Interventi |
ARTESIO Eleonora Grazie. La Commissione Consiliare, anzi, le Commissioni Consiliari congiunte hanno dedicato tempo e attenzione a questa proposta di deliberazione, il che mi consente di essere sintetica nell’illustrazione e contemporaneamente di ringraziare per l’attenzione che è stata dedicata. Credo che la premessa sia assolutamente condivisibile, assistiamo ad una condizione di crisi economica rispetto alla permanenza di questa attività, dei prodotti di rivendita... delle sedi di rivendita dei prodotti editoriali e contestualmente, nella fase difficile che abbiamo attraversato, questi stessi luoghi sono diventati, accanto alla funzione primaria, anche degli elementi di riferimento per lo svolgimento di una serie di funzioni essenziali nel momento in cui la distanza ha imposto a tutti noi, e ad alcuni in modo particolare, dei comportamenti e l’uso di tecnologie non sempre presenti all’interno del contesto abitativo. Quindi assistiamo a un riconoscimento di un valore sociale, accompagnato ad una condizione, però, di depressione economica. La deliberazione si muove lungo tre ipotesi di lavoro per il futuro: la prima riguarda cercare di mantenere, sostenendola il più possibile, l’attività economica, anche in ragione di un sostegno all’occupazione da parte di chi vi si dedica professionalmente, e da questo punto di vista gli emendamenti agiscono proprio per sostenere l’unica leva che l’Ente locale può mettere nell’immediato e nel breve periodo in campo, che sono gli sgravi; da questo punto di vista, con gli emendamenti diamo mandato agli Uffici di predisporre l’inserimento nei rispettivi regolamenti per riconoscere anche a questo settore la possibilità di essere esonerati dai versamenti di alcune tariffe e tasse comunali, e diamo mandato alla Giunta, per quegli esercizi che occupano suolo pubblico, di agire contestualmente per la tassa di occupazione di suolo pubblico, e questo riguarda quindi un elemento di aiuto e concorso alle difficoltà economiche. L’altro elemento, che è programmatico e di sviluppo delle relazioni tra le attività istituzionali dell’Ente locale e le attività di rivendita dei prodotti editoriali, è quello di connettere queste funzioni, che si muovono nell’ambito di carattere privatistico, con il sistema pubblico di promozione e di diffusione della lettura; si parte da qui, perché è più semplice immaginare un collegamento tra le biblioteche civiche e questi esercizi, ma molte altre delle funzioni che l’Amministrazione svolge possono trovare punti di riferimento e articolazioni significative, penso alle attività che già sono state sperimentate dell’Anagrafe o alle attività che connettano le politiche e le comunicazioni in ambito di mobilità urbana. Il terzo elemento, il terzo nodo della questione è quello che riguarda la preoccupazione di come governare quello che purtroppo anche oggi registriamo essere un vuoto urbano, laddove le edicole vengono chiuse e in specie quando queste edicole utilizzavano dei chioschi, che sono dei veri e propri elementi di identità di un territorio, di un quartiere, attraverso delle ipotesi già sperimentate in altri contesti comunali, non solo italiani, di immaginare una sorta di immagine comune rispetto a queste edicole e a questi chioschi che promuova anche la bellezza, l’estetica, la creatività di chi si propone per costruire un’unica immagine a queste attività che sono riconoscibili anche se in questo momento non sono più attive. Accanto, però, all’idea dell’abito, quindi della dimensione estetica, l’idea del contenuto. Abbiamo, anche qui, parecchi esempi di carattere nazionale, di carattere europeo che trasformano queste esperienze, un tempo commerciali, in esperienze di carattere sociale, cioè facendole diventare dei veri e propri presidi di comunità, come naturalmente lo sono stati anche in questi mesi, quando erano le singole persone, senza un disegno organico, a cercare presso quei luoghi risposte a bisogni loro. E la dimensione di come un territorio possa esprimere domande che possano essere assolte non in una logica individuale, ma attraverso un presidio che, conoscendo il territorio, può riunire più risposte, banalmente la possibilità di aggregare nel portierato di comunità la conoscenza di tutte le funzioni degli artigiani del territorio e connetterle con chi ha bisogno di un intervento urgente, ma anche costruire dei luoghi di condivisione, a partire dal fatto che, ad esempio, ci si può immaginare, attraverso un punto di riferimento, il portierato di comunità come rispondere ad esigenze che riguardano la condivisione del tempo, ad esempio, la banca del tempo, per accudire alle funzioni di relazione, di cui molte persone necessitano, lasciare solo qualcuno in casa e avere chi, con un rapporto di fiducia, può intervenire e sostituire. Quindi tutte quelle modalità che in altri luoghi hanno già trasformato le edicole in punti di informazione, ma anche in punti vivi di relazione: penso al modello di Parigi “Lulu dans ma rue”, ma penso al modello che abbiamo sperimentato grazie ai fondi PON Metro, Porta Palazzo attraverso l’iniziativa della rete di cultura popolare. Nella proposta viene introdotto anche un altro elemento: se l’esperienza che si è costruita a Torino è nata in via straordinaria, attraverso un finanziamento straordinario, esiste, per diffonderla, moltiplicarla, la possibilità di avere una sostenibilità economica ordinaria, che non faccia sempre ricorso all’eccezionalità di fondi e bandi limitati nel tempo? L’ipotesi che qui faccio è quella del cosiddetto “welfare aziendale”: tutti noi sappiamo che, soprattutto le grandi imprese, ma ormai è sempre più diffuso, si sta costruendo uno strumento di sostegno alle condizioni dei lavoratori dipendenti, soprattutto volto alla conciliazione, quindi moltissime imprese siglano accordi e contratti per aiutare i propri dipendenti, ad esempio, a trovare insieme alcune soluzioni su come preoccuparsi della propria abitazione o delle proprie commissioni o del recapito dei pacchi nei momenti in cui si è a lavoro o, viceversa, come organizzare la possibilità per quel dipendente di ritirare i beni di prima necessità o qualunque altro bene, che non potrebbe diversamente ritirare o comandare o ordinare perché impegnato nell’attività lavorativa, fino a elementi di grande complessità, come quelli di organizzare, ad esempio, una risposta collettiva ai bisogni educativi di quei lavoratori che hanno bambini in età minore, e quindi nel welfare aziendale ci si connette con delle agenzie formative per dare un’offerta strutturata a quei dipendenti. Ora il welfare aziendale, secondo me, è una buona prospettiva, perché sta nell’ambito economico esistente, è sostenuto da operazioni che defiscalizzano e quindi rendono vantaggioso il ricorso al welfare aziendale, ma soprattutto se lo si fa diventare un elemento di sviluppo di territorio e quindi nel momento in cui si siglano i contratti, i lavoratori per parte loro e i datori di lavoro per parte loro, non vanno a cercare le grandi organizzazioni con le quali sottoscrivere questi accordi, ma si preoccupano di capire chi c’è nel quartiere e magari per costruire la conoscenza e la mappa del quartiere c’è un punto di riferimento unitario, appunto, l’edicola che diventa portierato di quartiere, allora ecco che si coniuga un’idea di conversione di un’attività economica, che in questa fase ha abbandonato la vocazione primaria, con la necessità e la possibilità di diventare un punto di riferimento per la soddisfazione di bisogni di una parte di quel territorio, sostenibili attraverso risorse che già ci sono e che diversamente andrebbero in direzioni di macro-organizzazioni. Questa è l’idea, che non esclude che possa essere praticata anche dove le attività di rivendita dei prodotti editoriali sono attivi, possono essere funzioni aggiunte, ma noi sappiamo - e concludo - che moltissimi, che a malincuore stanno abbandonando, magari per raggiunti limiti di età o anche per la fatica di dover reggere un’attività economica che diventa non più redditizia, stanno dicendo alla Città: “Guardate, questo era il nostro patrimonio, questa è stata la nostra vita, in questo abbiamo investito, qui abbiamo costruito legami”, perché anche in quella dimensione del lavoro si costruiscono dei legami, “Città, prendila, considerala, falla diventare un valore per tutti”. Allora, io mi auguro che questa proposta di delibera, che mi sembra sia stata nelle intenzioni condivisa, possa trovare velocemente le gambe per tornare in quest’Aula e sentirci dire quali proposte si sono potute già immaginare e concretizzare. Grazie. ARTESIO Eleonora Grazie, cerco di rispondere alle richieste di precisazione dei Consiglieri Mensio e Russi. Allora, la questione ha avuto questo andamento: nella prima versione della deliberazione, quella sulla quale si sono raccolti pareri negativi, il dispositivo della deliberazione era ancora molto grezzo, nel senso che indicava la volontà, che il Consiglio avrebbe dovuto esprimere, dell’esonero della partecipazione ai tributi e alle tasse comunali; da questa espressione grezza ho ricevuto un parere nel quale mi si diceva che, laddove il Consiglio avesse espresso questa volontà, sarebbe stato necessario modificare i regolamenti, il Regolamento TARI e il Regolamento CIMP, perché quei regolamenti non riportavano al proprio interno una particolare possibilità di accesso a sgravi e esoneri, prevista invece per altre categorie. Quindi, il primo emendamento introduce esattamente un indirizzo agli Uffici, affinché ci predispongano questa inclusione, che è preliminare, al fine di decidere il tipo di esonero e sgravio. Diversamente, non intervenendo sul Regolamento la questione esenzione COSAP, bensì su atto di Giunta, l’unica possibilità che il Consiglio poteva riservarsi era quello di dare mandato alla Giunta, di prevedere nei propri atti questo tipo di esenzione. Ecco perché in premessa di questo articolato ho cambiato anche la formulazione dove si diceva: “Predispone l’esonero da”, dicendo: “Impegna gli Uffici a predisporre”. Questo è il quadro che ho seguito. Credo che adesso ci voglia, però, un’operazione conclusiva di sigillo di questi piccoli passaggi. Grazie. |