Sordità genetiche: un insieme di malattie diffuse ma ancora troppo trascurate

Foto della Dottoressa Lucia Oriella PiccioniEPIDEMIOLOGIA E TIPO DI SORDITÁ

In occasione della Giornata Mondiale dell’Udito, che si celebra ogni anno il 3 marzo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ribadito come l’ipoacusia – vale a dire l’incapacità di sentire come una persona normoudente – continui a rappresentare un problema molto diffuso: fino al 5% della popolazione mondiale convive con una perdita uditiva e, secondo le stime previste per il 2050, circa una persona su quattro sperimenterà una forma di diminuzione dell’udito. Pertanto, l’obiettivo prioritario della campagna promossa dall’OMS è fare in modo che la cura dell’udito sia riconosciuta come una priorità per i sistemi sanitari di tutti i Paesi del mondo.

La gran parte delle sordità che interessano i bambini è dovuta a mutazioni genetiche, fra cui quelle più diffuse legate al gene GJB2 che codifica per la connessina-26 (circa 80%), o ad altre mutazioni del DNA mitocondriale”, afferma la dottoressa Lucia Oriella Piccioni, Otorinolaringoiatra e Responsabile dell’Unità Funzionale della Chirurgia dell’Orecchio e dell’Udito presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. “Nelle sordità non sindromiche la perdita dell’udito è l’unico sintomo presente e queste patologie hanno una trasmissione prevalentemente autosomica recessiva, ma esistono anche forme a trasmissione dominante e altre legate al cromosoma X. Poi esistono le sordità sindromiche, in cui la perdita dell’udito si manifesta nel contesto di altre patologie, come la sindrome di Usher o di Pendred. In questo caso la sordità è solo una delle manifestazioni di una patologia più vasta”.

Il quadro genetico delle sordità appare piuttosto complesso ma non bisogna dimenticare che in un’altra corposa frazione di bambini il problema è successivo al prodursi di infezioni – come quelle da citomegalovirus congenito o toxoplasma – trasmesse dalla madre al feto durante la gravidanza. Casi di questo tipo, insieme a quelli che si originano in seguito a problematiche o infezioni in epoca neonatale, possono sfuggire ai controlli alla nascita e manifestarsi nei mesi o negli anni successivi, puntando i riflettori sul tema della diagnosi delle sordità.

DIAGNOSI E FATTORI DI RISCHIO

Come si apprende dal sito del Ministero della Salute, in Italia lo screening uditivo neonatale è inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e garantito a tutti i neonati, secondo l’art. 38 del DPCM del 12 gennaio 2017. “Alla nascita il bambino viene sottoposto al test delle otoemissioni acustiche grazie a cui è possibile registrare i suoni emessi dalla coclea durante il sonno”, precisa Piccioni. “Si tratta di un test indolore che restituisce il risultato PASS, se lo strumento ha ricevuto il suono dalla coclea, oppure NON-PASS in caso contrario. I bambini che non hanno superato il test vengono sottoposti all’esame di approfondimento dei potenziali evocati uditivi, attraverso i quali è possibile stabilire l’entità del danno uditivo”.

Purtroppo, i risultati di questo esame non sempre vengono interpretati in modo corretto. “In Italia i centri attrezzati per la diagnosi e la terapia del bambino affetto da sordità sono limitati”, prosegue la dottoressa milanese, esperta di sordità e di impianti cocleari. “Una buona gestione di questi bambini richiede strumentazione adeguata e, soprattutto, la presenza di personale ben formato e competente”. Un’attenta raccolta dell’anamnesi famigliare diventa quindi fondamentale: devono essere registrati eventuali casi di sordità in famiglia, patologie che la madre può aver accusato in gravidanza, ittero o esposizioni ai rumori forti ma anche l’assunzione di farmaci – fra cui i macrolidi, antibiotici di uso comune – per il trattamento delle infezioni. “Lo screening audiologico è importantissimo ma occorre prestare anche attenzione allo sviluppo del linguaggio”, spiega Piccioni. “La mancata risposta a uno stimolo forte oppure un ritardo o una compromissione nello sviluppo del linguaggio sono segnali che devono far sospettare il genitore e il pediatra, propendendo per una valutazione del bambino da parte di un otorinolaringoiatra esperto”. Spesso, purtroppo, di fronte a queste problematiche si tende a rivolgersi prima al logopedista o al neuropsichiatra, escludendo a priori la possibilità stessa di una sordità. Ciò può ritardare la diagnosi.

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