Francesca Chiesa e la sconfitta dell’emiparesi

Foto di Francesca Chiesa con il suo Corno FranceseLa scelta di dedicarsi al corno francese è stata quasi obbligata, ma non appena Francesca Chiesa ha sentito emettere la prima nota è stato amore a prima vista. Torinese cresciuta in provincia di Asti, con il suo strumento ha un rapporto privilegiato, quasi simbiotico e ne racconta la storia con grande ironia. «L’opzione del corno francese è stata inevitabile perché a causa della mia disabilità non potevo fare diversamente», dice ridendo. Ventisette anni, una laurea in musica da camera oltre a quella in corno francese, entrambe conseguite al Conservatorio Giuseppe Verdi, ha dalla nascita una disabilità di emiparesi destra agli arti. Questa condizione non l’ha fermata, anzi, sembra averle donato una marcia in più. È diventata musicista e martedì sarà tra i professori della Cine Symphony Orchestra – compagine della quale è coordinatrice –, protagonista del “Concerto di Ferragosto” alle 18 al Forte di Fenestrelle nel cartellone di Scenario Montagna.

Come si è avvicinata allo studio della musica?

«Avevo 8 anni e in classe erano venuti alcuni componenti della banda del paese a raccontare il loro lavoro. Uscita da scuola ho obbligato mia madre a parlare con i musicisti e, spiegando loro la mia situazione, si è deciso che il corno sarebbe stato l’ideale. Quando me lo hanno messo in mano e ho provato a suonare, me ne sono subito innamorata. I miei genitori, che sono amanti della musica, mi hanno supportato da subito».

 
Che tipo di strumento è?

«Fa parte degli ottoni e ha molteplici qualità timbriche e sonore. Non è molto conosciuto e ha una forma particolare, quello che possiedo attualmente pesa circa tre chili e, se fosse srotolato, raggiungerebbe la lunghezza di tre metri».

Ha subito discriminazioni a causa della sua disabilità?

«La discriminazione più grande che ho subito in ambito musicale è stata perché sono donna, non in quanto disabile. L’ambiente orchestrale è piuttosto maschilista, essendo formato da una generazione che ha una mentalità ancora troppo retrograda, cosa che non accade tra noi giovani».

Cosa vuol dire essere musicista professionista nel 2023?

«In Italia è più difficile, all’estero è meglio. Purtroppo nel nostro paese il lavoro del musicista non viene riconosciuto come tale perché mancano tutele e opportunità. Chi esce da un Conservatorio può aspirare a vincere un concorso entrando in un’orchestra, oppure tentare la carriera di insegnante, che tendenzialmente vuol dire precariato. Per il resto è difficile sopravvivere di musica. All’estero, invece, ci sono migliori possibilità, anche perché le retribuzioni sono più alte e maggiori le garanzie».

Consiglierebbe a una persona con disabilità di impegnarsi nello studio di uno strumento?

«È un discorso ampio, tuttavia rispondo di sì perché si chiama integrazione sociale e ritengo sia soprattutto una questione culturale. Faccio un esempio: nelle famiglie in cui è presente un bimbo con delle problematiche, spesso i genitori tendono a essere iperprotettivi non permettendogli di sperimentare. Chiaramente sto generalizzando, ma in linea di massima è così. Invece, ci sono numerose opportunità, come avvicinarsi alla musica o quelle offerte dalle società paralimpiche, che sono grandi e ben strutturate, però ancora poco frequentate».

Fonte: lastampa.it