Boom di casi in provincia di Cuneo. E l’autismo finisce in lista d’attesa

Lo AutismoPiù 117% in pochi anni, soprattutto fra i minori. Ma oggi nella rete di assistenza sembrano venire prima disturbi alimentari, ansia e depressione.

Essere Benedetta. E venire al mondo con una malattia a cui nessuno sa dare un nome. Per la scienza il suo caso è come la pietra filosofale che nessuno trova. «Non classificata» diranno i medici di lei. Sanno solo che qualcosa nella sua mente non torna, perché si è spento o non c’è mai stato.

E come si curano i venuti al mondo diversi, gli strani? Con risorse che lo Stato oggettivamente fatica a cucire su misura. E qui, in questa crepa, si fa spazio il privato. Ovvero quei genitori di buona volontà che cercano di fare squadra. A Saluzzo, ad esempio, grazie all’associazione «Saluzzo Insieme» è arrivato un centro, attivo da un paio di mesi. «Ed è la nostra alternativa al niente o ai centri diurni che non riescono ad accogliere tutti» spiega Giuseppe Villosio, papà di Benedetta.

Raccontano, i genitori dei ragazzi disabili, che i loro figli stanno sempre peggio. Perché vengono per ultimi, devono mettersi in coda. Dietro a quelle gigantesche fragilità di oggi che si chiamano disturbi alimentari, ansia, depressione. Replica, la Regione, che nulla è cambiato. Che i fondi sono gli stessi di sempre. E lo ribadisce Carlo Picco, commissario dell’Azienda zero, in pratica la SuperAsl del Piemonte. Sostiene che al capitolo autismo i soldi «non sono stati tagliati ma incrementati» e che neanche i servizi sono stati ridotti. In altre parole, i livelli di assistenza ci sono. Anche se poi mamme come Anna – che ha raccontato la sua storia a La Stampa – sono come mulini al vento: sempre più sole e dimenticate. «L’Asl ci offre un’assistenza di otto ore a settimana per ciascun ragazzo. Meno di un decimo del tempo. Così il loro problema viene interamente scaricato su di noi».

Orazio Pirro, neuropsichiatra infantile che coordina il tavolo regionale dedicato a queste patologie, forse aiuta a spiegare perché i conti non tornino nonostante l’impegno della Regione non sia calato. Anzi. «Innanzitutto bisogna partire da un dato: +117 per cento. È l’impennata che hanno registrato i disturbi tra i più giovani negli ultimi anni. Numeri epocali, che impattano sulla struttura sia dal punto di vista dell’organizzazione sia dell’occupazione del personale». Pirro però ci tiene a sottolineare un concetto: non si toglie da una parte per favorirne un’altra. E spiega che dal 2016 ogni anno la Regione stanzia due milioni per l’autismo. Dove vanno a finire? La priorità sono i bambini da zero a sei anni. La logica: prima si interviene e meglio è. Se si interviene in tempo la sindrome dell’autismo permette di avere in futuro adulti meno problematici. Meno gravosi anche per il sistema sanitario.

Non solo. Maurizio Arduino, che guida il centro autismo e sindrome di Asperger di Mondovì, diventato in pochi anni un’eccellenza, snocciola una serie di numeri che aiutano a inquadrare meglio il fenomeno: tra il 2019 e il 2021 in Piemonte c’è stato un +25% delle diagnosi. E l’anno scorso nella fascia tra i 4 e i 6 anni sono stati accertati 71 nuovi casi. Così le fila si ingrossano: l’Asl Cn1, per fare un esempio, segue 525 minori (da zero a 17 anni) e 50 adulti. Dunque, il numero degli autistici cresce. Sempre di più. E così accade che Anna non riesca ad affidare anche solo per poche ore i suoi due ragazzi adolescenti (hanno 15 e 16 anni) al polo per l’autismo aperto a Cuneo tre anni fa per iniziativa del Consorzio socio-assistenziale d’intesa con l’Asl. «Quando abbiamo avviato in tutta la regione questi Sert diurni per l’autismo le liste d’attesa non esistevano – spiega ancora Pirro – Oggi, è vero, sono intasate. A tutto questo va aggiunta l’impennata dei casi negli ultimi anni e si spiega perché ci sia da aspettare. E poi c’è la difficoltà a formare personale. Ci vogliono competenze specifiche, e anche una certa predisposizione a un compito che è senza dubbio difficile. Quindi è in gran parte un problema di risorse professionali a limitare l’attività dei centri diurni».

Domanda allo specialista: otto ore a settimana sono sufficienti per un bambino/ragazzo autistico? «Dipende dalla portata del bisogno assistenziale. Certo, per la famiglia può essere e sicuramente lo è un impegno gravoso ma non per questo viene meno l’impegno della struttura sanitaria». Che evidentemente è di tutti ma non per tutti. Altrimenti non ci sarebbero liste d’attesa impossibili, «inavvicinabili per noi genitori» dice Villosio e famiglie che si rimboccano le maniche. Creando associazioni per non rimanere soli. Soprattutto davanti a certe domande che inchiodano: «Cosa far fare a questi nostri figli che a vent’anni hanno esaurito il percorso scolastico? Che ne sarà di loro?».

Fonte: lastampa.it