Essere senza fissa dimora a Torino

Una delle stanze della casa di ospitalità notturna di via Nizza, a ridosso dello scalo ferroviario

Si stimano in circa 2000 le persone senza fissa dimora a Torino. Di queste circa 1700 sono passate l’anno scorso dalle case di ospitalità notturna del Comune. Il loro numero è quasi raddoppiato dal 2012, pur rimanendo di gran lunga inferiore a quello di altre grandi città (a Milano sono circa 13.000). La Commissione consiliare per i servizi sociali ha visitato nel pomeriggio del 6 febbraio la struttura comunale di via Nizza 47 e 49: ambulatorio medico e dormitorio da 18 posti letto.
La struttura è di “bassa soglia”: non serve prenotazione e se c’è posto si viene accolti.
I senza-casa, in maggioranza stranieri, trovano qui la possibilità di fare una doccia e di dormire (fino a 30 giorni se residenti a Torino, fino a sette giorni in caso contrario), ma soprattutto quella di essere ascoltati e aiutati a conoscere le risorse assistenziali della Città e, nei casi migliori, ad avviare percorsi di reinserimento.
La partenza per chi è senza documenti è cominciare il percorso per ottenerli, intanto si entra nelle liste d’attesa dei dormitori per potere usufruire di un posto in altre strutture e magari accedere ai progetti di reinserimento lavorativo, come “Costruire Bellezza” nella casa di via Ghedini, o l’orto di via Carrera. Ed è questo lo scopo principale del servizio, assieme alla riduzione del danno ed al monitoraggio del fenomeno.

Non tutti i senza-casa, accettano il dormitorio, per questo un preciso censimento del fenomeno è molto difficile: le regole delle case possono rappresentare una complicazione per chi fa uso pesante di sostanze, o ha molti animali.
Ci sono poi quelli che di notte preferiscono la strada, spiegano gli operatori: il cittadino ben disposto è più generoso e, grazie al suo senso di colpa, c’è chi arriva a mettere insieme anche 300 euro al giorno.

All’indomani della drammatica vicenda della Pellerina, dove alcune notti fa è morto un uomo a poca distanza dal rifugio gestito della Croce Rossa, i responsabili della struttura precisano che il problema principale, contrariamente a quanto si può credere, non è il numero di posti di accoglienza, ma riuscire a stabilire un rapporto di fiducia con le persone che hanno bisogno di accoglienza.

Complessivamente buona a loro giudizio è la rete di servizi torinese: il modello adottato nella nostra Città vede la cooperazione tra ente pubblico, impresa sociale e volontariato; funziona bene e responsabilizza tutti. Altrove, per esempio a Roma o a Milano, nonostante l’altissimo numero di senza-casa, non vi è intervento pubblico diretto e le iniziative vengono lasciate al volontariato, soprattutto di matrice religiosa, al quale vengono erogati da parte pubblica sussidi economici.

 

Silvio Lavalle