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Estratto dal verbale della seduta di Lunedì 6 Aprile 2020 ore 14,00
Paragrafo n. 10

Comunicazioni della Sindaca su "Situazione critica dormitori torinesi".
Interventi
SCHELLINO Sonia (Vicesindaca)
Grazie. Ringrazio in particolare la Consigliera Pollicino per quest’ultima domanda, che
pone davvero l’accento su uno dei problemi. Allora, è vero quello che..., l’ho appreso
anch’io da pochissimo, che alcune persone erano state accompagnate in ospedale,
durante la notte e se ne sono tornate in una struttura. Questo cosa vuol dire? Che ci
troviamo di fronte a una popolazione, come ben sappiamo, con delle difficoltà, una
popolazione di persone molto fragili, una popolazione di persone da proteggere, una
popolazione di persone che ha bisogno anche di un accompagnamento, che è quello che
viene fornito normalmente all’interno dei dormitori da tutta quella rete di educatori, di
assistenti sociali, che sono in grado di gestire questo tipo di persone. Obbligare queste
persone a non uscire, ecco perché c’è voluto del tempo, ma non per inadempienze da
parte della Città, ma perché c’è una libertà anche da parte di una persona senza dimora,
che però non è interdetta, non ha un tutore che possa imporgli di fare delle cose, è una
persona col suo libero arbitrio. Allora, per imporre a una persona di non uscire da uno
spazio, perché deve essere sorvegliata, perché deve fare una quarantena obbligatoria, ci
vuole un’ordinanza di obbligo di dimora. Questa ordinanza può essere emessa solo a
fronte di un provvedimento sanitario che dica: “Tu sei infetto, per ragioni di ordine
pubblico non puoi uscire. Chiediamo al Sindaco di fare un’ordinanza perché tu devi
restare lì e proprio lì, cioè in uno spazio determinato”. Questo spazio può essere un
dormitorio? Non credo. Questo spazio può essere un luogo individuato dall’autorità
sanitaria, che ha stabilito che sei infetto. Io purtroppo, o per fortuna, non sono un
medico e, anche lo fossi, non avrei il ruolo opportuno per poter fare una cosa di questo
genere, cioè non potrei fare un tampone io alle persone, dire: “Sei infetto, quindi ti
faccio un’ordinanza, devi restare in uno spazio e non muoverti”. Altro discorso è quello
che si pone per queste persone, come per tutti quelli che vivono in una comunità. Una
comunità è anche la famiglia. Se una persona all’interno di una famiglia si prende il
Covid, cosa succede adesso? Viene portata in ospedale, poi in qualche caso gli si dice:
“Vai a casa, fai una quarantena obbligatoria, perché non abbiamo uno spazio di
isolamento da darti”, non c’è per tutti. Questo, purtroppo, il Sistema Sanitario non l’ha
messo a disposizione. Ricordo, altresì, che la competenza sanitaria non è comunale, ma
è regionale: Assessorato Regionale alla Sanità e, per alcuni aspetti socio-sanitari, le
linee guida, le indicazioni e anche alcuni stanziamenti, Assessorato Regionale al
Welfare. Ma, al di là di questo, perché poi le responsabilità ce le prendiamo tutti,
torniamo alla persona, l’individuo che sta all’interno di una famiglia e viene inviato a
casa a fare la sua brava quarantena: magari quella persona ha una casa di 40 metri
quadri e gli viene data la prescrizione di stare isolato e di restare lontano dai suoi
familiari. Ora, questo in una famiglia non è facilissimo, ma è un pochino più semplice,
perché si tratta di persone che, intanto, hanno un legame familiare, quindi hanno la
massima attenzione l’uno all’altro, cosa che non avviene normalmente all’interno di un
dormitorio, semplicemente perché non sono membri della stessa famiglia. Quindi,
queste persone cos’è stato fatto, cosa hanno fatto le cooperative che gestiscono i
dormitori? Hanno diviso le stanze, quando si sono trovate in questa emergenza, che non
avrebbero voluto e che nessuno avrebbe voluto, ma siccome se una persona viene
rimandata indietro dall’ospedale dicendo: “La quarantena te la fai a casa”, uno può
anche chiedere un milione di volte che venga messa in una caserma, in qualsiasi posto
di quelli stabiliti dall’Unità di Crisi, stabiliti dalla partita sanitaria, ma se ti dicono: “In
questo momento non ne abbiamo, fa la quarantena a domicilio”, l’unica cosa che può
fare il dormitorio, a differenza della famiglia, è cercare di mettere quella persona un po’
isolata, oppure due persone che hanno la stessa prescrizione insieme. È la situazione
ottimale? Assolutamente no. E noi quindi abbiamo cercato di aprire subito, come ho
detto all’inizio, delle strutture in più per poter dare l’opportunità, a chi si fosse trovato
in necessità, di dividere quelli che venivano mandati a fare la quarantena a casa da
quelli che non erano infetti, non avevano sintomi, all’interno di spazi il più possibile
isolati, esattamente come avviene in casa: tu stai in camera da letto e ti portiamo il
mangiare in camera, e quando vai in bagno poi si disinfetta tutto; tu stai nella camera
del dormitorio dedicata e quando vai in bagno si disinfetta tutto. Si è dovuto agire
esattamente come si agisce a casa, quando un componente della famiglia viene inviato a
casa a fare la quarantena. È la situazione ottimale? No. È una responsabilità comunale?
Direi di no. È una responsabilità di chi ha la tutela della sanità delle persone, e non è il
Comune, ripeto, è la Regione, è la Regione, non è il Comune. Da parte della Regione e
da parte dell’Unità di Crisi abbiamo avuto la massima disponibilità a darci
informazioni, ma le soluzioni sono venute fuori man mano, le soluzioni non le avevano
neanche loro, le soluzioni sono state, nel corso di questo weekend, cercare degli spazi
straordinari. Prendere una persona infetta, magari senza dimora, e metterla in una
camera d’albergo da sola è peggio della misura di isolamento che è stata fatta in base a
quello che si poteva fare. Se il Prefetto avesse requisito un albergo e ci avesse messo
tutti gli infetti e nessuno avesse avuto del personale, né sanitario, né di altro tipo, da
mandare a queste persone, perché poi non si possono anche obbligare gli educatori, gli
OSS a fare quello che gli dici di fare, lo fanno se hanno i presidi, se hanno un contratto
per farlo. E il personale disposto a trattare con le persone infette è il personale sanitario,
e se non ne hanno abbastanza non te lo mandano, perché non ce l’hanno. Non possiamo
avere un albergo pieno di persone positive da sole con la febbre. Il male minore che è
stato indicato, fatte le valutazioni sanitarie, che, ripeto, fa l’ASL, fa l’Unità di Crisi, è
stato l’isolamento come in casa, l’isolamento all’interno dei posti dove normalmente
vivono, come in casa. Noi abbiamo creato più posti, abbiamo chiesto prescrizioni,
abbiamo chiesto indicazioni. Quando la situazione è diventata con un numero più alto,
sono stati scelti, sono stati individuati questi due posti straordinari dalla Prefettura,
Unità di Crisi, Regione. Non era una decisione che potesse essere presa autonomamente
dal Comune, perché banalmente il Maria Adelaide è proprietà del Città della Salute, che
l’aveva messo all’asta e non potevamo andare a dire a un altro Ente: “Togli dall’asta un
bene e mettilo a disposizione di questa emergenza”. Ha potuto farlo il Prefetto, l’Unità
di Crisi, la Regione, non certo il Comune. Noi l’abbiamo chiesto, è chiaro che il Maria
Adelaide lo conoscevamo tutti e noi stessi abbiamo indicato all’inizio: “Quello è un
posto che abbiamo già usato per l’emergenza freddo, perché no?”, ma sono altri che
devono dare l’ordine di prendere questa decisione. Ritorno, appunto, e ringrazio la
Pollicino per aver dato questo dato. Sì, le persone, se poi non vengono obbligate e
sorvegliate, sono persone libere e se escono dall’ospedale, ancorché infette, e se ne
vanno, è gravissimo, ma devono essere sorvegliate da qualcuno con competenze
sanitarie. L’educatore dei dormitori non si trasferisce in ospedale a fare il piantone a una
persona con obbligo di stare in ospedale. Mi dispiace, possono essere risposte che non
piacciono, ma sono quelle che sono in grado di dare.

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