Ridare l’udito ai portatori di sordità grave non è più una missione impossibile grazie a un organo bionico, chiamato impianto cocleare, capace di restituire la funzione persa negli adulti o favorirne lo sviluppo nei bambini. Il dispositivo è composto da un’antenna e un processore che traduce le vibrazioni meccaniche del suono in impulsi elettrici che stimolano direttamente il nervo acustico, che porterà poi l’informazione al cervello. E l’educazione musicale diventa un potente strumento di riabilitazione per tornare a sentire, o imparare a farlo.

Il progresso delle tecniche

“Dai primi impianti a fine anni Settanta a oggi, sono state superate alcune problematiche e abbiamo ottenuto ottimi risultati non solo nella percezione del parlato ma anche della musica, che è uno stimolo acusticamente ben più complesso da elaborare” spiega Anna Rita Fetoni, ordinaria di audiologia alla Federico II di Napoli e direttrice dell’unità operativa complessa di audiologia e vestibologia, a margine di un convegno conclusosi con uno speciale momento musicale, il Sound Sensation Festival, nel quale si sono esibiti musicisti con impianto cocleare. Fetoni, che si è a lungo occupata dell’importanza dell’educazione musicale anche come efficace strumento di riabilitazione post-intervento, aggiunge: “L’ascolto musicale è una parte importante nella qualità della vita degli adulti che hanno già una conoscenza musicale e nel bambino che deve apprenderla”.

Il problema dell’invecchiamento

Ma è l’invecchiamento della popolazione ad aver reso quello dell’udito un problema sempre più vasto. La pandemia di Covid ha aumentato la consapevolezza delle conseguenze negative dell’isolamento, anche quello acustico, non solo sulla qualità della vita degli anziani ma anche sul mantenimento delle loro capacità cognitive. L’importanza del ripristino della funzione uditiva è confermata dagli studi sul collegamento tra udito e cognizione: “L’ipoacusia nell’anziano è strettamente associata a decadimento cognitivo e demenze, come risulta da evidenze cliniche, anche se i meccanismi sottostanti sono ancora oggetto di studio” spiega Fetoni.

La tolleranza degli impianti

La perdita di udito colpisce una persona su cinque nel mondo, per un totale di 1,5 miliardi di persone, destinate a diventare 2,5 miliardi entro il 2050. La sordità è la terza causa più comune di anni di vita persi per disabilità. In Italia ad aver problemi di udito sono 7 milioni, un over 65 su tre. Grazie agli avanzamenti nella tecnologia e nelle conoscenze di neurofisiologia, le protesi neurali non sono più precluse agli anziani, tanto che, rassicura Fetoni, “l’intervento di impianto è nella maggior parte dei casi non complesso e ben tollerato in ogni età”.

Nel nostro paese, i dati clinico-amministrativi mostrano che gli impianti sono circa un migliaio all’anno e l’andamento è crescente, tanto che nel 2019 il numero è salito a 1714 (sono poco meno per Agenas) e sceso nel 2020, anno in cui sono stati effettuati solo interventi necessari in considerazione dell’emergenza Covid.

Quanto conta il cervello per l’efficacia degli apparecchi

Oltre il 30% vengono effettuati in bambini di età compresa tra uno e 18 anni. “A ricevere un impianto sono ancora solo mediamente il 10% di tutti coloro che potrebbero beneficiarne” commenta l’audiologa, che elenca i principali fattori prognostici per il successo di un impianto cocleare, pur nella grande variabilità individuale: “Il principale è l’età, perché un cervello massimamente plastico come quello di un bambino apprende più in fretta; poi ci sono le esperienze pregresse, perché gli individui con una buona riserva cognitiva o un training musicale sembrano rispondere meglio all’impianto; quindi, il numero di fibre nervose rimaste intatte, perché l’azione del dispositivo termina con la stimolazione del nervo acustico nella coclea e la trasmissione degli impulsi elettrici nelle reti neurali è fondamentale per la comprensione dei suoni; infine, la riabilitazione post-intervento, che può essere più o meno lunga, ma è sempre necessaria per riattivare i meccanismi cerebrali di decodificazione del linguaggio o di riaccenderli, se parliamo di persone che non hanno mai udito un suono in vita loro”.

Chi sono i candidati all’intervento

Gli studi neurobiologici sulle modificazioni morfologiche e funzionali del sistema uditivo e nervoso nel bambino e nella senescenza consentiranno di individuare con sempre maggior precisione le persone candidabili all’intervento e quelle che potranno ottenerne i maggiori benefici.

L’Italia è comunque un paese molto all’avanguardia in quest’ambito: “La Società Italiana di Otorinolaringoiatria e la Società Italiana di Audiologia e Foniatria sono al lavoro per la creazione di un Registro e la stesura di linee guida, al momento presenti solo in pochi paesi come la Francia e Spagna, oltre al Regno Unito che ha le raccomandazioni basate sulle evidenze del NICE ” spiega Fetoni, che è membro, insieme ai presidenti delle due società scientifiche, Domenico Cuda e Stefano Berrettini, del Tavolo tecnico dell’ISS incaricato di redigere il Registro Italiano Dispositivi Impiantabili Uditivi per raccogliere i dati di tutti gli interventi di impianto o di rimozione e supportare il Ministero della Salute nelle proprie attività di sorveglianza e vigilanza sul dispositivo.

Il ruolo della musica

Quanto alla musica, il suo ascolto deve essere un piacere anche per le orecchie. Bisogna prestare la massina attenzione fin da giovani a non esporsi a suoni molto intensi perché le conseguenze future potrebbero essere pesanti. Nel mondo, come ha denunciato di recente l’Oms in occasione della giornata mondiale dell’udito, un miliardo di giovani adulti di età compresa tra 12 e 35 anni sono a rischio di perdita dell’udito a causa dell’esposizione prolungata ed eccessiva a musica ad alto volume e altri suoni ricreativi.

Fonte: larepubblica