Cittą di Torino

Museo della Frutta

“…frutti modellati così vivamente dal vero da scambiarli coi naturali…” – Francesco Garnier Valletti

Glossario

Caccia Bartolomeo Giuseppe (? – 1749)
Medico, botanico e maestro di Carlo Allioni. Nel 1729 è nominato professore della cattedra Ordinaria di "Bottanica" presso la Facoltà di Medicina di Torino da Vittorio Amedeo II. La data coincide con il riconoscimento della Botanica come disciplina universitaria e con l’istituzione della cattedra ordinaria all'Università di Torino. Nello stesso anno, per volere del Re, i giardini corrispondenti all’attuale Orto Botanico, diventano proprietà dell’Università e Caccia è nominato suo direttore, carica che mantiene fino al 1749. La botanica, disciplina allora prevalentemente di "servizio", era volta soprattutto allo studio delle proprietà terapeutiche dei «semplici» (varietà vegetali con proprietà medicamentose. La parola «semplici» viene dal latino medievale «medicamentum» o «medicina simplex» usata per indicare le erbe medicinali) utilizzati per la preparazione di farmaci. Caccia, oltre ad occuparsi della loro coltivazione ed ostensione, inizia a studiare criticamente l'utilizzazione delle specie medicinali, avviando una sorta di revisione farmacologica, per ridurre usi impropri e allontanare superstizioni. Nell'Orto di Torino, accanto a questo tipo di studi, iniziano ben presto quelli floristici, legati all'indagine sulle specie spontanee del territorio e su altre, esotiche, che potevano essere introdotte ed acclimatate con successo a scopo medicinale, alimentare, ornamentale. L'Orto acquista, quindi, con questo nuovo tipo di collezioni vive un'impostazione più moderna diventando luogo di raccolta, di coltura, di didattica e di ricerca: la botanica diventa via via scienza autonoma, sempre meno asservita alla medicina. Nel 1839 viene eletto consigliere del Protomedicato e nel 1742 primo consigliere. A Caccia si deve l’inizio della realizzazione dell’Iconographia Taurinensis, la raccolta in 64 volumi di 7470 tavole disegnate e acquerellate relative all’illustrazione grafico-pittorica delle varietà coltivate nell’Orto Botanico nel secolo XVIII, poichè chiama a lavorare il pittore botanico Giovanni Battista Morandi (Milano, notizie 1732/1745) che realizza circa 400 tavole acquerellate.
[fonte: R. Caramiello, G. Scalva, L’Orto Botanico dell’Università al Valentino, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Cenere
La cenere è il residuo solido della combustione: una polvere molto fine di colore grigio, in quasi tutte le tonalità, dal nerofumo ad un grigio chiarissimo, quasi bianco. L’esatta composizione chimica della cenere varia a seconda del particolare tipo di combustibile da cui ha origine e della temperatura di combustione. In genere è composta da sostanze fortemente ossidate e con temperature di fusione e vaporizzazione molto alte, come i composti ionici dei metalli (in particolare carbonati e ossidi) e povera di composti degli elementi leggeri, ed è priva di acqua.
Ceroplasta
[dal greco kēroplástēs, tramite il latino tardo ceroplasta]. Chi plasma la cera.
È l’arte di plasmare in cera, praticata già dalle antiche civiltà del Mediterraneo per produrre figure umane impiegate prevalentemente durante riti magici e religiosi. La duttilità di questo materiale e il suo stesso aspetto, che bene simula consistenza e colore dell’epidermide umana, assicurano infatti esiti di sorprendente realismo. I romani eseguivano in cera colorata le figure votive delle divinità domestiche e le immagini degli antenati e dei defunti, esposte durante i cortei funebri o conservate all’interno delle case. Nel medioevo si realizzavano statue votive in cera e, in Francia e in Inghilterra, sono attestate dalla metà del secolo XIV figure di santi e defunti in grandezza naturale. Dal Rinascimento in poi, la cera conosce più vasta applicazione, dai bozzetti di piccole dimensioni ai sigilli e alle medaglie, sino ad acquistare piena dignità artistica nelle placchettte a rilievo con scene storiche e mitologiche e nelle medaglie con effigie di personaggi storici, di cui si trovavano esempi in Italia e in Francia durante i secoli XVII e XVIII. La cera fu, inoltre, impiegata dagli scultori per plasmare forme e figure destinate alla fusione in metallo. A partire dal XVIII secolo si diffonde l’impiego della cera per la realizzazione di parti anatomiche e botaniche a supporto delle scienze e ad uso didattico. In Italia, soprattutto in Toscana, e nel resto d'Europa (la Francia innanzitutto, ma anche la Germania, l’Austria e la Repubblica Ceca) la ceroplastica e il modellismo pomologico vantavano una tradizione le cui origini devono essere rintracciate a partire dalla metà del secolo XVIII e raggiunsero la loro massima espansione nel secolo successivo. L'insaziabile curiosità enciclopedica che caratterizzò tutto il secolo XIX diede impulso, nonostante la nascita della fotografia, all'uso del modellismo che proliferò in tutti i settori scientifici. In particolare, i ceroplasti realizzavano modelli per l'insegnamento delle scienze mediche, botaniche e zoologiche. La cera, grazie all'estrema malleabilità intrinseca alla materia stessa e alla sua facile reperibilità a costi contenuti, era il materiale usato più frequentemente, ma altrettanto utilizzati erano il gesso, la creta e la carta pressata rivestita in gesso.
[fonte: P. Costanzo, I segreti della tecnica di Francesco Garnier Valletti, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Cirio Francesco (Nizza Monferrato, 1836 – Roma, 1900)
Fondatore della ditta omonima, inizia la sua brillante carriera come venditore ambulante di ortaggi, prima a Nizza Monferrato e poi al mercato di Porta Palazzo a Torino, dove si trasferisce a 14 anni, senza alcun capitale e semianalfabeta. Straordinariamente intraprendente, passa in pochi anni dalle ceste, al carretto di ortaggi e poi al grande commercio internazionale. Nel 1856, quando si stanno sperimentando in Europa nuovi metodi di conservazione dei prodotti alimentari, Cirio prende in affitto un locale in via Borgo Dora 34 dove installa due caldaie e inizia, con successo, ad inscatolare piselli e altri legumi. Si trasferisce quindi nel napoletano, dove le terre sono più adatte alla coltivazione di pomodori, ortaggi e frutta. La sua ditta, la più importante in Italia nel settore, pur attraversando alcuni periodi difficili, riesce ad imporsi sul mercato internazionale e ad esportare grandi quantitativi di prodotti freschi e in scatola. A tal fine Cirio stipula accordi con le ferrovie per il trasporto celere e refrigerato di generi alimentari. L'apprezzamento espresso dal pubblico e dagli operatori all'Esposizione Universale di Parigi nel 1867, sancisce il successo internazionale del marchio. Parallelamente, l'espansione territoriale si consolida con l'apertura di stabilimenti ed empori a Castellammare di Stabia, Milano, Berlino, Londra, Bruxelles, Parigi, Belgrado e Vienna. Torino ricorda la sua straordinaria avventura imprenditoriale con una lapide a Porta Palazzo, mentre Nizza Monferrato – sua città natale - gli ha dedicato un busto, opera di Leonardo Bistolfi.
[fonte: R. Allio, Gli Orti sperimentali dell’Accademia di Agricoltura di Torino, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Città della Scienza (La)
La definizione fu coniata dal deputato Tommaso Villa (1832–1915) in occasione della distribuzione dei premi all’Esposizione Generale Italiana del 1884. Egli auspicava che nel luogo dell’Esposizione - vale a dire nel Parco del Valentino a Torino - potesse sorgere «… una Città dedicata specialmente alla scienza». Il pensiero fu poi ripreso l’anno successivo dal deputato Filippo Mariotti (1833-1911), che si rivolse al ministro Michele Coppino per indicare, con questa definizione, il complesso dei nuovi edifici destinati alle facoltà scientifiche universitarie.
A seguito di numerose manifestazioni di protesta da parte degli studenti universitari e del corpo insegnante contro la mancanza di adeguati spazi, già nel 1883 era stata firmata una convenzione tra il Governo, gli enti locali e l’Università di Torino (ratificata poi il 29 gennaio 1885) finalizzata alla costruzione di un nuovo polo scientifico universitario. Si aprì, allora, un vivace dibattito relativo al luogo dove avrebbero dovuto essere eretti i nuovi edifici, che vide schierate due opposte fazioni: i «camposantisti» auspicavano che il luogo scelto fosse quello prospiciente il Cimitero Generale, in regione Vanchiglia, della cui vicinanza avrebbe certamente tratto giovamento il costituendo Palazzo destinato agli Istituti di Anatomia umana e Medicina Legale; i «valentinisti» chiedevano invece che il nuovo complesso universitario sorgesse ai margini del Parco del Valentino. La questione si chiuse con la vittoria di questi ultimi. Si affermava così il principio su cui si basava il peso e il ruolo che la scienza sperimentale doveva avere nella Torino della modernità: il problema, risolto sulla carta, restava da affrontare nei fatti. Bisognava prima di tutto scegliere i progetti che avrebbero accontentato sia le pretese dei corpi universitari, sia conferito fastosità e imponenza a quella parte della città. Nell’adunanza avvenuta in Prefettura il 19 gennaio 1884 la scelta cadde sulla proposta avanzata dai professori universitari di affidare la progettazione all’ingegnere romano Leopoldo Mansueti che aveva precedentemente affrontato, con successo, lo stesso problema nella capitale. A lui sarebbe toccato l’incarico di redigere i progetti d’arte dei quattro nuovi edifici lungo corso Massimo d’Azeglio, di fronte al Valentino, e di seguirne con attenzione la realizzazione. Oltre ad assicurare all’interno una facile e comoda fruizione quotidiana di aule, laboratori scientifici e musei, la Commissione municipale d’ornato chiese che fosse garantito “uno studio accurato dei particolari architettonici esterni, allo scopo di rendere (gli edifici) più armoniosi e proporzionati tra di loro”, esprimendo anche il desiderio “che nelle costruzioni venisse fatta larga parte dell’impiego della pietra da taglio”. I progetti vennero realizzati ed approvati tra il 1885 e il 1886, in una situazione di gravissimo ritardo rispetto alle decisioni prese all’indomani della creazione della convenzione del 1883 che aveva decretavo il termine ultimo dei lavori e l’ingresso degli studenti nei nuovi spazi nel 1887. Dalla messa in atto esecutiva del progetto, avvenuta con Regio Decreto del 28 giugno 1885, per la conclusione dei lavori dei quattro fabbricati ci vollero: sei anni per quello di Fisica ed Igiene (1890), sette per quello di Fisiologia, Patologia generale e Materia medica (1891), nove anni per la consegna dell’Istituto di Anatomia umana (1893) e dieci per quello di Chimica (1894). In ultimo rimase da sciogliere il complesso problema dell’arredamento dei quattro poli scientifici visto che si era deciso di creare tutto ex-novo e di non riutilizzare gli arredi e la strumentazione esistente. Vennero così stanziati nuovi fondi e gli edifici furono inaugurati nella loro piena funzionalità, cosicché nel 1894 vi poterono accedere gli studenti di Patologia generale, nel 1896-1897 i fisici e gli igienisti, nel 1898 gli anatomici e nel 1902 i chimici. Il risultato fu comunque più che soddisfacente e gli Istituti universitari rappresentano al meglio l’importanza attribuita alla formazione scientifica tra Otto e Novecento, rendendo l’area del Valentino, divenuta ora anche “città della scienza”, un grande polo universitario.
[fonte: L. Avataneo, La “Città della Scienza”, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Collezioni pomologiche Garnier Valletti
Dalle centinaia di stampi realizzati da Francesco Garnier Valletti in quarant’anni di attività uscirono quasi 5.000 modelli, ripetuti più volte, per fornire ai musei naturalistici e alle scuole, collezioni di frutti artificiali a supporto dell’insegnamento pomologico, ma anche per vivaisti e amatori. Una vera e propria produzione in serie, rigorosamente scientifica ed esaustivamente rappresentativa delle specie frutticole e viticole del tempo, consistente in 1200 varietà di frutti e 600 di uve, di cui si ha menzione nei cataloghi realizzati dall’autore e, dopo la sua morte, dalla figlia Paolina. Di questa ricchissima produzione sono sopravvissuti, per la fragilità del materiale, per le vicissitudini di trasferimenti o per la scomparsa di intere raccolte, sei insiemi: oltre agli esemplari conservati dall’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante di Torino – ora al Museo della Frutta - sono attualmente note soltanto altre cinque collezioni riferibili a Garnier Valletti. Sempre a Torino l’Accademia di Agricoltura conserva, oltre ad una raccolta di quasi 700 pezzi, anche gli oltre 12.000 disegni e schizzi opera dello stesso Garnier Valletti. L’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università degli Studi di Milano custodisce invece 958 modelli. La presenza di altre due collezioni è registrata a Firenze, una all’Istituto Tecnico Agrario, l’altra presso la Società Toscana di Orticoltura; l’ultima raccolta di cui siamo a conoscenza è quella dell’Istituto Tecnico Agrario “Augusto Ciuffelli” a Todi.
Colofonia
Detta «pece greca», il suo nome deriva dall’antica città ionia di Colofone. É una resina giallastra che si ottiene dalla distillazione delle trementine (resine di conifere). Ha l’aspetto di una massa resinosa, trasparente, più o meno ambrata e si scioglie facilmente nell’alcool e nell’etere. Nell’Ottocento trovò largo utilizzo nella fabbricazione di vernici per il suo alto indice di rifrazione che satura e rende brillanti i colori. Ancora oggi si usa nell’industria delle vernici e degli adesivi.
Confettiere
Durante tutto l’Ottocento, in Piemonte – e, a Torino, in particolare - si vanno perfezionando tecniche e metodi dell’arte dolciaria, ispirati alla produzione della vicina Francia, raggiungendo livelli di assoluta eccellenza, la cui nascita va rintracciata nelle antiche Università di Arti e Mestieri che, fin dall’inizio del Seicento, sono presenti in città. Accanto ai pasticcieri e ai maestri cioccolatieri, svolge la sua attività in modo autonomo il confettiere che “si occupa del far confezioni d’ogni sorta e (…) lavori di zucchero. Alcuni confettieri compongono anche biscottini, marzapani, (…) ma in questo (…) usurpano essi i diritti del pasticciere. Il confettiere eseguisce in zucchero ogni maniera di disegni, di prospettive, di figure ed eziando di opericciuole architettoniche molto complicate di cui si abbelliscono le splendide imbandigioni (…) Un tempo i confettieri imitavano i frutti facendo una pasta (….) si modella (…) si dipingono esternamente i frutti ed i fiori coi colori che adopransi nelle miniature”.
(da: Nuovo dizionario universale tecnologico o di arti e mestieri e della economia industriale e commerciante, compilato da Lenormand, Payen, Molard, Jeune, Laugier, Francoeur, Robiquet, Dufresnoy et alii, traduzione italiana, G. Antonelli, Venezia, 1832)
Chiesa e convento di San Solutore (San Salvatore di Campagna)
La presenza della cappella di San Salvatore (o Solutore) di Campagna a Torino è documentata già a partire dal XI secolo. Distrutta durante l’assedio del 1640, la chiesa fu ricostruita per volere della “madama reale” Maria Cristina di Borbone (1606 - 1663) all’estremità opposta del Viale del Valentino (oggi corso Marconi), lungo la strada di Nizza, dall’architetto ducale Carlo di Castellamonte (1560-1641), mentre il figlio Amedeo (Torino, 1610 – 1683), a partire dal 1645 e parallelamente al completamento dei lavori al Valentino, progettò la costruzione dell’annesso convento. Nel 1653, la chiesa fu assegnata ai Servi di Maria sostituiti, nel 1837, dalle Figlie della Carità (suore vincenziane) che vi stabilirono la loro sede centrale, vi aprirono l’Ospedale di San Salvario e, in due riprese (1860 e 1900), ampliarono il convento verso sud.
Conzié François-Joseph, de (Rumilly, 1707 – Chambéry, 1789)
Nasce da una nobile famiglia savoiarda a Rumilly, nei pressi di Annecy, nel 1707. Proprietario terriero e grande amico di madame Françoise-Louise de Warens (1699-1762) ha, proprio in virtù dell’amicizia che lo lega a quest’ultima, un ruolo importante nella formazione culturale del giovane Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), col quale intrattiene un lungo e proficuo scambio intellettuale. É nella sua biblioteca privata, formata da circa 2500 libri, tra i quali spiccano tutte le opere di Voltaire (1694-1778), che il giovane filosofo ginevrino acquisisce, negli anni dell’adolescenza trascorsi nella casa di campagna delle “Charmettes” a Chambéry presso Madame de Warens, la sua impressionante cultura nei campi più disparati del sapere. Muore a Chambéry nel 1789.
[fonte: S. Montaldo, I Burdin. Una dinastia di vivaisti tra Savoia e l’Italia, in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]
Cossa Alfonso (Milano, 1833 – Torino, 1902)
Di nobili origini, nasce a Milano il 3 novembre 1833 e nel 1857 si laurea in Medicina presso l'Università di Pavia. I suoi interessi però si orientano presto verso la chimica agraria, traducendo, fra l’altro, due opere del famoso chimico tedesco Justus Von Liebig - I principi fondamentali dell'agricoltura (1855) e La teoria e la pratica dell'agricoltura (1857) - proponendo al grande pubblico l'uso innovativo dei fertilizzanti inorganici. Nel 1861 diviene professore di Chimica all'Università di Pavia e preside dell’Istituto Tecnico della città. Nel 1866 è chiamato ad Udine da Quintino Sella (1827-1884) con l'incarico di fondare il locale Istituto Tecnico, di cui diviene preside e docente fino al 1872. Per influenza di Sella, mineralogista e cristallografo insigne, l'interesse di Cossa si sposta dalla chimica agraria a quella mineralogica. Nell'anno 1872-1873 Cossa è direttore e professore della Scuola Superiore di Agricoltura in Portici, poi è chiamato a Torino a ricoprire il ruolo di direttore della Stazione Agraria (1873-1882) e quello di professore di Chimica Agraria al Regio Museo Industriale. Nel 1887 è nominato direttore della Scuola di Applicazione per Ingegneri, carica che mantiene fino alla morte, avvenuta a Torino il 23 ottobre 1902. Membro di numerose istituzioni italiane e straniere, tra cui l'Accademia Nazionale dei Lincei (dal 1877) e l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Cossa è stato anche presidente della Reale Accademia delle Scienze di Torino (1901).
[fonte: M. Benassi, F. Levi, V. Marchis, Dalla Stazione Sperimentale Agraria alla Sezione Operativa Periferica di Torino dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante (1871-2001), in: Daniele Jalla (a cura di), Il Museo della Frutta “Francesco Garnier Valletti”, Milano, Officina Libraria, 2007]

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