L’azienda che include funziona meglio?

Molte imprese non colgono ancora appieno il valore dell’inserimento di lavoratori con fragilità. Tendono ad attenersi agli adempimenti minimi di legge. Talvolta preferiscono pagare le multe. Un sondaggio di Jointly apre una riflessione su un tema dai forti risvolti culturali oltre che organizzativi ed economici

di NICOLA VARCASIA

Un’azienda informatica ha adattato alcune mansioni operative per i soggetti con Alzheimer precoce. Un’altra, del settore moda, prevede l’inserimento di almeno una persona con disabilità in ogni divisione, oltre il concetto delle “quote”. Sono due casi creativi, che mostrano soluzioni in grado di rafforzare gli obiettivi di sostenibilità sociale negli ambienti professionali. Potete leggere storie e analisi del fenomeno sul nuovo numero di VITA. Ma come, più in generale, le aziende italiane gestiscono l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità? Sono schiacciate sulle “norme” o ci credono davvero? Quali le modalità concrete per favorire nuova consapevolezza, prima ancora che nuovi strumenti? Assieme al racconto di alcune best practice, ha provato a fornire alcune risposte più generali Jointly, società B corp del settore corporate wellbeing, con un sondaggio su un panel significativo di aziende del proprio network.

Approccio minimale

Il panel, che ha compreso 88 aziende di medie e grandi dimensioni, la metà delle quali fa parte di un gruppo multinazionale con più di 500 dipendenti, ha restituito una fotografia variegata. A fronte di un’incidenza della disabilità che riguarda il 42% delle aziende intervistate, solo tre su dieci si sono dotate di una funzione dedicata a supportare l’inserimento lavorativo di questa tipologia di lavoratori, mentre il 6% ammette di ricorrere al pagamento delle sanzioni previste per la mancata assunzione della quota di assunzioni obbligatorie.

Tipologie di fragilità

Nell’ambito del campione di aziende intervistate, le forme di disabilità più rappresentate sono quella fisica (42%), viscerale, come ad esempio diabete, malattie cardiache o metaboliche (40%) – che comprende diabete, malattie cardiache, malattie metaboliche – seguite da quelle di tipo sensoriale (33%), multipla (25%), intellettiva (20%) e mentale (20%). Riguardo i settori di impiego, quelli che contano una maggiore presenza delle persone con disabilità sono quelli dedicati alle attività di backoffice, come i servizi generali e di facility management (26%) e quelli di amministrazione e finance (23%), seguite dai servizi informatici (18%), risorse umane (18%) e vendite (8%).

I fondi ci sono

Secondo i dati forniti da Jointly, per rispondere alle esigenze di questa specifica tipologia di lavoratori, però, le aziende sono ancora poco strutturate, e scarso (8%) risulta anche il ricorso agli strumenti di tipo normativo che puntano a facilitare l’inserimento in azienda delle persone con disabilità, come i fondi dedicati a livello regionale e ministeriale.

I supporti più utilizzati risultano, invece, essere le convenzioni e i tirocini concordati con gli uffici preposti al collocamento mirato (30%), il collocamento mirato attraverso i centri per l’impiego, segnalato da quattro risposte su dieci, e lo smart working, menzionato dal 41% degli intervistati.

Cooperative specializzate

Rispetto al reclutamento delle persone con disabilità, un’azienda su tre si attieneagli obblighi di legge e stipula convenzioni con cooperative o enti specializzati nella somministrazione di lavoro a questa tipologia di collaboratori: un fatto questo, che rappresenta un ambito importante di raccordo tra profit e non profit e che negli anni ha costruuito ponti interessanti di collaborazione. Ci sono aziende che scelgono anche di occuparsi direttamente della selezione dei candidati con disabilità (35%), sulla base delle loro competenze, con un 30% che gestisce internamente gli aspetti legati all’assunzione di persone con disabilità.

Azione culturale

Ma l’inserimento da solo non basta: perché le persone con disabilità possano esprimere il proprio potenziale al lavoro, è necessario che tutta l’organizzazione – e in particolare i team nei quali vengono inserite – siano ingaggiati e formati per tempo. Ad oggi il 23% delle aziende dichiara di aver istituito campagne di comunicazione interna e momenti di sensibilizzazione per favorire la collaborazione tra colleghi, mentre solo il 12% ha definito un manifesto sul diversity management. Un impegno che è però valorizzato, dove c’è nei bilanci di sostenibilità: un’azienda su cinque (21%) lo rendiconta. L’impegno in alcuni casi (16%) si estende anche alla definizione di percorsi di carriera calibrati sulle competenze delle persone con disabilità.

Il ruolo del welfare aziendale

In questo contesto, anche il welfare aziendale, settore nell’ambito del quale questo sondaggio è stato svolto, può fare la sua parte, attraverso l’individuazione di soluzioni capaci di«andare incontro ai bisogni delle persone con disabilità, ad esempio puntando su sanità integrativa e tutela del benessere psicofisico che risultano particolarmente utili ed efficaci nel favorire l’inclusione e l’engagement di questi lavoratori», ha commentato Anna Zattoni, presidente di Jointly.

Fonte: vita.it