Gestione dei rifiuti radioattivi, l’Italia è ancora inadempiente

A che punto è la realizzazione del deposito nazionale per i rifiuti radioattivi? Se ne è discusso nella riunione del 19 luglio 2019 della Commissione Ambiente, presieduta da Aldo Curatella, in occasione della verifica di una mozione al riguardo, approvata dalla Sala Rossa il 25 settembre 2017 (primo firmatario: Francesco Tresso).

Nella seduta è intervenuto Fabio Chiaravalli, direttore del deposito nazionale e parco tecnologico della Sogin, società per azioni creata nel 1999 per gestire gli esiti del nucleare in Italia, le cui quote sono detenute al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Gli impianti italiani sono stati chiusi nel 1987 – ha spiegato Chiaravalli – e sono tuttora mantenuti in sicurezza, continuando però a produrre rifiuti radioattivi, che devono essere smaltiti, ovvero collocati in un deposito geologico da cui non saranno più spostati, chiudendo così il ciclo dei rifiuti radioattivi.

In Italia oggi ci sono 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività e 17mila metri cubi a media e alta attività.

Il 60% dei rifiuti deriva dalla passata produzione di energia nucleare, ma il 40% da rifiuti non energetici (per lo più medicali) che vengono tuttora prodotti in Italia.

Avendo così pochi rifiuti ad alta intensità, per l’Italia – ha affermato Chiaravalli – non è conveniente costruire un deposito geologico per lo smaltimento, ma è più opportuno conferirli in un deposito europeo (deposito regionale).

Gli altri invece (a molto bassa e bassa attività, la cui radioattività decadrà in modo naturale in 300 anni) andranno in un deposito superficiale nazionale, i cui criteri di localizzazione sono stati definiti nel 2014 da Ispra.

Le aree possibili sono diverse in Italia, ma la Carta che le individua (Cnapi) non è stata ancora resa pubblica (revisione 0.7 fatta nel giugno 2019), ma ora la scelta non è più rinviabile per esigenze tecniche, ha spiegato il direttore.

Il 17 maggio 2018, intanto, l’Italia è stata deferita alla Corte di Giustizia Europea ed è stata poi condannata l’11 luglio 2019 per non avere ancora redatto un programma nazionale al riguardo, da consegnare all’Unione Europea.

I costi della costruzione del deposito nazionale italiano sono stimati in 1,5 miliardi di euro, con una durata del cantiere di quattro anni, per un’area complessiva di 150 ettari (20 ettari del deposito vero e proprio).

In attesa di essere conferiti, ora i rifiuti vengono stoccati “temporaneamente” in altri siti, anche se alcuni rifiuti – ha aggiunto – sono ad esempio a Trino Vercellese dal 1962…

In chiusura di Commissione, il consigliere Tresso ha sollecitato un approfondimento con l’assessore all’Ambiente della Città Alberto Unia e con il neo-assessore della Regione Piemonte Matteo Marnati.

Massimiliano Quirico