Città di Torino

Trecento anni di vita del Palazzo Civico di Torino 1663 - 1963

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Quadro storico

Il "palazzo del comune" di Torino: le antiche sedi

Ove ci si volesse rendere esatto conto dell'importanza attribuita dai Torinesi del 1663 all'erezione di un edificio ragguardevole per la sua mole solenne ed imponente e per la funzionale successione di vani, onde adibirlo a sede delle magistrature civiche, occorrerebbe, anzitutto, soffermarsi alquanto sulla situazione edilizia che guerre, invasioni, epidemie avevano fatalmente determinato, provocando garbugli e smagliature nel nitido reticolato delle "insulae" romane.

L'antica pianta della città annessa alla Storia del Pingone, unita a talune corrosive pagine del Cibrario, può assumersi tuttavia quale testo eloquentissimo sull'argomento. E infatti se al ritorno negli aviti domini lo stesso Duca Emanuele Filiberto, non avendo trovato in tutta la capitale una sola dimora decorosa per la corte ed il seguito, si era visto costretto a ricorrere ad una sistemazione di fortuna nel Palazzo Vescovile, quale sorpresa proveremo nel constatare come anche per i pubblici uffici ci si fosse dovuti per secoli accontentare di soluzioni di ripiego, tali da imporre per la loro precarietà frequenti traslochi e mutamenti. Né, d'altro canto, stupirà che le opinioni dei vari autori risultino al riguardo quasi sempre confuse e contraddittorie. Modesto Paroletti, per cominciare, ipotizzava :"dans les tems reculés le Pálais de la Comune devait se trouver sur la tue des guaire Pierres (oggi Via Porta Palatina) et ensuite dans le quartier de la. Porte des Marbres, in quarterio Marmoriae, c'est á dire de la vieille Tour et de l'Eglise de Saint François".

Questo brano della celebre "Description de Turin", benché sostanzialmente esatto, necessita, però, di svariate precisazioni a causa della sua forse voluta laconicità, che in poche righe pretenderebbe abbracciare una vicenda di secoli. Nella contrada delle Quattro Pietre ad esempio, l'Arch. Emilio Bruno, amico e collaboratore di Carlo Ceppi, situava, e con lui Ferdinando Rondolino, il romano Palazzo del Pretorio demolito durante il Medioevo e trasformato nel corpo di fabbricati, ove, Riccardo Brayda, negli ultimi anni dell'800, scoprì (e poi restaurò), i superstiti avanzi d'architettura civile privata dell'età di mezzo, ancor oggi visibili a Torino. Si sarebbe insomma trattato per Bruno e Paroletti del "Palatium Comunis Taurini quod est Domini Imperatoris" che il Comm. Gino Pastore, Capo dell'Archivio Storico Municipale opina, invece, sorgesse già sin dal. sec. XII nell'isolato o "Carignonum" all'angolo di Via Garibaldi e Via S. Francesco, concordando in ciò col Cibrario, che lo situava (doc. Venerdì I° agosto 1225) sul lato sinistro di Via Doragrossa e con prospetto sulla via, specificando però che molti atti giuridici e tabellionali venivan redatti nell'annesso portico, e che il Vicario «rendea ragione nell'attigua casa dei Bergesi».

Secondo Emilio Bruno viceversa, nel 1270, le civiche magistrature si trovavano ospitate "in domo Porcellorum", vale a dire nel palazzo della nobilissima ed' opulenta famiglia Porcelli, residente in "Piazza del Grano", (oggi del Corpus Domini).

Sei anni dopo lo stesso Bruno ci riporta nelle case dei Borgesi, davanti alla Chiesa parrocchiale di S. Gregorio, già menzionata nel 1208, che il Lanfranchi avrebbe poi ricostruito nel 1667, trasformandola nell'odierna S. Rocco. Comunque si trattava sempre di soluzioni di ripiego. E tanto é vero che i "Savi" presero addirittura l'abitudine di tenere le sedute del Consiglio nel refettorio del Convento di S. Francesco, (forse per la stesura dei verbali i buoni frati si mostravano più esperti nel maneggiar la penna), che già custodiva la cassa e l'archivio del Comune. Senza contare poi, che quando "s'andava in oste" la piazza antistante la chiesa diveniva il luogo di raduno delle salmerie. Fortunatamente le successive vicende a decorrere dal secolo XIV sembrano delinearsi con maggior chiarezza davanti agli occhi degli storici, sicché a Dio piacendo, anche dal confronto dei testi si riesce a ravvisare una soddisfacente convergenza di ipotesi e conclusioni.

Un atto del 27 novembre 1335, religiosamente conservato negli archivi della Città, ci consente in effetti di apprendere che Caterina di Vienna, principessa d'Acaja aveva proprio in quei giorni deliberato di «concedere al Comune una casa di confortevoli proporzioni, confiscata poc'anzi ai banchieri Grassi nel l'a isola di S. Simone», presso una misera chiesuola su cui aveva diritto di patronato la Corporazione degli Orafi e Argentieri. Lo stabile, oltre che per le adunanze consiliari, nelle intenzioni della Sovrana doveva servire anche al giudice «pro jure reddendo et justicia facienda et pro suo stallo» . Il Comune nel prenderne possesso lo modificò sensibilmente. "Vi fece" narra il Cibrario "un ballatoio da cui si potessero leggere le sentenze al popolo, e un belfredo, in cui collocò la campana per suonare l'aringo".

Tale «belfredo» va quasi certamente salutato come il primo embrione della Torre Civica torinese. Di essa ci occuperemo più oltre, limitandoci, qui, ad osservare che, non consentendo le scarse risorse finanziarie di allora, l'acquisto di una campana in proprio, la civica amministrazione continuò per parecchi anni ad usufruire praticamente di quella issata sulla torre del confinante palazzo, di proprietà, ricordiamolo, di Albertino Borgese.

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