La Timidezza delle Chiome, intervista alla regista in occasione della proiezione al centro Asteria di Milano

Volete vedere un bel film? Guardatevi La timidezza delle chiome (qui il trailer). Ve lo dice uno che guarda i film con la pancia e diventa critico se incontra la disabilità. La pellicola è molto godibile anche perché usa un linguaggio della disabilità corretto e all’occasione divertente. Pure se qualcuno troverà scabrosa la naturalezza con cui tratta la sessualità. Quella dei protagonisti gemelli con disabilità intellettiva, simpatici e pestiferi, veri e non di finzione, alle prese col mondo dopo la maturità. Ho intervistato la regista, che sarà alla proiezione al centro Asteria di Milano il prossimo 19 alle 20:45, all’interno degli eventi del Festival delle abilità.

Il film documentario della regista Valentina Bertani nasce dalla storia vera di due gemelli omozigoti, Benjamin e Joshua Israel. Sono protagonisti di loro stessi con bravura, e questo dimostra che anche le persone con disabilità intellettive possono recitare. Se capaci e nei ruoli giusti.

Si tratta di una commedia seria che alterna toni spassosi ad altri drammatici, spaziando dal rapporto fra fratelli a quello con i genitori; dalle relazioni con gli amici a quelle con se stessi; dal desiderio di prendere la patente a quello di entrare nell’esercito israeliano. C’è un continuo confronto con i limiti, che si spostano più in là o che respingono. E che coinvolge ben oltre i protagonisti, invitandoci non solo a conoscere meglio le persone con disabilità intellettiva ma a interrogarci su noi stessi: in quei ragazzi non ci sono un po’ delle mie insicurezze?

Premio Speciale Valentina Pedicini ai Nastri d’argento 2023, le immagini corrono via seguendo le vicissitudini dei ragazzi con i loro amici, disabili e non, coinvolgendo i genitori e altre persone per caso. Come un gruppo di donne con cui uno dei gemelli si trova a discutere di amore ed emergono gli atavici stereotipi sul ruolo della donna e dell’uomo nei rapporti di coppia. Il film non parla solo di disabilità.

Alla proiezione al centro Asteria ci sarà la regista, che ho intervistato.

Valentina, come hai conosciuto i protagonisti del film?

«Era una giornata di sole e stavo parcheggiando lo scooter lungo i Navigli, nel 2017. Sembravano usciti da un film indipendente americano di Harmony Korine o Larry Clark. Ho provato a fermarli ma hanno continuato a camminare. Ho capito che avevano una disabilità intellettiva perché ho studiato in ambito psico- pedagogico e sul momento li ho lasciati andare, salvo poi rendermi conto del potenziale narrativo di una storia in cui due gemelli bellissimi, omozigoti e con una disabilità intellettiva interagiscono col mondo e la realtà. Li ho rintracciati chiedendo ai negozianti».

Come nasce la sceneggiatura?

«Tutto ciò che è stato messo in scena è un ibrido tra realtà e trasposizione cinematografica di esperienze vissute insieme ai gemelli Israel. In questo modo ne La timidezza delle chiome Benji e Josh sono sì persone reali, ma allo stesso tempo anche attori che mettono in scena la propria esistenza. Diventando coautori, perché sono sempre stati liberi di modificare dialoghi e movimenti per risultare credibili. La regia si è adattata alle loro movenze. I sottotitoli sono stati messi a punto per il loro modo di parlare».

Come si racconta la disabilità in maniera competente e semplice?

«Il focus del film non è la disabilità intellettiva dei gemelli ma il racconto per immagini del loro coming of age. Benjamin e Joshua sono prima di tutto persone e come tutti hanno molte sfaccettature da raccontare. Nel film si mostrano al pubblico senza filtri, come due adolescenti frustrati e in evoluzione che si lasciano osservare da vicino. Credo che in generale gli spettatori siano poco abituati a frequentare persone con disabilità intellettiva e che quindi La timidezza delle chiome possa risultare spiazzante, perché durante la visione si acquisisce la consapevolezza che Benjamin e Joshua vivono gli stessi conflitti interiori dei loro coetanei. Viene messo in discussione il concetto di “diverso” perché in realtà ciascuno di noi è diverso da tutti gli altri».

fratelli sapevano recitare oppure hanno imparato per il film?

«Mai avuto esperienze di recitazione: sono stata io a insegnargli come si fa ma è stato possibile perché hanno immenso talento. La prima regola che ho dato loro è stata: mai guardare la macchina da presa. Per evitare che lo facessero gli ho detto che la camera era come Medusa e, dall’azione allo stop, guardarla poteva pietrificare gli attori. Josh e Benji hanno un approccio molto differente a livello di acting: Josh è istintivo, spontaneo e con una naturale tendenza a improvvisare utilissima per il film. Benji è molto rispettoso delle indicazioni di regia, quasi titubante in una fase iniziale ma ha poi imparato con l’esperienza e con le prove a gestire i tempi e gli spazi del set».

Per informazioni sulla proiezione del 19 basta seguire i social agli indirizzi qui sotto:

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La cultura della disabilità si crea anche al cinema, che acquisisce dalla realtà e ributta dentro. In un inarrestabile circolo anticipatore che in questo caso aiuta a conoscere meglio due persone con una disabilità differente dall’immaginario e più vicina a noi di quel che sembra.

Fonte: corrieredellasera