Archivio storico della Città di Torino



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Approvvigionare Torino - Un mercato regolato

LE RISORSE DEL TERRITORIO
Al centro di un'area di produzione agricola e zootecnica particolarmente fiorente, alle soglie dell'età moderna Torino godeva di una situazione alimentare privilegiata.
Il Piemonte aveva infatti una produzione di cereali, di vino e di altre derrate alimentari superiore ai consumi della sua popolazione e disponeva di vaste estensioni di prati e di pascoli adatti all'allevamento del bestiame. La provincia di Torino poi era fra le aree del Piemonte più intensamente coltivate e forniva alla capitale buona parte dei prodotti alimentari, di cui questa aveva bisogno.

LE DISPOSIZIONI POLITICO AMMINISTRATIVE IN MATERIA DI APPROVVIGIONAMENTI
Nonostante queste positive premesse, approvvigionare Torino non fu compito di poco impegno, come rivela l'abbondante documentazione prodotta dagli organi cittadini e statali che, in vario modo, si trovarono a gestire il problema.
La responsabilità spettava fin dal Medioevo all'amministrazione comunale, cui toccava regolamentare il sistema, mentre il vicario della città - dotato di compiti amministrativi e giuridici - doveva provvedere ai controlli e alla repressione. Tra Cinque e Seicento, tuttavia, si sarebbero fatte più frequenti e pesanti le intromissioni del potere ducale, che mirava a coordinare tutta la politica annonaria del paese.
Allo Stato toccava disporre interventi più generali, di politica agricola, zootecnica e commerciale che, pur privilegiando le esigenze alimentari della capitale, tenessero conto degli interessi dei produttori e delle necessità del resto del paese.
In questa complessa situazione la priorità veniva data al rifornimento di grano, da cui dipendeva la fabbricazione del pane, principale alimento delle fasce più deboli della popolazione. Assicurare l'abbondanza di pane a poco prezzo era considerata regola fondamentale di ogni buon governo e condizione indispensabile a garantire la pace sociale. Nessun governante poteva infatti ignorare i rischi per l'ordine pubblico che la mancanza di pane e gli alti prezzi potevano provocare, né trascurarne gli effetti destabilizzanti. La normativa in materia d'annona rifletteva dunque la preoccupazione di far confluire derrate nei centri urbani e di tutelare i consumatori, senza tuttavia deprimere la rendita dei possidenti.
Quando l'amministrazione cittadina non era in grado di far fronte alla penuria con la normativa ordinaria, si interveniva con misure straordinarie: si acquistava grano con denaro pubblico, lo si immagazzinava per poi immetterlo sul mercato a prezzo politico o per rifornire i panettieri con merce a prezzo calmierato. Quando questi interventi non sortivano gli effetti sperati o diventavano rovinosi per le finanze cittadine a essere coinvolti erano gli organi statali (Delegazioni e Giunte d'annona), che provvedevano bloccando le esportazioni, requisendo merci direttamente nelle zone di produzione e, se necessario, facendo acquisti all'estero. Ciò si sarebbe verificato sempre più spesso nel corso degli ultimi due secoli dell'età moderna e non certo perché mancassero le regole.
Il commercio di tutti i generi essenziali alla sopravvivenza umana era regolato da un complicato sistema di controlli, ereditato in gran parte dal Medioevo, che faceva perno sul mercato cittadino, come luogo destinato agli scambi, e mirava ad assicurare ampia disponibilità di prodotti di buona qualità, a prezzi equi.


Editto del luglio 1773

1. Editto di Sua Maestà che proibisce l'estrazione dei grani da' Regi Stati, 1 luglio 1773
(ASCT, Carte sciolte, n. 4992).

Carte sciolte, n. 4943

2. Autorizzazione concessa dal duca Carlo Emanuele I alla Città di Torino per l'acquisto di 1000 sacchi di grano nei paesi dello stato per provvedere alle necessità dei poveri, 14 agosto 1596
(ASCT, Carte sciolte, n. 4943).

Le disposizioni annonarie emanate tra Sei e Settecento miravano ad assicurare ai Torinesi grano e pane a buon mercato e in abbondanza e, secondariamente, pasta, carni, latticini, grassi animali e vegetali, vino, frutta e verdura fresca e infine fieno, legna e carbone per la cottura degli alimenti e per il riscaldamento.
Far convergere merci verso la capitale era certo di vitale importanza, ma non sufficiente a garantire qualità e prezzi equi. Occorreva anche controllare il funzionamento del mercato, assicurarne la regolarità, indipendentemente dalle variazioni della produzione, e vigilare sull'affluenza delle merci, sugli stocks, sui prezzi e sul commercio al dettaglio.
Allo scopo di limitare gli effetti della intermediazione tra produttori e consumatori, considerata responsabile dell'innalzamento dei prezzi, numerose disposizioni proibivano ai bottegai e ai rivenditori l'accesso e la contrattazione per gran parte della mattina (da inizio del mercato a mezzogiorno, quando veniva tolta la banderuola della città), concedendo loro di rifornirsi solo dopo che i privati cittadini avevano concluso gli acquisti. Le merci comprate dai negozianti sarebbero finite nelle varie botteghe della città, per la comodità dei privati che avrebbero potuto fare compere nei giorni e nelle ore in cui non si teneva mercato.
Quest'ultimo era tuttavia il luogo in cui si commercializzava gran parte delle derrate. Fino alla seconda metà del Seicento queste erano vendute in modo abbastanza indifferenziato nelle varie aree mercatali della città: innanzi tutto su piazza delle Erbe, dinanzi al Municipio che, con le annesse piazzette del burro, del Corpus Domini e di San Rocco, ospitava il mercato ortofrutticolo, dei prodotti caseari, dell'olio, delle carni, dei pesci d'acqua dolce.
Venditori di articoli vari si trovavano anche in piazza Castello, nella piazza dinanzi al Duomo, e infine negli emicicli antistanti le porte della città.
A partire dalla seconda metà del Seicento, grazie all'ingrandimento di Torino verso porta Nuova, verso il Po e infine verso nord (in direzione di Rivoli), si costituì una serie di nuove piazze che consentirono una certa diversificazione dei mercati: piazza San Carlo sarebbe diventata la sede del mercato dei cereali, piazza Carlina avrebbe ospitato i venditori di vino e per un certo tempo anche il mercato della legna, del carbone, del fieno e della paglia, finché non si scelse di adibire allo smercio di legna e carbone l'area antistante la Cittadella.
In ciascun quartiere, tuttavia, si sarebbe fatto in modo che la piazza principale fosse anche sede di mercato non specializzato per gli abitanti della zona. Così piazza Carlina avrebbe ospitato banchi di frutta e verdura e di altre derrate alimentari oltre ai venditori di vino, e piazza Susina (ora Savoia) un mercato ortofrutticolo e di altri generi alimentari (formaggi, lumache ecc.), comodo per i clienti del quartiere. Analogo criterio sarebbe stato scelto per i prodotti della Riviera ligure (olio d'oliva, agrumi, pesci di mare) che si vendevano nell'Osteria del Gamellotto, allo Scudo di Francia vicino a piazza delle Erbe e ai Due cavalli bianchi in prossimità di porta Nuova.
Sede di mercato ortofrutticolo era pure la piazza dinanzi alla porta Palazzo, mentre commerci particolari si tenevano dinanzi al Duomo (polli, uova, selvaggina) e in piazza Castello (arnesi di legno e ceste). Qui si svolgevano anche le grandi fiere annuali che richiamavano a Torino venditori di tutto il paese.
Se nella città medievale la piazza del mercato era pressoché equidistante dalle quattro porte e si raggiungeva percorrendo vie obbligate, nella città settecentesca il traffico andava regolamentato, pena la paralisi. Si stabilì che ogni area mercatale potesse essere raggiunta solo entrando da una certa porta e seguendo un percorso prestabilito, che teneva conto delle dimensioni dei carri e della natura delle merci trasportate. Gli spostamenti da un capo all'altro della città andavano fatti girando intorno alla cinta urbana esternamente alle mura e per la consegna delle merci a domicilio occorreva aspettare la fine del mercato e usare carri non troppo ingombranti, in grado di muoversi agilmente anche nelle strette vie della città vecchia.


Giovanni Michele Graneri, Estrazione della lotteria, piazza delle Erbe

3. Giovanni Michele Graneri, Estrazione della lotteria, piazza delle Erbe, Torino, olio su tela, 1756
Sede principale dei commerci cittadini, la piazza ospita bancarelle di frutta e verdura, prodotti caseari, sementi, carne, tele, mentre sul balcone del palazzo municipale ha luogo l'estrazione della lotteria per l'assegnazione delle case
(Sarasota, Florida, The John and Mable Ringling Museum of Art).




Giovanni Michele Graneri, Mercato d'inverno

4. Giovanni Michele Graneri, Mercato d'inverno, Torino, olio su tela, se. XVIII
(Torino, Museo Civico d'Arte Antica e Palazzo Madama).


Tavola del Theatrum Sabaudiae
5. Piazza delle Erbe nell'incisione anonima su disegno di Giovanni Tommaso Borgonio in Theatrum Statuum Regiae Celsitudinis Sabaudiae Ducis, I, Amstelodami, Blaeu, 1682
(ASCT, Collezione Simeom, N 1, tav. 17).

Mercato delle Erbe

6. Mercato delle Erbe, litografia a colori di Marco Nicolosino, circa 1820
(ASCT, Collezione Simeom, D 286).


Pieter Bolckmann, Veduta di piazza Castello

7 Pieter Bolckmann, Veduta di piazza Castello e della via nuova con scene di vita popolare, olio su tela, 1705
(Torino, Museo Civico d'Arte Antica e Palazzo Madama).


Pianta dei principali mercati dei Commestibili, Combustibili, Vino, Foraggi

8. Piano generale di tutte le Piazze della Città nelle quali sono stabiliti li principali mercati dei Commestibili, Combustibili, Vino, Forraggj e dei Rigattieri, disegno a penna e acquerello di Gaetano Lombardi, 28 ottobre 1819
(ASCT, Tipi e disegni, 15-5-5).


Antonio Maria Stagnon, Laura.

9. Antonio Maria Stagnon, Laura. Revendeuse de Turin, incisione in rame acquerellata in Recueil général des modes d'habillements des femmes des États de Sa Majesté le Roi de Sardaigne […], circa 1785, tav. 8
(ASCT, Collezione Simeom, D 1990).

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