Caselli: l’agroalimentare tra i principali business della mafia moderna

Gian Carlo Caselli

L’immagine tradizionale della mafia è quella della piovra. Ma, oggi, è più attuale quella del camaleonte. La mafia 3.0, infatti, ha straordinaria capacità di adattamento, caratterizzata da elementi di perbenismo, con esponenti laureati nelle migliori università, capaci di costruire relazioni in ambiti finanziari o politici, utili ad arricchire il patrimonio già florido grazie all’attività tradizionale di traffico di droga, di armi o di sfruttamento della prostituzione.
E’ quanto ha affermato questa mattina l’ex procuratore Gian Carlo Caselli, oggi a capo del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, nel corso della riunione della commissione Legalità e contrasto ai fenomeni mafiosi.
All’ordine del giorno proprio il tema legato alle infiltrazioni della mafia sulla filiera della produzione alimentare, un business, sottolineato dallo stesso Caselli, che vale oltre 21 miliardi all’anno.
L’Osservatorio, nato nel 2014 su iniziativa della Coldiretti, opera per la tutela del made in Italy agroalimentare e difesa della sua reputazione, per la trasparenza informativa al cittadino, si occupa di studio e monitoraggio delle penetrazioni della criminalità organizzata nel mercato agroalimentare nonché dei fenomeni distorsivi della concorrenza lungo la filiera agroalimentare, con riferimento alla contraffazione, adulterazione, imitazione del Made in Italy.
Le infiltrazioni della mafia moderna non fanno eccezioni e il settore agroalimentare è uno tra i più “appetibili”, è un settore di traino che produce export, fondato sul made in Italy. E’ un settore che attira la criminalità trattandosi di un ambito con ottime possibilità di guadagni e pochi rischi. Le organizzazioni criminali, ha sottolineato Caselli, acquisiscono terreni agricoli, in alcune aree sono padrone dell’acqua, controllano il trasporto dei prodotti dai campi alla distribuzione, hanno capacità di imporre i prezzi. Curano il mercato dell’indotto legato, ad esempio, a cassette e sacchetti di plastica, acquistano esercizi commerciali o negozi, magari dopo esserne diventati soci o rilevandoli dopo aver creato il fallimento dei precedenti gestori. La mafia, al passo con i tempi, interviene anche sul mercato bio (anche se falso), intercetta finanziamenti pubblici europei, circa 30 miliardi di euro all’anno. All’estero gestisce smistamento di merce contraffatta.
“Il mio ruolo non è quello di trovare soluzioni”, ha affermato Caselli sottolineando, nello stesso tempo, l’urgenza di una riforma di regolamentazione nell’ambito agroalimentare, settore nel quale, a controlli efficaci non seguono provvedimenti coerenti, ed invitando la politica, a partire la stessa commissione Legalità, ad adoperarsi per sostenere l’introduzione di nuove normative.

Federico D’Agostino