Educatori professionali, un lavoro importante ma non adeguatamente riconosciuto

Le portavoce del Comitato per i diritti degli Educatori Professionali del Piemonte: da sinistra, Federica Reburdo, Giada Labate e Francesca Doni
Giada Labate, Federica Reburdo e Francesca Doni, esponenti del Comitato per i diritti degli educatori professionali del Piemonte (CDEPP) sono state ricevute oggi pomeriggio dalle commissioni Servizi sociali e Lavoro, presiedute rispettivamente da Vincenzo Camarda e Pierino Crema. Sorridenti ma combattive, le rappresentanti del CDEPP, costituito nel 2022, hanno illustrato a consiglieri e consigliere le condizioni nelle quali operano un gran numero di professionisti e professioniste, laureati in scienze dell’educazione o in ambito sanitario, che sono alle dipendenze di cooperative o agenzie educative alle quali gli enti pubblici affidano un’ampia gamma di servizi. Uomini e donne – queste ultime in ampia maggioranza – con una buona formazione e una forte motivazione, che svolgono le loro attività nell’ambito delle strutture socio-educative di enti locali e ASL, occupandosi di persone disabili, minori in difficoltà, cura della persona e altri ambiti, perforare l’autonomia, la crescita personale e l’inclusione di persone contrassegnate da varie tipologie di fragilità. Un ruolo di fondamentale importanza per gli e le utenti dei servizi, per i loro familiari, per la comunità nel suo complesso.
I servizi in appalto funzionano bene – ha sintetizzato Labate – ma educatrici ed educatori operano in condizioni spesso drammatiche, sia dal punto di vista del trattamento economico che da quello delle condizioni di lavoro“.  Dato che non esiste una contrattazione nazionale specifica per il settore, con un vuoto legislativo che dovrà essere colmato a livello parlamentare, ai lavoratori e lavoratrici vengono applicati, nel settore privato del Terzo settore, i contratti più disparati: e comunque, a detta del Comitato, mai adeguati ai livelli formativi e professionali da loro posseduti. Paghe inadeguate, periodi di malattia non retribuita, mancato riconoscimento come tempo di lavoro di quello impiegato per spostarsi dal domicilio di un utente del servizio a quello di un altro, da un plesso scolastico a un altro ancora. Perché i luoghi in cui si opera nel corso di una stessa giornata sono diversi, talvolta lontani tra loro, così da determinare situazioni, ha esemplificato Federica Reburdo, che vedono un educatore o un’educatrice stare fuori casa per dieci ore ma vedersene riconosciute sei.
E ci sono altre questioni critiche – tra le quali il mancato riconoscimento come lavoro usurante nonostante lo sia fiscamente e psicologicamente –  con il risultato che, a fronte di condizioni di lavoro che nel “privato sociale” risultano a molti e molte come insostenibili, determinando una vera e propria fuga, a volte verso professioni e mestieri completamente diversi. Certamente, una perdita, per tutta la comunità, di professionalità complesse e preziose, nelle scuole, nei servizi domiciliari, nelle Residenze socio-assistenziali, dove il minutaggio (il tempo da dedicare a ogni singolo utente) ammonta talvolta a 5 minuti al giorno per l’assistenza educativa, peraltro previsti da un decreto regionale, ha spiegato Francesca Doni.
Su questi temi, hanno poi sottolineato le rappresentanti del CDEPP, si stanno formando analoghi comitati in varie Regioni italiane. E’ stato attivato un lavoro di sensibilizzazione nei confronti delle istituzioni, con prese di contatto e incontri a Roma, con vari esponenti del Parlamento, nonché in Consiglio Regionale, dove presto saranno discussi tre documenti relativi alla questioni. Oggi la questione è approdata anche in Consiglio comunale, con il confronto in commissione che ha visto gli interventi dei due presidenti, Crema e Camarda, nonché della consigliera Ciampolini, la quale proporrà ai colleghi e alle colleghe un’ipotesi di documento con il quale la Sala Rossa prenderà posizione a sua volta.

Intanto, si è parlato della necessità di una sorta di censimento dei lavoratori e delle lavoratrici che operano nel settore dell’educazione professionale, sia nel privato sociale, a partire dalle cooperative, sia negli enti pubblici stessi, dove comunque si applicano i contratti nazionali di settore, con condizioni salariali e normativa decisamente meno sfavorevoli per il personale. A questo proposito, è stato ricordato che tra pochi giorni prenderanno servizio in Comune i primi dieci educatori ed educatrici professionali assunti tramite l’ultimo concorso pubblico.

Claudio Raffaelli