegne tra l'uscente Sindaco, Marchese Emanuele di Rorà, e l'avv. Giovanni Filippo Galvagno, che chiamato a succedergli ricevette dalle sue labbra un preciso imperativo categorico : "Torino dovrà divenire la Manchester d'Italia". A tradurlo in realtà Galvagno s'adoprò con tutte le forze, iniziando la fitta rete di canali sotterranei che derivando l'acqua dal così detto "fosso della Ceronda" consentì di sviluppare una forza motrice di ben 1703 cavalli vapore, creando in tal maniera la più sicura premessa per il prodigioso sviluppo industriale della Città. Una terza data concluderà la brevissima esemplificazione: il 13 marzo 1885, si decideva dopo un'accurata disamina dei vari problemi connessi, il taglio della cosiddetta "diagonale", di via Pietro Micca. Pensiamo che potrebbe destare un certo interesse, se non altro a puro titolo di curiosità, confrontare una seduta dell'odierno Consiglio, con una dell'antico Decurionato, assai più macchinosa e complessa a motivo dell'intrecciarsi alla gerarchia dell'Autorità Civica, di un'altra gerarchia, quella dei Dignitari di Corte, che intervenivano alle varie sessioni, con tutti i diritti di precedenza ed i privilegi, a loro riconosciuti, dal rigido protocollo vigente nel vecchio Regno di Sardegna.

La disposizione delle varie cariche e dignità sui rispettivi seggi avrebbe, perciò rispettato l'ordine seguente: a destra della tavola sottostante il ritratto del Sovrano e sopra cui è posta la mazza della città, siede il Vicario che con lo squillo argentino del suo campanello proclama l'apertura e la chiusura della Sessione. Alla sinistra della tavola ha invece posto il Sindaco di prima classe. La panca di destra, in capo alla quale sta il Vicario, è riservata alla Corte, e presso di lui siede il Sindaco di II classe, vicino al quale sono assisi i Decurioni decorati dell'Ordine della SS. Annunziata, che non sono provvisti di un seggio distinto, ma di un cuscino di velluto trinato d'oro, al fine di non interrompere il corso uniforme delle panche. Vengono poi i Decurioni "fregiati" della dignità di Grande della Corona, di Aio o Governatore dei Principi Reali, di Ministro di Stato, di Grande di Corte, di Primo Scudiero gentiluomo di Camera, di Gentiluomo di Camera ed infine di Mastro delle Cerimonie.

Sala del consiglio (Sala Rossa)Sala del consiglio (Sala Rossa)

Osserviamo che nel prendere silenziosamente posto in questa panca i messeri Decurioni osservano unicamente le norme della precedenza loro spettante alla Corte dato che, in confronto ad essa, l'anzianità di decurionato non ha neppure la minima rilevanza. La panca di sinistra, in capo alla quale siede il Sindaco di I classe, è invece la panca dei Magistrati, e naturalmente, vediamo in essa i Decurioni che occupano le cariche di Primo Presidente, di Presidente Capo di Consigliere di Stato, di Presidente.

Nel centro della sala vi è poi una seconda tavola; quella del Segretario e ad essa vediamo avvicendarsi a turno i Decurioni che debbono riferire al Consiglio su qualche argomento ed i Clavarii che si accingono a presentare la loro "rosa" cartacea. Ma le parole dei Decurioni sono quete e pacate, pregne anzi di un superiore distacco tanto che si riaffacciano alla mente le raccomandazioni lette poco prima nei caratteri nitidi della "Raccolta delle Regie provvidenze di ordinati e di usi concernenti l'amministrazione della Città di Torino" "nello spiegare la propria opinione ognuno dovrà farla senza veruna parzialità nè verun altro fine che non sia il vero servizio della Città, il buon maneggio degli affari ed il pubblico bene, usando di quella prudente libertà e schiettezza, e di quel riserbo, che conviene al carattere di sì distinte persone".

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