Il ruolo del mediatore interculturale in carcere

Souad Maddahi dell’AMMI, Monica Cristina Gallo, Garante dei diritti dei detenuti, Fabio Versaci, presidente della Sala Rossa

Se la vita in carcere è complessa, lo è ancora di più per la popolazione straniera. Difficoltà non solo dal punto di vista linguistico ma soprattutto di conoscenza di regole, procedure, del linguaggio giuridico, dei rapporti con la famiglia. Una figura che in parte può alleviare i problemi è il mediatore interculturale. Questa mattina, a Palazzo civico, in un convegno promosso da Città di Torino, Garante delle persone private della libertà personale e dall’Associazione Multietnica dei Mediatori Interculturali, è stato presentato un progetto realizzato dalla stessa AMMI all’interno della casa circondariale “Lorusso e Cutugno”. Il presidente del Consiglio comunale, Fabio Versaci ha portato un saluto al convegno sottolineando come la realtà carceraria torinese sia all’avanguardia nel promuovere progetti utili a vivere una vita dignitosa che diano la speranza e la prospettiva di un reinserimento sociale.
La Garante per le persone private della libertà personale, Monica Cristina Gallo, introducendo i lavori ha espresso apprezzamento per l’attività svolta dall’AMMI che si è conclusa a settembre 2018. Ha ricordato come il progetto abbia potuto realizzarsi grazie ad un contributo di 8000 euro del Comune di Torino, assegnato tramite bando pubblico.
Il progetto è stato illustrato da Souad Maddahi. Sono state 110 le persone che hanno utilizzato il servizio di mediazione interculturale, strutturato attraverso una funzione informativa, (domande poste ai detenuti su diritti, procedure, documenti), funzione di orientamento interna (conoscenza del personale e relative funzioni) ed esterna (risorse sociali, agenzie socio-lavorative) e funzione di analisi (osservazione dell’evoluzione della popolazione immigrata e dei suoi bisogni).
Al 31 settembre, la popolazione carceraria straniera era composta da 639 persone (circa il 46%) proveniente prevalentemente da Marocco, Romania, Albania, Senegal e Nigeria. Il servizio di mediazione culturale è stato fornito a 47 persone originarie della Nigeria, 31 del Senegal, 9 del Gabon, e ad altre provenienti da Gambia, Ciad, Marocco, Algeria, Guinea, Costa d’Avorio, Mali e Libia.
La seconda parte del convegno è stata invece dedicata alla presentazione del caso studio “La detenzione e la gestione degli ovulatori tra sicurezza e diritti Dall’esperienza della Casa circondariale di Torino ad un’analisi territoriale sulla gestione dei Body Packers (soggetti che trasportano illegalmente droga ingoiandola contenuta in ovuli, con lo scopo di sottrarla alle forze dell’ordine o commerciarla internazionalmente)” condotto dalla ricercatrice Diletta Berardinelli.
La ricerca svolta tra maggio e ottobre di quest’anno si è basata sull’intervista di 11 persone detenute con interviste strutturate a risposte aperte e 17 interviste semistrutturate rivolte a soggetti dell’amministrazione penitenziaria e a personale sanitario.
Dai dati raccolti emerge la necessità di diversificare il trattamento sanitario a seconda della tipologia di ovulatore sotto osservazione.
Dalla comparazione sul trattamento dei presunti ovulatori, come quelle attuate presso l’aeroporto di Milano Malpensa, presso il presidio ospedaliero GB Grassi di Ostia e presso il CTO di Torino, è evidente che il presidio ospedaliero sia il luogo più idoneo per assicurare la tutela della salute contro eventuali complicazioni sanitarie.
Anche in questo ambito, è stata evidenziata la necessità della presenza di mediatori interculturali dotati di specifica formazione. Sono molte infatti le figure professionali che lavorano nel carcere ed occorre dunque una specializzazione mirata dei mediatori interculturali in grado di rapportarsi con tutte le realtà.

Federico D’Agostino

Carola Bortesi

(Stage Università di Verona)