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COMUNICATO STAMPA
MARINO: COME 140 ANNI FA, UN FRONTE UNICO ISTITUZIONALE PER IL RINNOVAMENTO DELLA CITTA’ E DELLA SUA ECONOMIA
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PRESENTATO OGGI UN VOLUME SULLA TRANSIZIONE
DI TORINO DA CAPITALE D’ITALIA A CAPITALE DELL’INDUSTRIA

“Se c’è un’indicazione per il presente che si può trarre dalle vicende storiche di una Torino che, perduto il ruolo di capitale d’Italia, dovette reinventarsi quale caposaldo dell’industria nazionale, è la capacità dimostrata dalla classe politica dell’epoca di muoversi compatta, al di là di ogni differenza politica, nel difendere le prospettive di sviluppo della città.”

Lo ha affermato il presidente del Consiglio Mauro Marino nel corso della presentazione alla stampa del volume "1864-1870. Una trasformazione faticosa e sofferta. Dalla città dei servizi alla città dell’industria", edito dal Consiglio comunale in collaborazione con l'Archivio storico della Città e a cura di Giuseppe Bracco, presente alla conferenza stampa insieme all’economista Mario Deaglio.

“Esaminare il problema del trasferimento della capitale a Firenze e poi a Roma” ha sottolineato Marino” con le conseguenti profonde trasformazioni del tessuto economico e sociale di Torino, inevitabilmente riconduce ad un parallelo con la situazione di questi anni. Come ha evidenziato il professor Deaglio, occorre riflettere su come si uscì dalla crisi di allora. I rappresentanti della città, compresi i parlamentari, - ha aggiunto il presidente - riuscirono ad essere uniti nel propugnare le ragioni di Torino, arrivando ad ottenere importanti stanziamenti finanziari da parte dello Stato.”

“Di fronte alla fase odierna, che vede la nostra città oscillare tra elementi di difficoltà – la crisi dell’industria metalmeccanica – e nuove opportunità da cogliere nei prossimi anni, anche al di là del 2006, Torino ha bisogno di un fronte unico istituzionale, che coinvolga gli enti locali e i rappresentanti piemontesi di Camera e Senato, per ottenere ogni risorsa utile a sostenere la città in questa sfida”, ha concluso Marino.

(c.r.) - Ufficio stampa del Consiglio comunale

19 gennaio 2004
Allegato: una scheda sul volume presentato oggi a Palazzo Civico

SCHEDA DEL VOLUME

“1864-1870. Una trasformazione faticosa e sofferta.”


A caratterizzare la storia di una città, a maggior ragione di una grande città, non sono tanto i fatti d'arme o i fasti di corte, quanto le modalità e le forme del suo sviluppo economico attraverso i secoli.

Con l'Unità d'Italia, Torino si trovò rapidamente posta di fronte a questo destino: dopo essere stata per tre secoli il baricentro di un piccolo Stato a cavallo delle Alpi, assumeva il ruolo di Capitale del nuovo stato nazionale per perderlo quasi subito, a favore della più centrale Firenze (e poi di Roma strappata al potere temporale del Papato). Di qui la necessità di doversi reinventare evitando - persi la corte ed i ministeri - di trovarsi relegata ad una sorta di decadente "capitale morale del Risorgimento", e per continuare a crescere e prosperare.

Il volume presentato oggi dal presidente del Consiglio comunale Mauro Marino, "1864-1870. Una trasformazione faticosa e sofferta", edito dal Consiglio comunale in collaborazione con l'Archivio storico della Città e a cura di Giuseppe Bracco, mostra quanto quel periodo sia stato decisivo per quello che sarebbe stato il destino della città nel corso dei successivi cento anni ed ancora oltre.

La copertina stessa introduce all'argomento, mostrando come intorno alla metà del decennio la municipalità torinese avesse lanciato un "Appello diretto agli industriali esteri e nazionali", redatto anche in inglese, francese e tedesco, per attrarre capitali e investimenti produttivi da altre regioni e dall'estero. Prima ancora, nel '63, si era persino discusso di un progetto per convogliare in città, con una condotta ad alta pressione, le acque dei laghi di Avigliana, utilizzandone 800 litri al secondo per produrre forza motrice necessaria al previsto sviluppo industriale. Quest'ultimo, peraltro, non sarebbe nato dal nulla, poiché già all’epoca il Comune stimava che almeno 60mila dei suoi 200mila residenti traessero sostegno dal lavoro nelle manifatture

E ancora nel 1863, approssimandosi il trasferimento della capitale sulle rive dell'Arno, Quintino Sella aveva ricordato al Consiglio comunale torinese come già altre città, con l'unità nazionale avessero cessato di essere capitali, facendo l'esempio di Milano o di Napoli e sottolineando come si fosse "visto in queste metropoli che una rete di strade ferrate ed un po' di progresso val meglio pel loro incremento che non essere sede di un piccolo governo".

Fu con sindaci come Emanuele Luserna di Rorà, Filippo Galvagno e Cesare Valperga di Masino che vennero gettate le basi di una svolta epocale, superando momenti difficili (una nuova epidemia di colera, la III Guerra d'Indipendenza del '66, con le battaglie tragiche di Lissa e Custoza).
Agli sforzi per sviluppare l'industria manifatturiera, utilizzando le grandi disponibilità d'acqua, essenziale - come nel caso della canalizzazione del torrente Ceronda) per il funzionamento degli opifici, si accompagnarono opere urbanistiche che contribuirono a cambiare il volto della città, quali la nuova stazione ferroviaria di Porta Nuova, Piazza Statuto, il Parco del Valentino, la facciata neoclassica di Palazzo Carignano sul lato di piazza Carlo Alberto. Ancora, la Città partecipava all'Esposizione di Parigi nel 1867 e l'istruzione, specie quella professionale, venne particolarmente curata (L'Appello diretto agli industriali del '65, tra l'altro, segnalava come "l'istruzione degli operai in generale" fosse "a buon punto" e "molto meglio" vi fosse "da sperare dalle nuove scuole in preparazione").

Una relazione del sindaco Rorà, alla fine del '65, presentava "una città piena di cantieri ed iniziative". E alcuni mesi prima, in Consiglio comunale, lo stesso Rorà aveva sottolineato, riferendosi alla perdita dello status di capitale:"...piacemi constatare che in presenza d'un fatto simile la popolazione sente istintivamente quello che le convien fare onde scongiurarne le conseguenze, e non si sta inoperosa a piangere sui danni sofferti o temibili, (il che) sarebbe la morte della nostra città, ma si agita animosa e tende a sviluppare vieppiù la sua vitalità con estendere la sfera dell'attività sua...".

Ed è interessante leggere queste righe, tratte da un documento consiliare dello stesso anno: "Nello stato d'animo in cui si trova la popolazione, l'esempio dell'abbandono di opere nuove non deve venire dal Consiglio comunale. Esagerata forse troppo è l'idea (...)che Torino abbia avuto un colpo mortale(...).La città (...) ha una vita propria, ha risorse forse maggiori di altri paesi."

Al di là dell'enfasi, propria dell'epoca, queste considerazioni non sarebbero inadeguate quali commento alla situazione che Torino sta vivendo oggi. Simile a quella della crisi degli anni Sessanta del XIX secolo, ma con i fattori curiosamente invertiti. Centoquarant'anni dopo, la nostra città è impegnata nella transizione da quella natura squisitamente industriale costruitasi a partire da allora, ad una nuova e più articolata struttura economica, che però non recidano i ponti con una tradizione industriale che ancora ha un peso decisivo nell'assetto del capoluogo subalpino.
(c.r.) - Ufficio stampa del Consiglio comunale

Torino, 19 Gennaio 2004
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