Archivio storico della Città di Torino



Mostre

Le Esposizioni torinesi
1805-1911

a cura di Luciana Manzo e Fulvio Peirone

Le prime esposizioni propriamente dette, organizzate allo scopo di mettere in mostra i progressi compiuti in campo tecnologico, ebbero luogo in Inghilterra nella seconda metà del Settecento, su impulso della London Society of Arts. Ma vero precursore delle successive esposizioni universali fu il modello inauguratosi in Francia alla fine del XVIII secolo che assolse esemplarmente la funzione simbolica di autocelebrazione politica, mostrando in rassegna la potenza industriale francese e premiando enfaticamente i prodotti ritenuti dannosi per l'economia inglese.
Nel 1805 le autorità torinesi, su impulso dell'amministratore generale Menou, imitarono il modello parigino, invitando artisti e fabbricanti dei sei dipartimenti al di qua delle Alpi a esporre i propri prodotti in occasione del passaggio a Torino di Napoleone, diretto a Milano a cingere la corona ferrea. La rassegna rispecchiò fedelmente lo stato dell'economia piemontese, ancorata a strutture produttive di tipo protoindustriale e penalizzata dalla politica commerciale francese. L'anno successivo i produttori piemontesi furono invitati a partecipare alla prima grande esposizione dell'impero, allestita a Parigi in Place des Invalides e destinata in parte a offrire una mappatura statistica dell'economia francese.
Le successive esposizioni torinesi ebbero luogo nel 1811 e nel 1812, in occasione della festa di San Napoleone (desunto dalla liturgia egiziana, questo santo fu inserito nel calendario nel 1806, in concomitanza con il genetliaco di Napoleone che cadeva il 15 agosto). Volute da Prospero Balbo, e organizzate col concorso della Camera di Commercio, furono l'emblema della convergenza realizzatasi negli anni della dominazione napoleonica tra il sapere, la ricerca, l'innovazione tecnologica e il potere politico, dall'Accademia imperiale alla Società d'agricoltura. Quella del 1812 fu l'ultima esposizione del periodo napoleonico. Un lungo periodo sarebbe seguito prima che, nel 1829, Carlo Felice adottasse un modello figlio della Rivoluzione.
Nel trentennio intercorrente fra il 1829 ed il 1858 si tennero ben sei edizioni, tutte promosse dalla Camera di Agricoltura e Commercio, istituzione introdotta anch'essa durante l'occupazione francese e ricostituita da Carlo Felice nel 1825. Per un verso, fu proprio l'intervento in qualche misura "burocratico" della Camera, chiamata ad adempiere a scadenze prefissate ad un compito istituzionale, quasi si trattasse di "istruire una pratica", ad assicurare il successo delle esposizioni. Per altro verso, invece, un contributo importante al loro successo venne dall'azione personale di Carlo Alberto, che vide nell'esposizione uno strumento utile a rafforzare l'istituto monarchico, e, all'interno di questo, la sua personale posizione.
Attraverso un'accorta regia, fatta di visite ripetute, con corale partecipazione di tutta la famiglia reale, di elogi alle merci esposte, di incoraggiamenti a fare sempre meglio nei confronti della concorrenza straniera - il tutto amplificato dalla stampa e dallo stesso sovrano nelle sue lettere a Maria di Robilant - Carlo Alberto accreditava di sé l'immagine di sovrano attento ai bisogni del popolo e sollecito del bene comune.
Intanto, l'esposizione fu effettivamente lo specchio di una società in trasformazione, una società che stava crescendo economicamente proponendosi al tempo stesso come catalizzatore delle aspirazioni all'unità nazionale, al punto che neppure l'infausta conclusione della prima guerra di indipendenza riuscì ad annullare, o almeno rinviare, l'edizione dell'esposizione che si sarebbe tenuta l'anno successivo.
Con l'uscita di scena di Carlo Alberto, anche l'esposizione mutò carattere, in qualche modo si laicizzò. Non più strumento di promozione dinastica, recuperò pienamente lo scopo per il quale inizialmente era stata pensata ed organizzata, come strumento di promozione economica atto "a rendere più attivo e profittevole il commercio e a dare un più vivo movimento all'industria".
Dopo una esposizione di tipo tradizionale svoltasi con scarso successo nel 1850, a Torino fu organizzata una grande esposizione nel 1858, che diventò lo specchio delle notevoli iniziative per lo sviluppo intraprese nel corso del decennio cavouriano. L'aspetto più importante di questa esposizione fu la presenza di una consistente rappresentanza di industrie pubbliche, sorte soprattutto per rispondere alle esigenze della elevata domanda di forniture militari, terrestri e navali, sia di armi che di approvvigionamenti vari, senza dimenticare l'attenzione ai monopoli dei tabacchi. I partecipanti privati all'esposizione dimostrarono il travaglio in corso per recepire le innovazioni ormai presenti nel resto d'Europa rappresentate nelle grandi esposizioni coeve di Londra e Parigi. Le trasformazioni indotte dalla formazione del nuovo Stato italiano unitario posero Torino in condizioni di inferiorità, rispetto al passato, per il settore delle esposizioni, che non trovarono realizzazioni importanti, pur con gli stimoli offerti dalla presenza del Museo Industriale. La crisi espositiva perdurò sino agli anni Ottanta, quando Torino acquistò con determinazione un ruolo di primaria importanza.
L'Esposizione Generale Italiana di Torino del 1884 fu organizzata per iniziativa di un gruppo di industriali e professionisti membri della Società promotrice dell'industria nazionale (1881). Il coinvolgimento delle autorità avvenne tuttavia sin dal principio, a partire dalla sovrapposizione di carriere private e pubbliche di molti suoi protagonisti fino ad arrivare al finanziamento e alla partecipazione capillare all'iniziativa da parte del Governo e del Municipio di Torino.
In un periodo di grandi trasformazioni economiche, politiche e sociali, l'esposizione fu l'occasione per mettere in scena processi in parte non ancora compiuti, l'unità italiana o il passaggio di Torino da capitale politica a capitale industriale, per promuovere programmi di intervento e affermare le parole d'ordine (laicismo, assistenzialismo, interclassismo) di un linguaggio che in quegli anni accomunava élite locali e nazionali.
Una chiave di lettura privilegiata degli intrecci esistenti tra esposizione, città e nazione era offerta dalle sezioni ove maggiormente convergevano gli interessi delle classi dirigenti e le esigenze sollevate dall'emergere della questione sociale, come la didattica e la previdenza e assistenza pubblica, dai nuclei più fortemente simbolici o intenzionalmente pedagogici, quali il Tempio del Risorgimento e il Borgo medioevale, e dai padiglioni di rappresentanza, come quello della Città di Torino.
Sullo sfondo si collocava un tessuto torinese straordinariamente fitto di temi (l'igiene, l'istruzione professionale, la scienza o l'ingegneria sociale), istituzioni (il Museo industriale, l'Accademia delle scienze o la Società degli Ingegneri e degli Industriali) e protagonisti (Tommaso Villa, Edoardo Daneo o Ulrico Geisser, ma anche Galileo Ferraris, Giacinto Pacchiotti o Carlo Ceppi) centrali nell'interpretazione delle vicende urbane, e non solo, degli ultimi decenni del secolo XIX.
Emergevano, accanto ai nazionalismi, gli internazionalismi della cultura italiana tardo ottocentesca, mentre le architetture in mostra e le costruzioni dell'esposizione esemplificavano i rapporti complessi che legavano eclettismo e medievalismi alle trasformazioni urbane e ai temi della conservazione dei monumenti, dell'istruzione artistica industriale e dell'identità locale e nazionale.
Il 1898 fu senza dubbio l'anno in cui le esposizioni assunsero una dimensione politica particolarmente esplicita, rendendo evidente una serie di elementi di natura ideologica già da tempo presenti in manifestazioni di questo genere, ma mai emersi con tanta chiarezza. La ragione di ciò risiede solo in parte nei propositi iniziali degli organizzatori; molto più importanti, in tal senso, furono gli eventi e le situazioni che il paese attraversò in quell'epoca, i quali finirono con l'incidere profondamente nella storia stessa dell'esposizione, attribuendole significati imprevisti. Le origini si trovano nella crisi di consenso in cui la classe dirigente liberale torinese si trovò nei primi anni Novanta in seguito alla grave situazione economica e all'avanzata del movimento cattolico. Da qui la decisione, sostenuta da Tommaso Villa, di realizzare nel 1898 un'esposizione di carattere nazionale per celebrare il cinquantenario dello Statuto, facendo di questo evento un'occasione per rimarcare i grandi progressi compiuti nel mezzo secolo di vita del regime liberale. Una prima svolta su questo percorso si ebbe nel marzo 1896, quando a causa della sconfitta di Adua e dei recenti successi riportati dal Partito socialista, Villa e colleghi decisero di accettare le offerte di collaborazione provenienti dal mondo cattolico, che nel frattempo aveva sviluppato un autonomo progetto di esposizione per il 1898. La conseguenza di questo accordo fu la realizzazione di una doppia esposizione, che non ha precedenti nella storia italiana, la quale dimostrò una sostanziale volontà di collaborazione tra cattolici e laici. Nei primi mesi del 1898, l'esplodere dei tumulti nel paese a causa della disoccupazione e dell'incremento dei prezzi fece delle manifestazioni torinesi un luogo strategico, da cui il regime monarchico-liberale tentò di proiettare in Italia e all'estero un'immagine di normalità, di pace sociale e di progresso, per attenuare la drammaticità della situazione. Fu cioè l'altra risposta, a fianco di quella repressiva, che il governo, con l'aiuto della famiglia reale, diede nell'immediato alla protesta popolare.
Il cinquantenario dell'Unità d'Italia fu occasione straordinaria di festeggiamenti ufficiali destinati a celebrare il percorso economico, sociale, culturale - in una parola civile - compiuto dal giovane Stato italiano dai tempi della propria unificazione politica. Tra le iniziative più spiccate per sottolineare questo "giubileo" del regno, si annoverarono le Esposizioni internazionali di Roma e di Torino: la prima incentrata sulla Mostra etnografica e regionale e su quella artistica - affiancate da una serie di iniziative "minori"; la seconda di carattere industriale e manifatturiero. Roma e Torino si scambiarono così i ruoli: l'attuale capitale d'Italia rappresentò in mostra il glorioso passato nazionale artistico, artigianale ed etnografico; l'antica capitale italiana fornì un panorama aperto sul futuro, secondo una visione progressista e scientista. Firenze, la terza capitale storica, svolse un ruolo marginale con la sua esposizione di fioricultura e con la Mostra del Ritratto italiano. Il forte valore simbolico delle esposizioni non valse a mascherarne l'andamento in gran parte convenzionale, mentre l'esaltazione della "democrazia industriale", quale si realizzò nella rassegna torinese, finì per intrecciarsi con i temi dell'espansionismo e del colonialismo, proprio nel momento in cui a due mesi dalla chiusura dell'esposizione, l'Italia si lanciava nell'impresa libica, dichiarando guerra alla Turchia.

I luoghi
A partire dal 1829, con una cadenza destinata a perpetuarsi oltre la metà dell'Ottocento, le diverse esposizioni sono tutte accolte all'interno del castello del Valentino, nelle sale degli appartamenti nobili. La scelta del re Carlo Felice lega le esposizioni a un luogo stabile, abbandonando le soluzioni itineranti adottate in passato.
Al centro della vasta area destinata a verde, progettata per il passeggio e i divertimenti dell'intera popolazione, il castello ospita nel 1858 la Sesta Esposizione Nazionale promossa da Camillo Benso di Cavour, allora ministro delle Finanze. In tale occasione, con una legge speciale (1857), si procede alla radicale trasformazione del palazzo, secondo un progetto di ampliamento e "restauro" dell'edificio, al fine di accogliere nelle due nuove maniche espositive i macchinari e i prototipi dei più importanti settori produttivi.
Lungo tutto l'Ottocento il parco con il suo castello - divenuto dopo l'unità sede permanente della Regia scuola di Applicazione per gli ingegneri - si configura come un paesaggio urbano dotato di precisa identità, in cui si coniugano le componenti ambientali delle sponde fluviali, del Po e della collina torinese, mentre la zona si conferma come area destinata al tempo libero e alle attività di loisir della popolazione cittadina, come testimonia in particolare il moltiplicarsi delle sedi delle società remiere e di canottaggio. Con l'esposizione del 1884 e ancora del 1898, il parco del Valentino, nella sua vasta estensione che si estende dal settore a sud del castello fino all'attuale corso Dante, si trasforma in teatro di paesaggi "evocati" all'aperto, sorta di "città delle meraviglie" del progresso e dell'innovazione. Nel 1911 si conquistano infine nuovi spazi espositivi lungo la fascia fluviale destra del Po, a partire dal Pilonetto fino all'attuale corso Fiume, per cui la grandiosa esposizione internazionale si articola scenograficamente in un doppio prospetto di suggestive architetture.

Il linguaggio
Le esposizioni industriali che si avvicendano a Torino tra il 1884 e il 1911 scuotono i paradigmi della divulgazione e dell'aggiornamento grazie alle nuove potenzialità pedagogiche che la visione diretta del mondo in mostra sembra poter offrire. Al contempo, l'avventura editoriale che prende l'abbrivio con l'esposizione, non solo si delinea come la fucina dell'elaborazione del consenso che ruota intorno a un evento tanto occasionale quanto breve, ma affronta la costruzione di una memoria della modernità aggregando le più nuove espressioni iconografiche a scritture quanto mai varie. Le edicole e le librerie pullulano così di cataloghi, album, guide ai singoli padiglioni e periodici riccamente illustrati, un'occasione propizia per rigenerare l'immagine di Torino, enfatizzandone la visibilità dei mutamenti architettonici, urbanistici, filantropici e culturali.
Le esposizioni torinesi hanno però una storia ben più antica che risale al 1805: ben lontane dal generare forme di comunicazione così pervasive e diversificate quali saranno quelle messe in moto dalle esposizioni torinesi post-unitarie, il loro linguaggio si riduce a cataloghi nomenclativi e a disadorni manifesti che annunciano al pubblico l'approssimarsi dell'evento. Adottando il criterio topografico esso riflette le esposizioni in modo quasi speculare, elencando in numeri arabi gli oggetti esibiti sala per sala. Non distingue, quindi, tra belle arti e manifatture, così come non dà conto dell'uso e della destinazione degli oggetti catalogati.
Sarà l'esposizione del 1858 a segnare una svolta dal punto di vista della comunicazione con l'Album descrittivo dei principali oggetti esposti nel Real Castello del Valentino. Il testo si pone in netta alternativa al catalogo e affronta il nodo decisivo che fin qui non si è posto, ossia come perpetuare la memoria della novità commerciale al di là della specifica occasione. Le illustrazioni racchiuse in appendice, nonché un ricco apparato di note tecniche e descrittive sembrano offrire la soluzione al problema. Il proposito di salvaguardare la memoria degli oggetti "prima che essi vadano a nascondersi, gli uni nei privati appartamenti, gli altri nelle officine, stabilimenti industriali, ecc.", così come la preoccupazione di fornire notizie utili alle "industrie" come ai "consumatori", è segno di mutata sensibilità.
A partire da questo momento classificazioni, categorie e classi cominciano a regolare il complesso ordine merceologico delle esposizioni e il catalogo risponde a questa tendenza rivendicando un maggiore settorialismo, sebbene non manchino mai strumenti compilativi in grado di fornire una tassonomia esaustiva del materiale esposto.
A partire dal 1884 il grande numero di turisti attratti dalle esposizioni stimola la produzione di guide che racchiudono in un unico volumetto informazioni sulla città e sui padiglioni espositivi.
Se nel 1898 la guida della città ha cominciato a tenere conto dei più diversi atteggiamenti del visitatore che arriva a Torino in occasione dell'esposizione, suggerendo così percorsi suddivisi in itinerari pianificati in base alla permanenza in città dei lettori, la manifestazione del 1911 allarga il consueto panorama editoriale a molti volumetti che si discostano dalle vere e proprie guide, per somigliare sempre più ad opuscoli che trattano in modo prioritario dell'esposizione, senza trascurare del tutto la città.
Nel 1884 ai cataloghi e alle guide si affianca il giornale illustrato dell'esposizione, i cui resoconti scongiurano sia la schematicità inesorabile di un itinerario consigliato sia l'approfondimento settoriale e garantiscono la copertura pressochè integrale dell'evento.
"Torino e l'Esposizione Italiana del 1884" viene stampato "regolarmente un numero ogni settimana" di fronte al pubblico utilizzando la macchina a "ritirazione a due cilindri", un'iniziativa brillante che eleva il periodico a prodotto d'eccellenza dell'esposizione e suo principale organo di diffusione.
La consuetudine proseguirà anche all'esposizione del 1898 con il periodico "L'Esposizione nazionale del 1898" che, a detta del suo direttore Luigi Roux, si propone quale "storia veridica", "amoroso commento" e "artistica illustrazione".
Caratteristica peculiare del giornale ufficiale dell'esposizione del 1911 è la consistente presenza della fotografia. In edicola sin dal gennaio del 1910, permette ai lettori di essere costantemente aggiornati sull'evento fin dalle prime fasi stato dei lavori di allestimento. La prima pagina è ormai una copertina sontuosa, al cui centro spicca una fotografia che raffigura un edificio di Torino. Le fotografie interne sono arrotondate in gradevoli bordature cliché come impongono le moderne tecniche tipografiche, una delle novità più apprezzabili sono i reportage fotografici che occupano lo spazio prima affidato alla scrittura.

Le note sono tratte dal volume Le esposizioni torinesi 1805 - 1911. Specchio del progresso e macchina del consenso, a cura di UMBERTO LEVRA e ROSANNA ROCCIA, edito nel 2003 dall'Archivio Storico della Città di Torino.

Prosegui la vista:

Le Esposizioni dal 1805 agli anni SettantaL'Esposizione Generale Italiana del 1884L'Esposizione Nazionale del 1898 (parte 1)L'Esposizione Internazionale di torino 1911 (parte 1)L'Esposizione Internazionale di Torino 1911 (parte 2)

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