I rifugiati ucraini arrivano in Piemonte. Ma non sono i soli

Da sinistra: Elena Apollonio, Pietro Abbruzzese, Domenico Garcea, Tea Castiglione, Alice Ravinale, Abdullahi Ahmed, Silvia Damilano, Massimo Gnone (UNHCR Piemonte), Lorenza Patriarca e Paola Ambrogio

Partire in quarta è un modo di dire piuttosto in disuso, però sembra adatto per definire la prima seduta della Commissione contro il razzismo e i crimini d’odio (la ”Commissione Segre”), svoltasi oggi. Per l’occasione, infatti, il presidente Abdullahi Ahmed ha voluto invitare Massimo Gnone, responsabile per il Piemonte dell’UNHCR, il braccio operativo delle Nazioni Unite per gestire le emergenze dei rifugiati e richiedenti asilo. Un argomento reso ancora più di scottante attualità dalla valanga umana in fuga dal teatro di guerra ucraino, che ha finora portato nella sola Polonia più di due milioni di rifugiati, un altro mezzo milione in Romania, 365.000 nella piccola e poco popolata Moldova… e qui da noi? La cifra, aggiornata a domenica scorsa, è di 5.204 persone in tutto il Piemonte (circa sessantamila in tutta Italia), dei quali 722 a Torino e nella sua provincia: Per il 91% si tratta di donne e bambini. Considerato il breve lasso di tempo nel quale si è verificato, già ora lo spostamento di popolazione dall’Ucraina è il più numeroso che sia avvenuto in Europa dal termine della Seconda guerra mondiale e il più rapido di tutti i tempi nella storia dell’umanità: in meno di un mese, dal 24 febbraio al 21 marzo, sono fuggite dall’Ucraina quasi tre milioni e mezzo di persone.

Manifestazione di solidarietà con l’Ucraina

L’esodo ucraino, finora, ha quindi interessato marginalmente Torino e il Piemonte (con la sola eccezione di Novara, con quasi duemila arrivi), poiché coloro che arrivano nel nostro Paese – ha spiegato Gnone – si dirigono fondamentalmente verso aree dove hanno dei punti di riferimento nelle preesistenti comunità ucraine, come Milano, Roma o Bologna. Finora il flusso di profughi ucraini è stato in gran parte assorbito da accoglienze spontanee da parte di privati e associazioni, oltre che di connazionali residenti in Italia già prima della guerra (235.000, dei quali 18.000 con cittadinanza italiana). Tuttavia, ha evidenziato Gnone, se il flusso crescerà come è lecito aspettarsi, occorrerà superare la fase spontaneistica con un maggiore peso dell’accoglienza istituzionale, anche per quanto riguarderà gli inserimenti scolastici, le possibilità di occupazione e altro.

Le donne, i bambini e i – pochi – uomini ucraini in fuga dalle bombe russe, purtroppo, non sono gli unici profughi nel mondo, anche se la vicinanza della tragedia, l’affinità culturale e  i tratti somatici hanno mosso nei loro confronti una solidarietà e una simpatia di cui  non sono stati oggetto altri flussi migratori ugualmente drammatici.

Secondo i dati dell’UNHCR, alla fine del 2020 – al netto quindi dell’esodo ucraino – i migranti forzati nel mondo erano 84 milioni, dei quali più di 26 milioni fuggiti in Paesi diversi dal proprio e 48 milioni classificati come “rifugiati interni” (per fare un esempio attuale, gli ucraini fuggiti dalle zone teatro di combattimenti verso aree del loro Paese ritenute più sicure, come Leopoli), ai quali vanno aggiunti quasi sei milioni di palestinesi sotto la protezione di un’apposita agenzia dell’ONU, l’UNRWA. Le cifre ufficiali dell’UNHCR mostrano inoltre come più del 85% dei rifugiati siano stati accolti in Paesi in via di sviluppo, anche perché quasi tre quarti delle persone in fuga tendono a permanere – più o meno spontaneamente – in Paesi vicini al proprio, quando non direttamente confinanti. Non a caso, in cima alla classifica degli stati che ospitano rifugiati ci sono, nell’ordine, la Turchia (finanziata dall’UE per arginare il flusso verso l’Europa), la Colombia, la Germania, il Pakistan e l’Uganda. In Italia, i rifugiati riconosciuti come tali sono al momento 220.000: quelli ospitati in strutture di accoglienza istituzionali statali (CAS) o di altri enti (SAI) sono 78.000, dei quali poco più di 7.000 in tutto il Piemonte, in buona parte provenienti dall’Africa e dall’Asia centrale.

Manifestazione contro il razzismo e il diritto alla cittadinanza

L’UNHCR si forza di assistere i rifugiati e rifugiate fin dal 1950, quando venne creata dalle Nazioni Unite per fare fronte agli effetti devastanti degli immani spostamenti di popolazione determinati dagli esiti della Seconda Guerra mondiale (ad esempio, per restare in Europa, i vari milioni di tedeschi costretti ad abbandonare le regioni dello sconfitto Terze Reich assegnate alla Polonia, alla Cecoslovacchia o all’URSS). E lo fa necessariamente in collegamento con i diversi governi nazionali, ma anche con altre istituzioni, a partire dagli enti locali. Come hanno voluto sottolineare i due assessori presenti alla riunione di Commissione, Michela Favaro e Jacopo Rosatelli, la Città di Torino è attiva da molti anni in questi ambiti, l’accoglienza e l’integrazione. In questa fase, inoltre, si sta lavorando alla realizzazione di una sorta di sportello unico per gli stranieri, rifugiati o migranti, che possa facilitare lo svolgimento delle pratiche burocratico-amministrative necessarie ai fini del processo di integrazione, finora oggetto di complicate maratone tra Prefettura, Comune, Questura e altri uffici. Torino, insieme ad altre cinque città metropolitane (Milano, Roma, Bari, Palermo e Napoli) ha siglato una Carta per l’Integrazione che traccia intenti condivisi e alcune linee guida per le amministrazioni locali aderenti. Resta aperto il problema, ha segnalato Rosatelli, del diritto di cittadinanza per i ragazzi nati in Italia da genitori immigrati o comunque inseriti nel percorso educativo e formativo.

Giovani immigrati in piazza il Primo Maggio

Anche perché, come ha argomentato Massimo Gnone, le attività dell’UNHCR hanno bisogno del rapporto con gli enti locali, in un’ottica che veda i rifugiati e le rifugiate non solo come destinatari di sostegno, ma come soggetti attivi di processi di integrazione che coinvolgono istituzioni, Terzo settore, aziende e atenei. A proposito di questi ultimi, vanno segnalato il “Manifesto dell’Università inclusiva” patto tra 50 università e politecnici italiani – con il sistema universitario torinese e piemontese al completo – per favorire l’accesso e la frequenza ai corsi degli studenti rifugiati, nonché Unicore 3.0, “corridoi umanitari universitari” in collaborazione con UNHCR, Farnesina, Caritas Italiana e altri enti.

Grande l’interesse da parte delle consigliere e dei consiglieri presenti alla riunione di Commissione, con gli interventi del vicepresidente Abbruzzese e di Patriarca, Santiangeli, Apollonio, S.Damilano, Ravinale e Castiglione. Tra le diverse questione evidenziate, quella di una migliore e più puntuale informazione di questi argomenti, spesso distorti da luoghi comuni e pregiudizi, quando non da aperto razzismo.

Claudio Raffaelli