Fare la cosa giusta, l’accoglienza dei migranti al Salone del Libro

di Anna Vento

Caterina Bonvicini e Valerio Nicolosi aprono l’evento “Fare la cosa giusta, l’accoglienza dei migranti” del Salone del Libro, parlando del loro libro Mediterraneo – Nel Mediterraneo la vita la cerchi, la perdi o la trovi, e questa riduzione all’essenziale è potentissima. Senza orpelli, senza scappatori, ti lascia a nudo confronto con una nuda alternativa, ti spogli come l’acqua. Ma la chiave per capirlo non è il sentimento della morte. È il sentimento della vita.

La scrittrice ha visto, vissuto e ri-raccontato le testimonianze dirette di chi ha affrontato il viaggio sul gommone: un’esperienza drammatica che traghetta in Europa corpi torturati nei lager libici, che spesso non fanno in tempo ad essere soccorsi e vengono trovati già morti. Le condizioni del viaggio sono inimmaginabili, le persone devono convivere per giorni con l’acqua del mare che invade il barcone e velocemente si mescola con la miscela ustionante del carburante del motore, non facile da riempire a mano, ed escrementi.
Nicolosi, scrittore e fotoreporter, ci ricorda di come noi conosciamo la tortura solo come esperienza filtrata attraverso lo schermo (reportage, fiction, film o documentario). Per noi è quindi difficile leggere un corpo torturato, ma spesso mostrarlo è l’unico modo che hanno i migranti per testimoniare il proprio passato.
Soccorritori e soccorritrici salvano giovani coevi, se non più piccoli. Ecco allora che la vocazione, la scelta di passare settimane e settimane in mare con l’equipaggio nasce proprio dall’idea di combattere la retorica politica dell’invasione, del nemico che sbarca, e di poter costruire un nuovo paradigma che sia più veritiero e più reale. Bisogna avere il coraggio di conoscere per poter combattere lo stereotipo, il luogo comune, e sapere che spesso i sopravvissuti sono in realtà non adulti, ma bambini o ragazzini che hanno vissuto per vedere solo violenza e le onde incessanti del mare. Nonostante la classe politica abbia troppo spesso altre priorità, vale la pena salvare le loro vite perché sono persone che meritano, come tutti noi, di vivere in modo dignitoso il proprio futuro, lasciandosi alle spalle i traumi subiti. È un loro diritto inalienabile, anche se non ne sono a conoscenza.

Antonio Silvio Calò parla di accoglienza diffusa come possibile alternativa alla narrazione al negativo che siamo soliti ascoltare rispetto all’immigrazione: solo incontrandosi si possono conoscere le altre persone, così da poterne scorgere speranze, paure e vissuti. L’accoglienza deve diventare la dimensione della vita, tutti noi vogliamo sentirci accolti, dalla propria famiglia o comunità, per quello che siamo e non per quello che gli altri vorrebbero che fossimo o facessimo. Se c’è uno spazio dove viene coltivata la pace, quello è proprio lo spazio dell’accoglienza. Questa è vera quando implica un cambiamento, non distingue ma unisce, è stupore, ma anche luogo di guardi comprensivi, gesti amorevoli, ed è in grado di scardinare pregiudizi.
Non ha confini, muri e frontiere, non fa differenze: si coltiva nella solidarietà, nell’uguaglianza e nella fratellanza.

Si sceglie di andare in mare, nel Mediterraneo, perché siamo andati veramente oltre: vi sono 5,2 morti al giorno tra Mediterraneo ed Egeo. Questo dato ti smuove qualcosa dentro, ti fa venir voglia di far parte di quell’umanità in mare – Valerio Nicolosi