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Museiscuol@ segnala il libro "Il museo necessario. Mappe per tempi complessi"

a cura di Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli
Nomos Edizioni, Busto Arsizio 2023

“Viviamo in tempi complessi e travagliati. È possibile immaginare che i musei si possano chiamare fuori dalla loro incandescenza in nome di una presunta neutralità, sbandierata quando sono invitati a svolgere un ruolo a presidio di democrazie in crisi, diritti umani a rischio e giustizia sociale in stallo, ma rimossi quando vengono chiamati a rispondere del legame a doppio filo con l'ideologia coloniale e imperialista di ieri, e con quella neoliberista di oggi?

Seppure da differenti angolature e con diversi affondi, l'opinione delle autrici e degli autori di questo volume è unanime. Per sottrarsi a questa pretesa 'atemporalità' e 'apoliticità', il museo deve compiere una coraggiosa scelta: reclamare il compito che gli spetta come attore cruciale nella sfera pubblica, capace di dare una risposta alle aspirazioni e alle preoccupazioni dei cittadini, lasciandosi finalmente alle spalle i miti dell'origine: neutralità, universalità, civiltà”.

Così si apre la breve guida alla lettura de Il museo necessario, in cui le curatrici Simona Bodo e Anna Chiara Cimoli raccontano la loro scelta di organizzare il volume in una “struttura per quanto possibile spiraliforme, non gerarchica né articolata per temi – anche se certamente ci sono alcuni
filoni di ricerca ben riconoscibili – in cui esperienze, quadri teorici, interviste e riflessioni si inanellano, facendosi reciprocamente eco e potenziandosi a vicenda”.

Ma che cosa rende “necessario” un museo? Come si intuisce dal sottotitolo del libro, le risposte di autori e autrici si dispongono in forma di mappe con curvature e accenti diversi, da cui emergono tuttavia alcuni tratti ricorrenti.

La rilevanza per la collettività 
Per diventare “necessario”, un museo dev'essere pronto a dilatare la comprensione del proprio ruolo, in modo che funzioni tradizionali come la conservazione, la ricerca, l'interpretazione, l'esposizione non siano più considerate come fini a se stesse, ma piuttosto volte a creare valore sociale, ovvero a usare le collezioni per costruire relazioni e per affrontare le tematiche che stanno a cuore dei cittadini.

Come giungere a questo radicale ripensamento del senso del lavoro museale nel ventunesimo secolo? Sicuramente sviluppando una nuova capacità di porsi in ascolto, di spostare l'attenzione dal cosa ai perché del proprio lavoro, e più in particolare di porsi una domanda fondamentale, eppure ancora
troppo spesso elusa: siamo rilevanti per la collettività?

La questione della rilevanza è cruciale per un museo che aspira a diventare “necessario”, e pone una sfida ancora più complessa e impegnativa rispetto a quella dell'“accessibilità”, in quanto significa saper intercettare e affrontare le urgentizze, le istanze, le aspettative di quella particolare comunità, di
quel particolare territorio. Essere un museo necessario (cioè un museo rilevante o, ancora, un museo di cui le persone hanno bisogno), in altre parole, richiede un forte radicamento e una profonda conoscenza della collettività di cui ci si pone al servizio – non una nozione vaga, come ancora troppo stesso accade.

La centralità della relazione : che si tratti di gruppi costituenti (intervista a Charles Esche, Direttore del Van Abbemuseum di Eindhoven), di collettivi di cittadini coinvolti nell'allestimento di un nuovo spazio espositivo (intervista a Esme Ward, Direttrice del Manchester Museum), di “amici critici” (saggio di Bernadette Lynch sul “museo utile”), di abitanti dei quartieri (nella sezione del volume dedicata alla questione abitativa), mettere in primo piano le persone e le relazioni è ciò che rende vivo il museo.
Si tratta sempre di un processo complesso, “perché quando si parla di relazioni si parla di pluralità, quindi di rinuncia al controllo e al proprio posizionamento ideologico, dal momento che le persone possono entrare e dire cose con cui non necessariamente si concorda” (Charles Esche). In tal senso, i musei sono anche luoghi vitali in cui apprendere e praticare l'arte dell'agonismo, dove punti di vista diversi e talvolta conflittuali possono essere espressi e affrontati produttivamente, e dove i cittadini possono “essere trasformati dalla loro stessa partecipazione” (Bernadette Lynch).

Ciò che più conta è che le relazioni che si attivano siano non asimmetriche e di facciata, ma autentiche ed eque; non appannaggio di specifiche professionalità (l'educatore, il responsabile dell'audience development…), ma assunte da tutto il museo.
La loro nuova centralità presuppone valori diversi da quelli tradizionalmente associati ai musei, quali ad esempio la solidarietà, l'empatia, l'umiltà, la reciprocità, la cura, l'interdipendenza…
Valori che devono essere contraffortati da un contesto organizzativo che consente loro di crescere e prosperare, anziché essere ridotto a una pura operazione di facciata: “un nuovo modo di concepire il lavoro museale, un pensiero sistemico che, applicato ai musei, comporti interconnessione e
interdipendenza: una struttura organizzativa collaborativa, una autorità condivisa e un forte coinvolgimento della comunità” (Janes e Sandell; per nuovi modelli di leadership, cfr. anche il saggio di Maria Vlachou).

La rinuncia al mito fondativo della neutralità : l'immagine del museo come “tempio di assoluti”– da qui la sua “difficoltà a porsi nel mondo, rispetto a una tradizione di valori percepiti come eterni, a una modernità rappresentata spesso come unica, a una storia particolare raccontata come se fosse universale” (saggio di Claudio Rosati) – non regge a un esame attento della sua traiettoria storica. I musei sono sempre stati il ​​frutto di strategie politiche e di scelte curatoriali specifiche, uno specchio del loro tempo, una parte integrante dello status quo; sono ancora troppi, oggi, quelli che continuano a proclamare la propria neutralità, ignorando le strutture di potere di cui le loro collezioni sono il frutto e nel contempo il veicolo.

Eppure, da più parti, l'appello è ora a prendere posizione su domande “rispetto alle quali il museo può offrire un senso di prospettiva, competenza, consiglio e assistenza” (questo, secondo Janes e Sandell, il significato di advocacy): il museo “attivista” di cui tanto si parla negli ultimi anni, dunque, è un'istituzione che fa appello a tutte le risorse che le sono proprie per contribuire a costruire una società più equa, riconoscendo e potenziando il proprio ruolo di attore cruciale nella sfera pubblica.

“Ci auguriamo”, concludono le curatrici, “che le tante suggestioni offerte in questo volume possano essere fonte di ispirazione, autoriflessione, incursione nell'ignoto per i nostri colleghi e colleghi che lavorano nell'ambito della curatela, dell'educazione, della conservazione , della comunicazione, e per chiunque abbia un cuore il futuro dei musei. Il libro nasce anche dal desiderio di aprire una conversazione con studenti e studenti universitari, mettendo a loro disposizione dei testi di respiro internazionale che possano sperare alimentare il dibattito, la consapevolezza e la crescita”.

Contributi di:

Simona Bodo - James Bradburne - Anna Chiara Cimoli - Clémentine Deliss - Charles Esche - Aurélien Fayet - Giulia Grechi - Serena Iervolino e Domenico Sergi - Robert R. Janes e Richard Sandell - Dunja Kučinac e Ana Kutleša - Bernadette Lynch - Claudio Rosati - Maria Vlachou - Esmé Ward

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