Ho incontrato Meucci

Forse non aveva idea il fiorentino Antonio Meucci, accreditato come l’inventore del primo telefono, di come la sua scoperta non avesse esclusivamente un valore scientifico. Non immaginava forse, come un nuovo sistema di comunicazione e le successive mutazioni ed evoluzioni, avrebbero modificato e influenzato, nel corso del tempo, relazioni fra le persone, fra i popoli, i costumi, le emozioni, l’economia, il lavoro.
Le sue intuizioni hanno dato origine ad un patrimonio di tecnologia e di storia che ha condizionato la crescita sociale ed economica dell’intera umanità, ad un percorso di scienza e ricerca nel quale il nostro Paese è certamente diventato, a buon diritto, uno dei protagonisti nella sperimentazione di tecnologie all’avanguardia nell’ambito della telecomunicazione.
Nei giorni scorsi, la commissione Smart City del Comune di Torino ha potuto apprezzare, visitando l’Open Lab di Tim, l’avanguardia nell’applicazione di nuove tecnologie, tra le quali la diffusione dei dati tramite la rete 5G.

Ma la sede torinese di via Reiss Romoli non è solo la culla dell’innovazione. E’ anche custode gelosa di un passato ricostruito attraverso oggetti e documenti, è memoria di oltre un secolo di storia, raccontata da cimeli che narrano non solo l’evoluzione della telefonia in Italia, ma anche la storia di un popolo che modificava, nel tempo, vita e abitudini, grazie alla diffusione sempre più capillare della telefonia.

Non a caso, uno dei primi oggetti del percorso espositivo dell’Archivio storico Tim è il primo telefono a muro della Siemens che inaugurò la diffusione “di massa” in Italia del telefono, negli anni ’20 del 900.

I centralini dell’inizio del secolo scorso, sottratti all’abbandono, recuperati da scantinati e depositi, si alternano alle fotografie (anch’esse restaurate) delle storiche “signorine” (rigorosamente nubili) che mettevano in collegamento fra loro le persone, unendo cavi e spinotti. La signorina pronunciava la parola “pronto” per avvisare gli utenti dell’avvenuto
collegamento. Da qui il “pronto” che ciascuno di noi pronuncia rispondendo al telefono. Un lavoro, quello della centralinista, tutto al femminile: le frequenze alte della voce, infatti, erano ideali per gli apparati di comunicazione del tempo che, al contrario, avrebbero presentato inconvenienti nella diffusione di tonalità basse.

L’esposizione conta oggetti che vanno dai primi apparecchi alimentati a batterie, realizzati in legno, modelli di artigianato applicato alla tecnologia, fino ai primi telefoni cellulari.

Una pregiata cabina telefonica, con preziose lavorazioni in legno, appartenuta all’hotel Principi di Piemonte, anticipa, nel tour espositivo, la cabina con telefoni a gettoni(notevole la collezione di finti gettoni ritrovati negli anni 70/80), e i più moderni telefoni

pubblici a schede magnetiche.
Spicca, tra gli oggetti esposti, un cerca mine, strumento utilizzato nel dopoguerra dagli operai, prima di procedere a scavi per la sistemazione delle linee.

Importanti documenti (un archivio di due chilometri e mezzo è già organizzato mentre servirebbe spazio per altri 18 km di materiale custodito in magazzini) tracciano la storia della telefonia in Italia: tra questi il documento di fusione delle società che, nelle varie regioni d’Italia, hanno gestito il servizio telefonico. Tra queste la Stipel, in Piemonte o la Teti nel Lazio, che gestì la complessa organizzazione dei collegamenti telefonici, in occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960.

L’Archivio Storico Tim, con ingresso da via Olivetti 6, è aperto dal lunedì al venerdì, ma per visitarlo occorre prenotare scrivendo a archiviostorico@telecomitalia.it .

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Federico D’Agostino