Interventi |
SCHELLINO Sonia (Vicesindaca) Grazie. Ringrazio in particolare la Consigliera Pollicino per quest’ultima domanda, che pone davvero l’accento su uno dei problemi. Allora, è vero quello che..., l’ho appreso anch’io da pochissimo, che alcune persone erano state accompagnate in ospedale, durante la notte e se ne sono tornate in una struttura. Questo cosa vuol dire? Che ci troviamo di fronte a una popolazione, come ben sappiamo, con delle difficoltà, una popolazione di persone molto fragili, una popolazione di persone da proteggere, una popolazione di persone che ha bisogno anche di un accompagnamento, che è quello che viene fornito normalmente all’interno dei dormitori da tutta quella rete di educatori, di assistenti sociali, che sono in grado di gestire questo tipo di persone. Obbligare queste persone a non uscire, ecco perché c’è voluto del tempo, ma non per inadempienze da parte della Città, ma perché c’è una libertà anche da parte di una persona senza dimora, che però non è interdetta, non ha un tutore che possa imporgli di fare delle cose, è una persona col suo libero arbitrio. Allora, per imporre a una persona di non uscire da uno spazio, perché deve essere sorvegliata, perché deve fare una quarantena obbligatoria, ci vuole un’ordinanza di obbligo di dimora. Questa ordinanza può essere emessa solo a fronte di un provvedimento sanitario che dica: “Tu sei infetto, per ragioni di ordine pubblico non puoi uscire. Chiediamo al Sindaco di fare un’ordinanza perché tu devi restare lì e proprio lì, cioè in uno spazio determinato”. Questo spazio può essere un dormitorio? Non credo. Questo spazio può essere un luogo individuato dall’autorità sanitaria, che ha stabilito che sei infetto. Io purtroppo, o per fortuna, non sono un medico e, anche lo fossi, non avrei il ruolo opportuno per poter fare una cosa di questo genere, cioè non potrei fare un tampone io alle persone, dire: “Sei infetto, quindi ti faccio un’ordinanza, devi restare in uno spazio e non muoverti”. Altro discorso è quello che si pone per queste persone, come per tutti quelli che vivono in una comunità. Una comunità è anche la famiglia. Se una persona all’interno di una famiglia si prende il Covid, cosa succede adesso? Viene portata in ospedale, poi in qualche caso gli si dice: “Vai a casa, fai una quarantena obbligatoria, perché non abbiamo uno spazio di isolamento da darti”, non c’è per tutti. Questo, purtroppo, il Sistema Sanitario non l’ha messo a disposizione. Ricordo, altresì, che la competenza sanitaria non è comunale, ma è regionale: Assessorato Regionale alla Sanità e, per alcuni aspetti socio-sanitari, le linee guida, le indicazioni e anche alcuni stanziamenti, Assessorato Regionale al Welfare. Ma, al di là di questo, perché poi le responsabilità ce le prendiamo tutti, torniamo alla persona, l’individuo che sta all’interno di una famiglia e viene inviato a casa a fare la sua brava quarantena: magari quella persona ha una casa di 40 metri quadri e gli viene data la prescrizione di stare isolato e di restare lontano dai suoi familiari. Ora, questo in una famiglia non è facilissimo, ma è un pochino più semplice, perché si tratta di persone che, intanto, hanno un legame familiare, quindi hanno la massima attenzione l’uno all’altro, cosa che non avviene normalmente all’interno di un dormitorio, semplicemente perché non sono membri della stessa famiglia. Quindi, queste persone cos’è stato fatto, cosa hanno fatto le cooperative che gestiscono i dormitori? Hanno diviso le stanze, quando si sono trovate in questa emergenza, che non avrebbero voluto e che nessuno avrebbe voluto, ma siccome se una persona viene rimandata indietro dall’ospedale dicendo: “La quarantena te la fai a casa”, uno può anche chiedere un milione di volte che venga messa in una caserma, in qualsiasi posto di quelli stabiliti dall’Unità di Crisi, stabiliti dalla partita sanitaria, ma se ti dicono: “In questo momento non ne abbiamo, fa la quarantena a domicilio”, l’unica cosa che può fare il dormitorio, a differenza della famiglia, è cercare di mettere quella persona un po’ isolata, oppure due persone che hanno la stessa prescrizione insieme. È la situazione ottimale? Assolutamente no. E noi quindi abbiamo cercato di aprire subito, come ho detto all’inizio, delle strutture in più per poter dare l’opportunità, a chi si fosse trovato in necessità, di dividere quelli che venivano mandati a fare la quarantena a casa da quelli che non erano infetti, non avevano sintomi, all’interno di spazi il più possibile isolati, esattamente come avviene in casa: tu stai in camera da letto e ti portiamo il mangiare in camera, e quando vai in bagno poi si disinfetta tutto; tu stai nella camera del dormitorio dedicata e quando vai in bagno si disinfetta tutto. Si è dovuto agire esattamente come si agisce a casa, quando un componente della famiglia viene inviato a casa a fare la quarantena. È la situazione ottimale? No. È una responsabilità comunale? Direi di no. È una responsabilità di chi ha la tutela della sanità delle persone, e non è il Comune, ripeto, è la Regione, è la Regione, non è il Comune. Da parte della Regione e da parte dell’Unità di Crisi abbiamo avuto la massima disponibilità a darci informazioni, ma le soluzioni sono venute fuori man mano, le soluzioni non le avevano neanche loro, le soluzioni sono state, nel corso di questo weekend, cercare degli spazi straordinari. Prendere una persona infetta, magari senza dimora, e metterla in una camera d’albergo da sola è peggio della misura di isolamento che è stata fatta in base a quello che si poteva fare. Se il Prefetto avesse requisito un albergo e ci avesse messo tutti gli infetti e nessuno avesse avuto del personale, né sanitario, né di altro tipo, da mandare a queste persone, perché poi non si possono anche obbligare gli educatori, gli OSS a fare quello che gli dici di fare, lo fanno se hanno i presidi, se hanno un contratto per farlo. E il personale disposto a trattare con le persone infette è il personale sanitario, e se non ne hanno abbastanza non te lo mandano, perché non ce l’hanno. Non possiamo avere un albergo pieno di persone positive da sole con la febbre. Il male minore che è stato indicato, fatte le valutazioni sanitarie, che, ripeto, fa l’ASL, fa l’Unità di Crisi, è stato l’isolamento come in casa, l’isolamento all’interno dei posti dove normalmente vivono, come in casa. Noi abbiamo creato più posti, abbiamo chiesto prescrizioni, abbiamo chiesto indicazioni. Quando la situazione è diventata con un numero più alto, sono stati scelti, sono stati individuati questi due posti straordinari dalla Prefettura, Unità di Crisi, Regione. Non era una decisione che potesse essere presa autonomamente dal Comune, perché banalmente il Maria Adelaide è proprietà del Città della Salute, che l’aveva messo all’asta e non potevamo andare a dire a un altro Ente: “Togli dall’asta un bene e mettilo a disposizione di questa emergenza”. Ha potuto farlo il Prefetto, l’Unità di Crisi, la Regione, non certo il Comune. Noi l’abbiamo chiesto, è chiaro che il Maria Adelaide lo conoscevamo tutti e noi stessi abbiamo indicato all’inizio: “Quello è un posto che abbiamo già usato per l’emergenza freddo, perché no?”, ma sono altri che devono dare l’ordine di prendere questa decisione. Ritorno, appunto, e ringrazio la Pollicino per aver dato questo dato. Sì, le persone, se poi non vengono obbligate e sorvegliate, sono persone libere e se escono dall’ospedale, ancorché infette, e se ne vanno, è gravissimo, ma devono essere sorvegliate da qualcuno con competenze sanitarie. L’educatore dei dormitori non si trasferisce in ospedale a fare il piantone a una persona con obbligo di stare in ospedale. Mi dispiace, possono essere risposte che non piacciono, ma sono quelle che sono in grado di dare. |