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Lo scalone d'onore
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Pietro Fea da Casale, pittore non immemore delle liriche grazie rococò dei fratelli Galliari, già suoi maestri, cosparse le volte di un ciclo di affreschi di genere simbolico mitologico, realizzati con una gamma cromatica assai dimessa, (quasi un monocromo), nel preciso intento di fingere uno smisurato bassorilievo.
L'opera, condotta a termine entro il 1823, incontrò il pieno gradimento degli Illustrissimi ed Eccellentissimi Signori Sindaci e Decurioni, "i quali si compiacquero di coronare" la fatica dell'artista col dono di una medaglia "I"!!
Lusingato, il Fea, si ritenne in dovere di ricambiare l'omaggio, esponendo in un opuscolo, oggi rarissimo, edito dalla Tipografia Favale (1824) e dedicato ovviamente alla Civica Amministrazione, i motivi ispiratori, e le teorie, che lo avevano guidato nell'elaborare un sì tipico esempio di cerebrale neoclassicismo.
Trascriviamone il brano che più direttamente ci interessa, rinunciando alle innumerevoli disquisizioni accademiche, in verità, troppo sottili e prolisse. "I soggetti da dipingersi nella volta", spiega il Fea, "dovendo essere analoghi all'uso cui é destinato il Palazzo, é stato stabilito che il primo rappresentasse le quattro stagioni che offrono al Po ed alla Dora le produzioni del suolo del Piemonte.
Quello di mezzo la Fama, appiè della quale venissero distinti i principali edifici della Città. Ed il terzo, una Donna rappresentante la Città di Torino accanto alla Religione in atto di ricevere gli omaggi dalle Scienze, dalle Lettere, dalle Arti belle, dal Commercio, dall'Agricoltura, dall'Industria e dalla Milizia.
Furono similmente assegnati li soggetti di bassi-rilievi sulle pareti, i quali per una giusta corrispondenza col rimanente, doveano in diverse allegoriche medaglie simboleggiare la Giustizia, la Fedeltà, la Prudenza, la Pace e la pubblica Felicità".
Tanto per cominciare e sempre sostando nelle rampe della scala, ricorderemo le due nobili statue in legno scolpito, di autore ignoto che ci salutano da con cave nicchie e ritraggono in forme tardo settecentesche un po' stanche, l'una un guerriero dell'età classica dall'esuberante cimiero, degno di un eroe del Metastasio, l'altra una figura muliebre, intenta a specchiarsi.
Ci paion cose abbastanza notevoli che non stupirebbe fossero uscite dalla cerchia dei fratelli Clemente, per via di certe particolarità assai caratteristiche del panneggio delle vesti; vi si sente però già ben netta, individuata e vibrata, l'influenza del nuovo stile, della nuova visione, più classicamente composta, elaborata dal Collino.
Sulla parete prospiciente l'ultima rampa dello scalone si può ammirare una pregevolissima lapide, arieggiante le cadenze un po' grevi dello stile lanfranchiano, inaugurata nel 1924 a ricordo dei dipendenti municipali caduti durante la guerra 1915-18.
Ne fornì il disegno l'Arch. Giovanni Chevalley integerrimo ed illuminato
amministratore della cosa pubblica oltreché indagatore acuto delle forme
e delle vicende dell'architettura piemontese nel periodo barocco.