Identificato il primo marcatore genetico per la gravità della sclerosi multipla

Foto di ricerca farmacologicaUno studio multicentrico internazionale, condotto su oltre 22.000 persone con sclerosi multipla, cui hanno collaborato in Italia l’Università del Piemonte Orientale, l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, l’Università di Milano, la Fondazione IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo di Milano, con il supporto economico anche dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Mulipla), tramite la propria Fondazione FISM, ha portato a scoprire la prima variante genetica associata a una progressione più rapida della malattia, che nel tempo può privare i pazienti della loro mobilità e indipendenza.

La sclerosi multipla, infatti, è il risultato dell’azione del sistema immunitario che attacca erroneamente il cervello e il midollo spinale, provocando riacutizzazioni dei sintomi, note come ricadute, e degenerazione a lungo termine, nota come progressione, cioè un accumulo di disabilità. Nonostante lo sviluppo di trattamenti efficaci per le ricadute, nessuno può prevenire in modo affidabile l’accumulo di disabilità.
I risultati di questo studio, pubblicati dalla testata «Nature», puntano l’attenzione sull’identificazione di una variante genetica che aumenta la gravità della malattia, fornendo un’informazione fondamentale nella comprensione e quindi nella lotta a questo aspetto della sclerosi multipla.

«Ereditare questa variante genetica da entrambi i genitori – dichiara il ricercatore Sergio Baranzini, docente di Neurologia all’Università della California di San Francisco e co-autore senior dello studio – accelera di quasi quattro anni il tempo per avere bisogno di un ausilio per la deambulazione».
Il lavoro, come accennato inizialmente, è stato il risultato di un’ampia collaborazione internazionale di oltre settanta istituzioni di tutto il mondo, guidate da ricercatori della citata Università della California di San Francisco e dell’Università di Cambridge nel Regno Unito.
«Capire come la variante esercita i suoi effetti sulla gravità della sclerosi multipla – aggiunge Stephen Sawcer, docente all’Università di Cambridge e altro co-autore senior dello studio – aprirà auspicabilmente la strada a una nuova generazione di trattamenti in grado di prevenire la progressione della malattia».

Mettere in campo congiuntamente tante forze e risorse ha consentito dunque di lavorare per incominciare a identificare i fattori genetici che influenzano l’andamento clinico della sclerosi multipla. Precedenti studi avevano dimostrato infatti che la suscettibilità o il rischio di sclerosi multipla deriva in gran parte da disfunzioni del sistema immunitario e alcune di queste disfunzioni possono essere trattate, rallentando la malattia. «Ma questi fattori di rischio – sottolinea Baranzini – non spiegano perché, a dieci anni dalla diagnosi, alcune persone con la sclerosi multipla siano sulla sedia a rotelle, mentre altre continuino a correre maratone».

I due consorzi di ricerca impegnati nello studio (IMSCG-International Multiple Sclerosis Genetics Consortium e MultipleMS Consortium) hanno dunque integrato i dati di migliaia di persone con sclerosi multipla, per completare uno studio di associazione su tutto il genoma (GWAS), che utilizza la statistica per associare accuratamente le varianti genetiche a tratti particolari. In questo caso, i tratti di interesse erano correlati alla gravità della sclerosi multipla, comprendendo, ad esempio, gli anni necessari a ciascuna persona per passare dalla diagnosi a un certo livello di disabilità.
Membri di entrambi i consorzi sin dalla loro istituzione, i ricercatori italiani hanno contribuito attivamente a tutte le fasi dello studio, rendendo disponibile anche un’ampia casistica italiana di persone con sclerosi multipla, caratterizzate accuratamente da un punto di vista clinico, che costituiscono circa il 20% dell’intera popolazione in studio.
Dopo avere setacciato oltre sette milioni di varianti genetiche, i ricercatori ne hanno trovata una associata a una progressione più rapida della malattia. Essa si trova tra due geni senza precedente associazione alla sclerosi multipla (DYSF e ZNF638), il primo dei quali coinvolto nella riparazione delle cellule danneggiate, mentre il secondo aiuta a controllare le infezioni virali. La vicinanza della variante a questi geni suggerisce che potrebbero essere coinvolti nella progressione della malattia.
«Questi geni sono normalmente attivi nel cervello e nel midollo spinale, e non nel sistema immunitario – afferma Adil Harroud, primo autore dello studio -. I nostri risultati suggeriscono pertanto che la resilienza e la riparazione nel sistema nervoso determinano il corso della progressione della sclerosi multipla e che dovremmo concentrarci su queste parti della biologia umana per terapie più efficaci».

Quanto prodotto da questo studio multicentrico porta ai primi indizi per affrontare la componente del sistema nervoso della sclerosi multipla. «Sebbene sembri ovvio che la resilienza del cervello alle lesioni determinerebbe la gravità di una malattia come la sclerosi multipla – spiega Stephen Sawcer -, questo nuovo studio ci ha indirizzato verso i processi chiave che sono alla base di questa resilienza».
Ora sarà necessario ulteriore lavoro per determinare esattamente come la variante genetica individuata influenzi i geni DYSF, ZNF638 e il sistema nervoso più in generale. I ricercatori stanno anche raccogliendo una serie ancora più ampia di campioni di DNA da persone con sclerosi multipla, aspettandosi di trovare altre varianti che contribuiscono alla disabilità a lungo termine nella progressione della malattia.

«Questo studio – conclude Adil Harroud – ci dà una nuova opportunità per sviluppare nuovi farmaci che possono aiutare a preservare la salute di tutti coloro che soffrono di sclerosi multipla».

Dal canto loro, i ricercatori italiani coinvolti nella ricerca, ovvero Sandra D’Alfonso, Filippo Martinelli Boneschi e Federica Esposito, sottolineano come «questo lavoro rappresenti un’importante svolta nell’ambito della medicina di precisione, in quanto potrebbe, ad esempio, portare all’uso di terapie più aggressive sin dall’inizio in quei soggetti portatori di varianti genetiche sfavorevoli per la progressione. Inoltre, la conoscenza di questa variante e dei due geni in prossimità della variante potrebbe permettere di sviluppare nuovi farmaci che agiscano sul meccanismo d’azione dei due geni stessi, rallentando la progressione della malattia».

Fonte: superando.it