Inclusione dove sei? Uno su tre non ci crede più

L’inclusione scolastica è «utopistica e irrealizzabile» per una persona su tre (32%). E se la disabilità è grave, gli insegnanti che pensano che una vera inclusione non è fattibile arrivano al 47%. Più sono giovani, più sono scettici. I dati shock di una ricerca curata da Dario Ianes

di SARA DE CARLI

Se la prendi larga, sono tutti d’accordo: che l’inclusione scolastica sia un valore per ogni alunno, indipendentemente dal suo grado di disabilità, è una frase che raccoglie un consenso unanime, del 96%. Ma se approfondisci e vai nella concretezza, ecco che il valore dell’inclusione scolastica vacilla proprio fra chi vi è più direttamente coinvolto: insegnanti curricolari e di sostegno, tecnici, operatori dei servizi, genitori. Vacilla sia sul piano del valore sia su quello della fattibilità concreta.  L’inclusione scolastica è «utopistica e irrealizzabile» per una persona su tre (32%). E dopo 40 anni di inclusione scolastica, per quattro persone su dieci l’Italia non ha affatto sviluppato una maggiore capacità di accogliere le differenze, bocciandone quindi l’impatto sociale e culturale. Nel caso di un alunno con disabilità grave quasi una persona su tre è scettica: il 27% del campione crede che l’inclusione non sia la scelta migliore e benché più di otto su dieci boccino il «modello formativo a tre vie» che prevederebbe la possibilità di essere inseriti in contesti scolastici diversi a seconda delle caratteristiche del singolo alunno (scuole speciali, classi speciali e inclusione piena in classe), ecco che chi lavora quotidianamente con un alunno con disabilità grave pensa spesso che una vera inclusione non è fattibile: il 47% del campione, quasi uno su due. 

Sono alcuni dei dati inediti e sorprendenti raccolti dal team di Ricerca & Sviluppo di Erickson, che Dario Ianes – ordinario di Pedagogia dell’inclusione alla facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano-Bozen e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento – presenta oggi a Rimini nell’ambito della XIV edizione del convegno La qualità dell’inclusione scolastica e sociale.

La ricerca Inclusione scolastica e sociale: un valore irrinunciabile? Quanto è fattibile, efficace e condivisa nei suoi valori? è frutto di un sondaggio nazionale anonimo realizzato fra settembre e ottobre 2023 fra le persone interessate nei diversi contesti educativi e sociali (scuole, cooperative, servizi, famiglie). Hanno risposto in 3mila. «Il fatto che questo campione sia autoselezionato, composto cioè da persone che hanno scelto liberamente di dedicare del tempo a rispondere e con buona probabilità, orientate favorevolmente verso l’inclusione, verosimilmente impegnata per realizzarla», osserva Ianes. «Questo significa che la percezione del valore e dell’impatto dell’inclusione nella popolazione generale è ancora più basso, direi almeno al 40-45%».

Qui da noi nessuno dirà mai “torniamo alle scuole speciali”, però c’è uno scetticismo strisciante visto che il 23% crede che l’alunno con disabilità grave dovrebbe stare per lo più nell’aula di sostegno

Dario Ianes, Centro Studi Erickson

Partiamo dall’inizio. Perché l’idea di “sondare” lo scettiscimo degli italiani verso l’inclusione? Abbiamo sentore che nell’inclusione non ci crediamo più?

Parto da una citazione: «Lungi dall’essere un modello che altri Paesi potrebbero emulare, il sistema educativo inclusivo italiano è un esempio di come la pratica dell’inclusione possa essere inefficace, se non addirittura controproducente, rispetto al suo scopo essenziale». Lo scrivono Philippa Gordon-Gould e Garry Hornby, nel libro Inclusion at the crossroads appena pubblicato da Routledge. Ma 2017 era già uscito Inclusion is dead di Peter Imray e Andrew Colley, che è stato un po’ il capostipite dello scetticismo, tanto che già nel 2019 ne avevamo discusso, con Giuseppe Augello, nel libro Gli inclusioscettici. Le cose in questi anni sono andate avanti: oggi la corrente di pensiero scettica sull’inclusione scolastica sembra prendere sempre più forza a livello internazionale. In agosto per esempio Björn Höcke, leader della destra radicale tedesca dell’Afd in Turingia ha proposto “scuole separate per i disabili” e ha definito “ideologica” l’inclusione. La notizia è stata molto ripresa in Italia: qui da noi nessuno dirà mai “torniamo alle scuole speciali”, però c’è uno scetticismo strisciante… Che in realtà è nascosto e strisciante nelle parole ma non tanto nei fatti, visto che il 23%, cioè quasi un insegnante/operatore su quattro, crede nell’utilità dell’aula di sostegno e pensa che sarebbe molto utile che gli alunni con disabilità grave, per il loro apprendimento e benessere generale, dovrebbero lavorare per la maggior parte del tempo in uno spazio dedicato.

Ma siamo scettici sul valore dell’inclusione o sulla sua attuabilità concreta?

Entrambe le cose. Uno degli elementi centrali è certamente la difficoltà dell’implementazione dell’inclusione ma il fatto che tu nella pratica quotidiana sia frustrato… prima o poi eroderà anche i valori di fondo. Oggi la dimensione del valore appare solida, con il 96% dei rispondenti che considera l’inclusione un valore di giustizia sociale, ma per la teoria della dissonanza cognitiva è evidente che non si può restare a lungo in una situazione di discrepanza così ampia.

Oggi la dimensione del valore appare solida, ma se nella pratica quotidiana sei continuamente frustrato, questo eroderà anche i valori. Bisogna fare manutenzione delle pratiche

Dario Ianes

A livello di obiezioni, quali sono quelle prevalenti?

Ci sono quattro macro-argomenti: che l’inclusione lede i diritti dei compagni di classe senza difficoltà ad apprendere e sviluppare appieno il loro potenziale (“gli alunni con disabilità rallentano il gruppo classe”); l’inclusione lede i diritti anche degli alunni con disabilità più grave a ricevere un’offerta educativa e formativa maggiormente adatta ai loro bisogni, perdendo tempo prezioso per altri apprendimenti più utili nella dimensione di autonomia personale e sociale; l’inclusione espone gli alunni con disabilità, soprattutto intellettiva, a gravi minacce identitarie e di autostima, a causa degli episodi di stigmatizzazione, esclusione e bullismo a cui sono sottoposti da parte dei compagni; l’indisponibilità di altre opzioni, tipo classi o scuole speciali, lede i diritti delle famiglie a scegliere soluzioni differenti.

Come si risponde a questa corrente di scetticismo?

Dobbiamo muoverci sempre di più sul terreno della ricerca. Per anni, nel nostro Paese, si è fatta una ricerca descrittiva, autoreferenziale, autocelebrativa, confermativa e retorica sull’inclusione scolastica, raccontandoci quanto siamo bravi, e all’ avanguardia in tutto il mondo, senza però riscontri empirici ed evidenze. Silvia Dell’Anna e Rosa Bellacicco hanno fatto un lavoro enorme di mappatura e analisi di più di dieci anni di ricerca italiana: nel volume Cosa sappiamo dell’inclusione scolastica in Italia? riportando dati ed evidenze positive. Ma è ancora troppo poco, a fronte di una percezione diffusa di inadeguatezza della scuola nell’essere pienamente inclusiva. Oggi abbiamo due temi: quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto la spinta individualistica e meritocratica dell’attuale visione conservatrice della scuola e della società?  E quanto reggeranno i valori base dell’inclusione scolastica sotto le difficoltà quotidiane di applicazione e realizzazione concreta dei valori inclusivi?

Che cosa l’ha colpita di più, nelle risposte al sondaggio?

Il fatto che i più scettici siano gli insegnanti più giovani, sia curricolari che di sostegno: tra gli insegnanti con meno di cinque anni di esperienza quelli favorevoli al lavoro in uno spazio dedicato sono il 24% contro il 18% di chi ha oltre 20 anni di insegnamento. È evidente che sono meno coinvolti nell’aspetto valoriale, non hanno alle spalle quella dimensione legata ai “diritti” di chi ha vissuto gli anni Settanta e la nascita dell’inclusione scolastica. Per certi versi questa vicenda è una storia parallela a quella della Legge Basaglia. I tecnici d’altra parte sono quelli che percepiscono maggiormente un declino collettivo dell’impegno verso l’inclusione: lo vede ben uno su due, il 52%.I più scettici sono gli insegnanti più giovani, sono meno coinvolti nell’aspetto valoriale

Serve più formazione?

No, non solo, perché alla fine uno può essere anche tecnicamente molto preparato ma non crederci. Bisogna fare manutenzione delle pratiche, perché se sei frustrato nella pratica poi finisce che non ci credi più anche se era una cosa in cui credevi. Inevitabilmente prevalgono la stanchezza e il disincanto. D’altra parte la scuola non è un’isola: la spinta della società va tutta nella direzione dell’individualismo, del merito, della performance.

C’è anche una domanda sulla proposta di “cattedra mista”, un dibattito che ha acceso l’estate…

Sì, ma l’abbiamo ribattezzata “cattedra inclusiva”. L’idea di “organizzare la scuola in cattedre miste (insegnante curricolare lavora metà delle sue ore sul sostegno e insegnante di sostegno lavora metà delle sue ore sul curricolo) migliorerebbe l’inclusione e la didattica per tutti” riscuote il consenso del 79% del campione, con un 49% addirittura completamente d’accordo. Solo l’8% è nettamente contrario. Questo dato ci conferma nella bontà dell’idea, andiamo avanti: abbiamo predisposto l’articolato di un disegno di legge, che andremo ora a proporre alla politica.

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Fonte: vita.it