CittAgorà
Periodico del Consiglio Comunale di Torino



14 dicembre - Novant'anni fa, la strage di Torino

14-12-2012
Tra le vittime dei fascisti il consigliere comunale Berruti

Nel dicembre del 1922, Benito Mussolini è diventato presidente del Consiglio da poche settimane, con il benestare di Casa Savoia e un appoggio parlamentare che va al di là dei soli deputati fascisti. Un governo formalmente in continuità con lo Stato liberale uscito dal Risorgimento, con una squadra, come si direbbe oggi, della quale fanno parte anche alcuni liberali e popolari.
Il fascismo svelerà il suo vero volto totalitario a livello istituzionale nei due o tre anni successivi, ma al di fuori delle istituzioni ha già mostrato la sua natura sin dagli esordi con le violenze sistematiche contro gli avversari politici, a cominciare dal movimento operaio e dalle organizzazioni contadine.
Pietro Ferrero Anche Torino non è sfuggita alle azioni squadristiche delle camicie nere, però il 18 dicembre del 1922 segna un terribile salto di qualità. Quel giorno in corso Vittorio Emanuele II, in pieno centro, si assiste ad una scena raccapricciante: un autocarro che scorrazza su e giù trascinando quanto resta di Pietro Ferrero, anarchico e segretario della FIOM torinese. Sul selciato, in altre zone della città, tra il 18 e il 20 dicembre si accumulano altri cadaveri: uno è quello di Carlo Berruti, consigliere comunale del Partito comunista d’Italia, un altro è quello di Angelo Quintagliè, un usciere delle ferrovie punito con la morte per aver deplorato, sul luogo di lavoro, le violenze avvenute. Ci sono poi altri morti, come il tranviere socialista Matteo Chiolero o Cesare Pochettino, un piccolo imprenditore che poco s’interessa alla politica, ma viene sequestrato e ucciso in collina. La targa La lapide commemorativa di piazza XVII Dicembre 1922, posta dopo la Liberazione di fronte alla vecchia stazione di Porta Susa, riporta undici nomi, ma secondo varie fonti le vittime sarebbero state più numerose. Sono tanti anche i feriti, alcuni molto gravi. Vengono incendiate la Camera del Lavoro e altre sedi del movimento operaio.
Secondo i fascisti, quella passata alla storia come “strage di Torino” è una rappresaglia per l’uccisione di due di loro, in Barriera di Nizza, durante uno scontro a fuoco (per il quale viene ricercato un militante comunista, fuggito poi in Unione Sovietica e forse vittima delle “purghe” staliniane). Di fatto, è una mattanza indiscriminata che impazza ovunque: scorre il sangue in corso Vittorio Emanuele, Barriera di Nizza, Borgo San Paolo, San Salvario, Val Salice... “La Stampa”, nell’edizione del 21 dicembre, riporta le dichiarazioni di imprecisati “capi fascisti” che difendono la legittimità della rappresaglia e si rammaricano che solo ordini giunti da Roma abbiano loro impedito una vera e propria “azione in grande stile”! Il “federale” torinese, a quel tempo, è Pietro Brandimarte. Verrà condannato a 26 anni di carcere nel 1950 ma assolto in Assise due anni dopo, per insufficienza di prove. Tra i dirigenti fascisti, però, c’è anche Mario Gioda, uno dei fondatori del partito sotto la Mole, che ostenta il suo disaccordo con quanto avvenuto, ponendo una corona di fiori sul feretro di una delle vittime, un comunista. Squadristi
Il 24 dicembre, come racconta sempre “La Stampa”, il primo cittadino Riccardo Cattaneo (ultimo sindaco prima di una serie di commissari e podestà, interrottasi solo con la Liberazione) interviene in Sala Rossa per commemorare il consigliere Berruti, al cui funerale, pochi giorni prima, ha partecipato quasi tutto il Consiglio. Cattaneo esprime “rammarico per i drammatici avvenimenti”: un discorso cauto, denso di ammirazione “per la balda gioventù che si raccoglie e cementa al nome d’Italia”. C’è anche comprensione per il fatto che “il senso di italianità possa divenire febbre o passione” e che “lo stato patologico dell’anima non consente la riflessione e la pienezza del ragionamento”, facendo talvolta dimenticare che “è vano sperare la conquista degli animi senza prove d’amore”. Insomma, sembra dire, questi fascisti so’ ragazzi, anche se a dire il vero hanno esagerato un po’, suvvia. Le sole vittime alle quali si fa riferimento diretto, nel discorso del primo cittadino, sono il consigliere Berruti e i due fascisti uccisi il 17 dicembre. Gli altri paiono non esistere. Cattaneo conclude invitando a superare le contrapposizioni stringendosi intorno al re d’Italia e al suo Governo. Quello presieduto da Mussolini, il capo di Brandimarte e dei suoi sicari. Camera del lavoro Ma del resto, i fascisti non governano da soli, in quello scorcio del 1922, e molti ancora pensano, soprattutto tra le classi dominanti, che possano essere – tenuti a bada dal prestigio della monarchia - un fattore di stabilità per il vecchio Stato liberale, dopo la paura vissuta al tempo dell’occupazione delle fabbriche, due anni prima. Tanto da consentire loro di compiere una strage come quella del 18 e 19 dicembre 1922, di fatto indisturbati e impuniti.


Nelle foto, dall'alto: Pietro Ferrero, segretario della FIOM torinese assassinato dai fascisti il 18 dicembre 1922; la lapide che in piazza XVIII dicembre, all’angolo con via Cernaia, ricorda i nomi di undici vittime delle camicie nere del “federale” Pietro Brandimarte; una squadra fascista nell’ottobre del 1922, alla Marcia su Roma; miliziani fascisti di fronte alla Camera del Lavoro di Torino, da loro devastata il 18 dicembre 1922.

Claudio Raffaelli

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