Interventi |
LAVOLTA Enzo (Vicepresidente Vicario) Sì, grazie, Presidente. LAVOLTA Enzo (Vicepresidente Vicario) Grazie. Ringrazio intanto il Capogruppo Lo Russo che ha redatto questo documento, ci mette nelle condizioni di poter discutere della drammatica situazione in Myanmar, così come ringrazio anche i Colleghi e le Colleghe che l’hanno sottoscritto e coloro i quali sono intervenuti nel corso della Commissione Consiliare in cui abbiamo approfondito il documento. Come sappiamo tutti, poche settimane fa, era il 1° febbraio, i cittadini del Myanmar si sono svegliati senza accesso a Internet, senza i social media. Quella mattina, il neoeletto Parlamento, guidato dalla NLD, avrebbe dovuto riunirsi, ma l’esercito del Myanmar ha rovesciato il Governo eletto; insomma, un golpe militare ha arrestato più di 100 importanti legislatori e attivisti, tra cui la Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi. L’esercito ha in seguito consegnato il potere al capo militare, ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno, al termine del quale - questo è l’intendimento dei Generali birmani - si dovrebbero tenere le nuove elezioni. Questa presa di potere non ha, in qualche modo, infranto formalmente quanto previsto dalla Costituzione del Paese, ma naturalmente ha messo nelle condizioni il popolo birmano di esprimere il proprio dissenso. Lo scenario politico del Myanmar è piuttosto complicato e non sta a me certo ripercorrere gli ultimi 70 anni, a partire dall’indipendenza della Corona britannica, quando nel ’62 cominciò quella spietata dittatura militare che ha retto fino al 2010, fino a pochi anni fa. Il 2010 fu un anno importante per il Myanmar perché in quell’anno si ebbero le prime elezioni generali multipartitiche. Nel 2011, quando la Giunta militare al Governo venne dissolta e si aprì la strada ad una Democrazia Parlamentare semicivile, in qualche modo tutta la comunità internazionale ha avuto modo di seguire più da vicino la vicenda del Myanmar e, in qualche modo, si è aperto un decennio di cui - ed è bene che ce lo ricordiamo e lo rivendichiamo anche con orgoglio -, anche la Città di Torino ha dato il suo contributo. Gli ultimi 10 anni di storia di questo Paese riportano un processo di transizione democratica che, come giustamente abbiamo condiviso con la Collega Carlevaris in Commissione, è stato sicuramente lento, tumultuoso, a tratti incoerente, ma, questo è un dato di fatto, sicuramente non ancora concluso; 10 anni non semplici che hanno visto la nostra Città protagonista anche di importanti progetti di cooperazione internazionale, grazie alle Nazioni Unite, e in particolare all’UNDP, abbiamo condiviso competenze nell’ambito della gestione dei rifiuti, della mobilità, con progetti europei che abbiamo condiviso nella città di Yangon. Successivamente, alle elezioni generali del 2015 la NLD ha ottenuto la maggioranza assoluta in entrambe le Camere del Parlamento e così il candidato Htin Kyaw diventò il primo Presidente civile dal ’62; mentre da aprile 2016 Aung San Suu Kyi ricopre, come sappiamo, perché è nostra cittadina onoraria, il ruolo di Consigliere di Stato. Insomma, da un lato sono state intraprese numerose riforme in questo periodo tra cui l’istituzione alla Commissione Nazionale per i diritti umani, la scarcerazione della leader Aung San Suu Kyi, il riconoscimento dell’amnistia a più di 200 prigionieri politici, nuove leggi sul lavoro, che permettono il diritto ai sindacati e agli scioperi, un rilassamento della censura alla stampa, la regolamentazione delle pratiche monetarie, dall’altro lato sappiamo che sono continuate, purtroppo, guerre civili derivanti perlopiù da conflitti etnici o rivendicazioni di autonomia subnazionale che, in qualche modo, hanno continuato e continuano a destabilizzare il Paese. Sappiamo che la Costituzione vigente prevede che i militari possano designare il 25% dei membri del Parlamento e questo, di fatto, ha bloccato in questi ultimi anni la possibilità di raggiungere la maggioranza necessaria per emendare quella Costituzione che ancora non è democratica e che è in vigore, redatta dalla Giunta militare nel lontano 2008. Senza entrare troppo nel merito di quelle che sono le implicazioni anche economiche di una zona del nostro pianeta purtroppo martoriata, c’è da dire, c’è da ricordare, in questa sede, che le reazioni internazionali in queste settimane sono state un po’ caute e anche un po’ frammentate; le proteste interne al Paese però continuano e continuano sempre in modo più compatto così come più determinata e aggressiva è diventata la reazione da parte dei Generali birmani e dai militari. Ad oggi si stimano più di 50 morti, 1.300 persone arrestate in un contesto in cui, sappiamo, la popolazione manifesta civilmente ed è proprio per tutti questi motivi che noi… insomma, in un Occidente che timidamente si accorge delle disattenzioni commesse ed un Oriente in cui i nuovi attori stanno emergendo in modo più o meno prepotente a livello regionale e internazionale, il popolo del Myanmar chiede al mondo intero di non essere lasciato nell’ombra. Per i tanti motivi che ho ricordato in questa breve illustrazione, penso che sia giusto che il Consiglio Comunale di Torino esprima e ribadisca la propria vicinanza al popolo birmano, che il Consiglio Comunale di Torino condanni il colpo di Stato, che si chieda la scarcerazione dei prigionieri politici, che si chieda che l’Unione Europea, le Associazioni internazionali non riconoscano i rappresentati della Giunta militare birmana all’ONU e nei vari Paesi, che ci sia un embargo generale all’importazione delle armi - sappiamo che il processo di transizione democratica aveva portato, a pochi giorni dalle elezioni, delle proposte di riforma importanti sia nel campo della lotta alla criminalità organizzata così come nel contrasto al traffico di droga -, chiediamo che si ritirino le credenziali degli addetti militari e si tutelino quegli ambasciatori, come l’Ambasciatrice birmana in Italia, che hanno preso posizione contro il golpe militare, che si apra un dialogo con la Cina o comunque con tutti i paesi asiatici, che possono fornire un contributo decisivo per il ripristino dell’ordinamento democratico e, per tutti questi motivi, io penso che sia giusto che la Città di Torino si esprima con questo documento, prenda formalmente posizione e non lasci solo il popolo birmano. Grazie, Presidente. |