L’Italia giovane di fronte alla “policrisi”

Una generazione in preda ad ansia perenne a fronte delle crisi che si intrecciano (immagine dalla presentazione del saggio "La giovane Italia"

Giovani pigri, privi di valori e disillusi? Pregiudizi da boomer (ma da tempo immemorabile si biasima la generazione successiva alla propria!) affibbiati a una generazione che, pur se ricca di fermenti positivi,  vive in un perenne stato di ansia.

Ansia per il lavoro che o non c’è oppure è sottopagato e precario (il PIL pro capite italiano rispetto alle media europea è passato in meno un trentennio dal120 al 98%), per la crisi ambientale, i venti di guerra, le pandemie, il tutto intrecciato a una delle peggiori cicliche difficoltà dell’economia mondiale che si ricordino: insomma, quella che è stata definita la policrisi.

Il fatto è che paiono deviate su un binario morto “le magnifiche sorti e progressive” della società, che avevano animato le speranze delle generazioni giovanili degli anni 60,70, 80, persino ’90. Generazioni le quali, in forma politica o edonista a seconda delle fasi, intravedevano un sentiero luminoso per il loro futuro.

Fattori di rischio per la giovane generazione attuale ( dalla presentazione de “La giovane Italia”

I sociologi Sonia Bertolini e Francesco Ramella, docenti presso l’Università degli Studi di Torino, hanno oggi illustrato il loro saggio “La giovane Italia” in una riunione della V commissione Cultura, presieduta da Lorenza Patriarca. Una giovane Italia analizzata senza pregiudizi, che i due docenti hanno cercato di delineare nei sui tratti peculiari: quelli di una nuova generazione che, hanno spiegato, è sotto molti aspetti è diversa dalle precedenti e ha ripreso a interrogarsi sul proprio avvenire, tornando ad essere visibile dopo l’appiattimento degli ultimi decenni. Lontana dalla politica istituzionale ma interessata alla crisi climatica, sensibile alle diseguaglianze e conscia dell’importanza dei comportamenti individuali nel campo della sostenibilità, sensibile  ai diritti civili e anche disposta a manifestare e partecipare ad attività sociali su questi temi.

Una gioventù che “si assottiglia ma si allunga”, come l’ha definita Ramella: in Italia solo il 34% della popolazione ha meno di 35 anni (37.5 la media europea, con una punta del 41% in Francia) ma al tempo stesso si lascia la casa dei genitori intorno ai trent’anni, contro i 19 degli svedesi e i 23 o 24 dei francesi e tedeschi. Meno giovani, in sostanza, la cui vita autonoma tarda a prendere la rincorsa, fatto in gran parte dovuto alla mancanza di risorse economiche adeguate e stabili.

Anche il rapporto con il lavoro è diverso (forse per come si concretizza per i più, tra precariato e paghe insufficienti) e in gran parte i ragazzi e ragazze gli attribuiscono un valore meno centrale rispetto alla propria esistenza. Uno studio di 15 anni fa evidenziava come al primo posto nella valutazione di un lavoro vi fosse il reddito, seguito dalla possibilità di ottenere risultati, oggi al primo posto risulta sempre il reddito ma seguito dalla possibilità di conciliare tempi di lavoro e di vita.

Occorrono scelte politiche incentrate sui giovani, è stato sottolineato nell’incontro, perché finora questa è stata una società che non ha investito su di loro, determinandone l’esclusione o marginalizzazione dal mercato del lavoro, con una scarsa efficacia delle attività di orientamento, preferendo la compressione dei salari alle scelte di innovazione e agli investimenti. Una scelta perdente che rischia di penalizzare a lungo un Paese che invecchia anagraficamente e che se non inverte la rotta dovrà rassegnarsi ad una lunghissima curva discendente non solo demografica.

(C.R.)