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Estratto dal verbale della seduta di Lunedì 15 Marzo 2021 ore 13,00
Paragrafo n. 28
ORDINE DEL GIORNO 2021-06919
RISOLUZIONE CRISI IN MYANMAR. [Testo coordinato]
Interventi
LAVOLTA Enzo (Vicepresidente Vicario)
Sì, grazie, Presidente.

LAVOLTA Enzo (Vicepresidente Vicario)
Grazie. Ringrazio intanto il Capogruppo Lo Russo che ha redatto questo documento, ci
mette nelle condizioni di poter discutere della drammatica situazione in Myanmar, così
come ringrazio anche i Colleghi e le Colleghe che l’hanno sottoscritto e coloro i quali
sono intervenuti nel corso della Commissione Consiliare in cui abbiamo approfondito il
documento. Come sappiamo tutti, poche settimane fa, era il 1° febbraio, i cittadini del
Myanmar si sono svegliati senza accesso a Internet, senza i social media. Quella
mattina, il neoeletto Parlamento, guidato dalla NLD, avrebbe dovuto riunirsi, ma
l’esercito del Myanmar ha rovesciato il Governo eletto; insomma, un golpe militare ha
arrestato più di 100 importanti legislatori e attivisti, tra cui la Consigliera di Stato Aung
San Suu Kyi. L’esercito ha in seguito consegnato il potere al capo militare, ha
dichiarato lo stato di emergenza per un anno, al termine del quale - questo è
l’intendimento dei Generali birmani - si dovrebbero tenere le nuove elezioni. Questa
presa di potere non ha, in qualche modo, infranto formalmente quanto previsto dalla
Costituzione del Paese, ma naturalmente ha messo nelle condizioni il popolo birmano di
esprimere il proprio dissenso. Lo scenario politico del Myanmar è piuttosto complicato
e non sta a me certo ripercorrere gli ultimi 70 anni, a partire dall’indipendenza della
Corona britannica, quando nel ’62 cominciò quella spietata dittatura militare che ha
retto fino al 2010, fino a pochi anni fa. Il 2010 fu un anno importante per il Myanmar
perché in quell’anno si ebbero le prime elezioni generali multipartitiche. Nel 2011,
quando la Giunta militare al Governo venne dissolta e si aprì la strada ad una
Democrazia Parlamentare semicivile, in qualche modo tutta la comunità internazionale
ha avuto modo di seguire più da vicino la vicenda del Myanmar e, in qualche modo, si è
aperto un decennio di cui - ed è bene che ce lo ricordiamo e lo rivendichiamo anche con
orgoglio -, anche la Città di Torino ha dato il suo contributo. Gli ultimi 10 anni di storia
di questo Paese riportano un processo di transizione democratica che, come giustamente
abbiamo condiviso con la Collega Carlevaris in Commissione, è stato sicuramente lento,
tumultuoso, a tratti incoerente, ma, questo è un dato di fatto, sicuramente non ancora
concluso; 10 anni non semplici che hanno visto la nostra Città protagonista anche di
importanti progetti di cooperazione internazionale, grazie alle Nazioni Unite, e in
particolare all’UNDP, abbiamo condiviso competenze nell’ambito della gestione dei
rifiuti, della mobilità, con progetti europei che abbiamo condiviso nella città di Yangon.
Successivamente, alle elezioni generali del 2015 la NLD ha ottenuto la maggioranza
assoluta in entrambe le Camere del Parlamento e così il candidato Htin Kyaw diventò il
primo Presidente civile dal ’62; mentre da aprile 2016 Aung San Suu Kyi ricopre, come
sappiamo, perché è nostra cittadina onoraria, il ruolo di Consigliere di Stato. Insomma,
da un lato sono state intraprese numerose riforme in questo periodo tra cui l’istituzione
alla Commissione Nazionale per i diritti umani, la scarcerazione della leader Aung San
Suu Kyi, il riconoscimento dell’amnistia a più di 200 prigionieri politici, nuove leggi sul
lavoro, che permettono il diritto ai sindacati e agli scioperi, un rilassamento della
censura alla stampa, la regolamentazione delle pratiche monetarie, dall’altro lato
sappiamo che sono continuate, purtroppo, guerre civili derivanti perlopiù da conflitti
etnici o rivendicazioni di autonomia subnazionale che, in qualche modo, hanno
continuato e continuano a destabilizzare il Paese. Sappiamo che la Costituzione vigente
prevede che i militari possano designare il 25% dei membri del Parlamento e questo, di
fatto, ha bloccato in questi ultimi anni la possibilità di raggiungere la maggioranza
necessaria per emendare quella Costituzione che ancora non è democratica e che è in
vigore, redatta dalla Giunta militare nel lontano 2008. Senza entrare troppo nel merito di
quelle che sono le implicazioni anche economiche di una zona del nostro pianeta
purtroppo martoriata, c’è da dire, c’è da ricordare, in questa sede, che le reazioni
internazionali in queste settimane sono state un po’ caute e anche un po’ frammentate;
le proteste interne al Paese però continuano e continuano sempre in modo più compatto
così come più determinata e aggressiva è diventata la reazione da parte dei Generali
birmani e dai militari. Ad oggi si stimano più di 50 morti, 1.300 persone arrestate in un
contesto in cui, sappiamo, la popolazione manifesta civilmente ed è proprio per tutti
questi motivi che noi… insomma, in un Occidente che timidamente si accorge delle
disattenzioni commesse ed un Oriente in cui i nuovi attori stanno emergendo in modo
più o meno prepotente a livello regionale e internazionale, il popolo del Myanmar
chiede al mondo intero di non essere lasciato nell’ombra. Per i tanti motivi che ho
ricordato in questa breve illustrazione, penso che sia giusto che il Consiglio Comunale
di Torino esprima e ribadisca la propria vicinanza al popolo birmano, che il Consiglio
Comunale di Torino condanni il colpo di Stato, che si chieda la scarcerazione dei
prigionieri politici, che si chieda che l’Unione Europea, le Associazioni internazionali
non riconoscano i rappresentati della Giunta militare birmana all’ONU e nei vari Paesi,
che ci sia un embargo generale all’importazione delle armi - sappiamo che il processo di
transizione democratica aveva portato, a pochi giorni dalle elezioni, delle proposte di
riforma importanti sia nel campo della lotta alla criminalità organizzata così come nel
contrasto al traffico di droga -, chiediamo che si ritirino le credenziali degli addetti
militari e si tutelino quegli ambasciatori, come l’Ambasciatrice birmana in Italia, che
hanno preso posizione contro il golpe militare, che si apra un dialogo con la Cina o
comunque con tutti i paesi asiatici, che possono fornire un contributo decisivo per il
ripristino dell’ordinamento democratico e, per tutti questi motivi, io penso che sia giusto
che la Città di Torino si esprima con questo documento, prenda formalmente posizione
e non lasci solo il popolo birmano. Grazie, Presidente.

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