Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Quadro storico

La sede quattrocentesca

Il definitivo trasferimento, sia degli uffici, che degli organi municipali, in un sito corrispondente, press'a poco, a quello attuale, (e qui ricominciano le discrepanze fra i dotti), sembrerebbe essersi verificato sullo scorcio del sec. XIV, ovvero, al più tardi, nella seconda metà del '400.

Il Pastore accenna ad un atto d'acquisto stipulato però soltanto nel 1472, di un palazzo con portico e botteghe al piano terreno ed una grande sala al primo piano, posta nel quartiere di Porta Pusterla, in coerenza a levante con la "platea pubblica" cioè con la attuale Piazza Palazzo di Città. Ma la presenza di un simile documento non esclude, a nostro avviso l'ipotesi che il Comune si trovasse, già da parecchi decenni sistemato magari in qualità di semplice locatario, in uno stabile preesistente, forse integrato da altre costruzioni eterogenee, e quasi certamente, (si tratta di un elemento assai notevole), già prospettante verso la piazza.

Con ogni probabilità, é ad esso che si riferisce il Cibrario descrivendolo: "una fabbrica a due piani oltre il terreno, con grandi finestre gotiche incorniciate, le superiori schiette, le inferiori suddivise in due altri archi gotici da una colonnetta che stava in mezzo. Nel piano terreno aprivasi un, porticato similmente gotico"". Quindi più oltre in nota specifica: "Così vedesi in un quadro dipinto tra il 1630 ed il 1660 conservato nel Guardamobili della Città". Ed é altresì probabilissimo che ad esso si riferisca anche Riccardo Brayda nell'opuscolo estratto da "L'Esposizione Nazionale del 1898", nell'illustrare quello che egli riteneva dovesse identificarsi coll'antico Municipio, in base al disegno, databile tra il 1566 ed il 1568, da noi riprodotto, che lo raffigura nell'aspetto derivatogli in seguito ai restauri, proprio allora effettuati e consistenti nell'ammodernamento della forma delle finestre ai due piani, nonché nell'aggiunta di un terzo piano e dell'intonaco all'intera facciata.

Quanto poi alla sua ubicazione, rispetto al palazzo del Lanfranchi, il Brayda, a differenza di ciò che era stato scritto e ripetuto, negava che il summenzionato edificio potesse costituirne il nucleo centrale, e ciò pur supponendolo situato nelle immediate adiacenze. Per conto nostro, riteniamo che un aiuto imprevisto,ma prezioso ai fini della soluzione dell'enigma, ci provenga dalla lettura della seconda parte del documento, scoperto da Gaudenzio Claretta, e redatto il 19 gennaio 1661, "nella casa del Vicario Generale Capitolare, presente Petrino Malabaila prete di Villafranca e maestro del Venerando Seminario di Torino e Agostino Cipro, cittadino di Torino". Come si ricorderà, già se ne fece cenno nel capitolo precedente, per dimostrare la diretta connessione dell'intrapresa costruzione del nuovo Palazzo Civico, con il matrimonio del Duca Carlo Emanuele II, che si sperava presto concluso. Tramite la stipulazione di tale strumento, infatti, premesso "che non potevasi a totale, sua perfezione ridurre il disegno di esso palazzo, eccetto con valersi della casa del venerando Seminario della presente Cittá, ove si faceva l'osteria del Centauro", si procedeva all'acquisto dello stabile in parola, posto, e qui riteniamo stia l'importante, "a levante, mezzogiorno e ponente delle case proprie della Cittá della piazzetta detta del formaggio e a mezzanotte della strada vicinale per la quale si va nella corte rustica dell'Ill.mo et ecc. Signor Primo Presidente del Senato del Piemonte Gio. Francesco Bellezia".

La piazzetta "del formaggio" o, se si preferisce "del burro", altro non era che quella angusta distesa di terreno, aperta a levante, in precedenza denominata "di S. Benigno" da una chiesetta che ivi esisteva già prima del '300, e che la serrava per un lato, delimitandola dagli altri due lussuosi... alberghi! Ad officiare il tempio, erano stati invitati, nel 1568 i Frati della Madonna del Popolo retti dal celebre Fra Giovanni Battista Migliavacca, ascoltato lettore di metafisica all'Ateneo. Già sette anni dopo, però, il Comune, a quanto assicura il Cibrario, desiderando di allargar le sue case, e però volendo ridurre quella chiesa ad usi profani, ne trattò coll'Arcivescovo e ne ottenne mediante i debiti consensi la facoltà. Nel 1574 venne concessa ai panettieri forestieri la facoltà di smerciar i loro prodotti in codesta piazzetta, che, in seguito alla costruzione del Palazzo di Francesco Lanfranchi, venne trasformata in cortile conservando, tuttavia, sino a non molti anni fa, le antiche denominazioni di Cortile di S. Benigno o del burro.

Ma non vogliamo uscir dal seminato, e proseguiamo. Uno spoglio anche frettoloso degli "Ordinati Civici", emanati al tramonto del sec. XVI, e ai primordi del successivo, ci permette di apportare ulteriori ritocchi al disegno scoperto dal Brayda, ove non scorgiamo accenno di sorta alle pitture a fresco, campeggianti sulla facciata, e ritraenti i Santi protettori Giovanni Battista, Solutore Avventore ed Ottavio, pitture che, seppur rinnovate nel 1585 in occasione del solenne ingresso dell'Infanta Caterina d'Austria, sposa di Carlo Emanuele I, avrebbero richiesto appena tredici anni dopo un radicale ripristino a motivo dell'estremo deperimento, sennonché : "essendo la Cittá carica di debiti et la borsa comune esausta per le gravi spese fatte nel tempo della contagione" si preferì lasciarle andare a... ramengo!

Nel 1607, "per maggior segno di allegrezza ricevuta per la promozione... al Cardinalato", di Maurizio di Savoia, si deliberò di murare sul portale d'ingresso l'arma del Principe "fatta di rilievo col cappello di cardinale col suo festone di verdura ed altri ornamenti per maggior decoro d'essa arma". E per fare il punto sull'argomento, pur restando, pensiamo, sufficientemente dimostrato, come da ultimo l'antica sede del Comune torinese si componesse con ogni evidenza di un complesso quanto mai eterogeneo di fabbricati adattati e rabberciati alla meno peggio, ci sembra naturale concludere che i primi a sentirsi ormai stufi di trasportarsi da una catapecchia all'altra, dovessero proprio essere gli stessi Sindaci e Decurioni, e che, di conseguenza, la necessità di disporre finalmente di un palazzo, comodo, organico, veramente rappresentativo delle funzioni che al suo interno si esercitavano, venisse ad assumere ai loro occhi l'importanza di una questione di prestigio politico internazionale, trascendente i limiti degli inevitabili problemi urbanistici che ne sarebbero scaturiti.

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