Lavoro in carcere: criticità e prospettive

La cucina del carcere torinese "Lorusso e Cutugno"

Gian Luca Boggia è il presidente di extraliberi, cooperativa che si occupa di lavoro all’interno della Casa circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino e della gestione del negozio freedhome che commercializza prodotti provenienti dalla carceri di tutta Italia. Questa mattina Boggia è intervenuto durante una seduta congiunta delle commissioni “Legalità”, “Pari opportunità” e “Lavoro e Commercio” per raccontare l’esperienza del lavoro in regime di detenzione, le criticità e i margini per ottenere risultati confortanti. Boggia è partito dai dati: su una popolazione carceraria di quasi 60mila detenuti, solo il 30% è impegnato in un lavoro quotidiano. Se poi si escludono i lavori non qualificanti, svolti in turni trimestrali alle dipendenze dirette dell’amministrazione (consegna posta, distribuzione pasti, pulizie) sono solo mille i detenuti che lavorano presso aziende o cooperative esterne. Quasi tutti in Lombardia e Veneto. Poi c’è Torino, un percorso virtuoso grazie al succedersi di direttori “illuminati” (definizione di Boggia) che si attivano per incentivare il lavoro e diminuire l’ozio, sfruttando la disciplina che il legislatore ha voluto fornire con una Legge apposita, diciotto anni fa. Produzione di caffè e pane, lavanderia e stireria industriale, sartoria, stampa, falegnameria, sono le principali attività svolte da quaranta detenuti, selezionati dagli operatori in base a caratteristiche ben precise che hanno a che fare con i requisiti personali ma, anche, con la durata e la tipologia della pena da scontare. Sette le aziende che investono su queste attività: formazione e lavoro che permettono riscatto, autonomia, dignità. Nella costante lotta contro la “recidiva” (il commettere nuovamente un reato, una volta tornati in libertà) il lavoro garantisce, dati alla mano, di scendere dal 65/70% fino al 10. Soprattutto quando al lavoro vengono associati il regime di semilibertà e la possibilità di svolgere quel lavoro al di fuori delle mura del penitenziario. Impiegare il proprio tempo in modo produttivo, conoscere modalità di lavoro vero (non in ‘nero’ e non illegale) aiutano il reinserimento nella società. E alla società di risparmiare: il sistema penitenziario costa alla cominità tre miliardi l’anno.

Marcello Longhin