Una mostra in ricordo delle “centomila gavette di ghiaccio”

Volti di vite perdute scorrono sul monitor durante l'inaugurazione della mostra

Un’anziana signora  sfoglia le pagine dell’elenco dei 90.000 militari italiani  (950 dei quali di Torino e provincia) caduti o dispersi in Russia  durante la Seconda guerra mondiale, forse cercando un nome caro e mai dimenticato. Accanto,  foto sorridenti di giovani in uniforme, più oltre,  ancora foto ,ma queste con cataste di cadaveri irrigiditi dal gelo della steppa o raffiguranti le lunghe file di soldati in ritirata tra neve e ghiaccio, stravolti e infreddoliti.

La ricerca di un nome caro nel lungo elenco dei caduti

In un’altra saletta, le teche con resti di uniformi, scarponi ed effetti personali rinvenuti su salme riesumate nei campi di battaglia . La tragedia dell’ARMIR, il corpo di spedizione inviato da Mussolini sul fronte orientale per partecipare all’aggressione nazista contro l’Unione Sovietica, viene in questi giorni rievocata da una mostra inaugurata ieri presso la sede della Regione Piemonte, in piazza Castello. L’iniziativa è frutto della collaborazione tra la stessa Regione, l’UNIRR (Unione dei reduci di Russia) e AssoArma, a memoria dei 220.000 soldati e ufficiali scaraventati senza adeguata attrezzatura sul più sanguinoso dei fronti di guerra, ad invadere un paese che, pur oppresso dal regime staliniano, non poteva certo vedere nei nazifascisti i propri liberatori. Impegnati sul settore meridionale di un vastissimo fronte che andava dal Baltico al Mar Nero, i soldati italiani finirono per essere travolti dallo slancio e dalla superiorità numerica e  tecnologica dell’Armata Rossa: una superiorità che significava non solo armi migliori ma anche un abbigliamento e delle calzature più adatti alle temperature gelide e al fango ghiacciato.

La consigliera Viviana Ferrero in rappresentanza del Comune

La ritirata alla quale furono infine costretti causò perdite enormi per via del gelo e dei continui attacchi russi. Non pochi dei soldati arresisi ai sovietici morirono nei campi di prigionia, per malattie e stenti. In alcuni casi, i superstiti rientrarono in Italia solo anni dopo la fine del conflitto. Un’epopea ricordata da un’ampia memorialistica e da opere letterarie di successo, basti citare Mario Rigoni Stern (Il sergente nella neve) o Giulio Bedeschi (Centomila gavette di ghiaccio). Alla cerimonia di inaugurazione della mostra, ha preso parte la consigliera Viviana Ferrero, intervenuta a nome della Città di Torino.

Claudio Raffaelli