Interventi |
ARTESIO Eleonora Grazie. Temo di dover rimarcare che la comunicazione che è stata svolta aggiunge elementi di incertezza ai già tanti elementi di incertezza che ci erano stati comunicati dall’Assessore all’Urbanistica nel momento in cui era stata avanzata la candidatura per le Universiadi. La prima osservazione che mi sento di fare è la seguente: sembra che il Comune sia uno spettatore inattivo nei confronti di scelte di programmazione compiute da altri soggetti, nella fattispecie Regione Piemonte e Università e che nulla valga il vincolo a destinazione per Servizi Sanitari che questo Consiglio Comunale ha approvato attraverso gli emendamenti alla Variante del Piano Regolatore Generale. Da quello che apprendiamo si aggiunge alle imprecisioni un’ulteriore imprecisione, che purtroppo peggiora il quadro della situazione. Mi spiace comunicare all’Assessora che, attraverso deliberazione Regionale, l’Amministrazione Regionale ha consentito all’Azienda Città della Salute di procedere anche alla dismissione dei fini sanitari su quei 1.000 metri quadrati che erano ancora conservati in congiunzione con le attività di carattere… ospitalità prima per gli atleti, poi per le residenze universitarie, e che avevano consentito nel tempo ad alcuni Consiglieri Regionali di sostenere che comunque tutto si sarebbe tenuto. Certo, il Maria Adelaide era importante per le Universiadi, certo lo è per gli abitanti delle Circoscrizioni coinvolte per le funzioni sanitarie, ma tutto si terrà perché comunque esiste una porzione della struttura che può essere riconvertita a fini sanitari. Ebbene, anche questa porzione è stata ulteriormente autorizzata per l’alienazione. Quindi il quadro che abbiamo ascoltato oggi è quello di una Regione che appare determinata a procedere nella conversione verso studentato; di un’Amministrazione Comunale, che, come spesso è accaduto, dice: “Non è mia competenza la programmazione sociosanitaria”; di una popolazione di una Circoscrizione che inutilmente, evidentemente, da molti anni continua a manifestare il proprio interesse per servizi territoriali di cui ha estrema necessità. Ciò che più mi addolora di questa risposta e di questa situazione è il fatto che il Comune non è affatto uno spettatore, non lo è nemmeno ai sensi di legge, al di là della propria volontà, perché la Conferenza di programmazione sociosanitaria è esattamente il luogo nel quale la funzione di indirizzo dell’Assemblea dei Sindaci, ovunque, della Conferenza delle Circoscrizioni più il Sindaco qui, fornisce all’Amministrazione Regionale le valutazioni in ordine alla soddisfazione dei bisogni di salute della popolazione, fino al punto da essere anche chiamata in causa sulla valutazione dell’operato dei Direttori Generali. E io so bene quanto potente possa essere questa Conferenza perché in altra veste mi è capitato di essere ripetutamente convocata dalla Conferenza di programmazione sociosanitaria del Comune di Torino, che aveva chiare intenzioni e forti motivazioni che qui non ravviso. Questo sarebbe invece il momento di esercitarle quelle vocazioni perché, come l’Assessora sicuramente sa, le legislazioni nazionali si stanno sempre più orientando verso il potenziamento dell’assistenza territoriale e le leggi dello Stato prevedono di istituire le Case di Comunità, prima chiamate Case della Salute, nella proporzione di una ogni 20.000 abitanti. Lascio a lei il compito di definire quante se ne dovrebbero attivare nella città di Torino e quante invece nella zona di Torino Nord siano state accreditate dalla Regione Piemonte verso il Ministero come Case della Salute, ancorché siano come quello di Lungo Dora Savona, ancora meramente poliambulatori, utili e funzionali, certo, ma non Case di Comunità. La stessa Legge nazionale prevede per gli Ospedali di Comunità, gestiti prevalentemente da personale infermieristico per attività di convalescenza o di cure di bassa intensità, creati con un’articolazione territoriale e quindi con quella caratteristica della città che è accessibile nella modalità più comoda e più ravvicinata per i cittadini che ogni tanto evochiamo come immagine suggestiva, ma evidentemente non perseguiamo come volontà politica, prevede per gli Ospedali di Comunità un rapporto di 1 a 50.000 abitanti e torniamo a lasciare all’Amministrazione il calcolo di quanti ne occorrerebbero su questa città e di quanti se ne stiano promuovendo, anche attraverso un ruolo attivo da parte del Comune di Torino. Ruolo attivo, dicevo, che non ho affatto rilevato. Allora, io credo che ci siano due passaggi da compiere: uno è quello, mi permetto di suggerirlo, di ascoltare anche la percezione e la soddisfazione sullo stato di salute e sui Servizi Sanitari erogati da parte delle popolazioni interessate; si è espressa la Circoscrizione 7 con un documento ufficiale, da tempo c’è una mobilitazione intergenerazionale in atto all’interno di quel territorio, quindi significa che anche la popolazione studentesca e universitaria è attenta a conciliare le proprie aspettative con quelle della popolazione con la quale condivide tutti i territori, tutte le difficoltà e tutte le possibilità, e ascoltando magari anche la delegazione che le ha chiesto di essere ricevuta e che staziona in questo momento nella piazza; questo per poter avere contezza, oltre che coi dati della statistica con quelli dell’esperienza, di quali siano le condizioni di salute della popolazione e le risposte attese. Il secondo, non fosse che per provare a costruire un coordinamento tra le dichiarazioni dell’Assessore Iaria, quelle dell’Assessora Schellino, quella delle delibere Regionali e quelle dell’Università, ovviamente procederò con le forme pre-scritte, che sempre ci ricorda la Presidente, a richiedere l’approfondimento in Commissione Consiliare, magari con l’audizione delle parti interessate. Grazie. |