Interventi |
SGANGA Valentina Grazie, Presidente. Prima di entrare nel merito della questione, vorrei fare due brevi premesse. La prima è che intervengo non a nome del Gruppo, ma a titolo personale, per fortuna nel nostro Gruppo c’è libertà di pensiero e penso sia giusto che in Sala Rossa abbiano voce le diverse sensibilità che animano il Movimento 5 Stelle, ma anche la città, e sono certa che dentro la Maggioranza, come tra le Opposizioni, c’è chi vede la questione in modo simile al mio, e spero che in questo dibattito ciò possa emergere. La seconda premessa è che la mia non è la difesa della situazione che sussisteva nel mercato di San Pietro in Vincoli. Ciò che si è venuto a creare non rispettava la dignità dei commercianti, in primis, che ci operavano, e soprattutto non rispettava il diritto alla quiete dei residenti. Quell’area era diventata da tempo, da anni, uno spazio incontrollato, ma su questo non mi dilungo perché quest’Amministrazione ha adottato una delibera, che questa Maggioranza ha votato, perché vedeva in essa uno strumento progressivo per la Città e per i suoi abitanti più deboli. Ciò detto, sono molto contenta che un mio piccolo post su Facebook abbia aperto un dibattito in città. Io credo che la politica debba non solo puntare sul piano dell’azione amministrativa, bensì anche su quello culturale, che parimenti forgia lo spirito di una città e la sua coscienza. Un uomo, che in questa città è vissuto oltre un secolo fa, disse che gli uomini devono, e sottolineo devono, essere giudicati in base alla quantità di verità che possono tollerare. Possiamo definirlo muro, possiamo definirla barriera, possiamo definirlo cordolo, ma esso è ben più di tutto questo. Lo sbarramento che è stato posizionato al Balon, venerdì mattina, è un simbolo; i simboli nella realtà sono un materiale esplosivo, e credo non sia necessario essere la reincarnazione di Carl Gustav Jung per comprenderne il perché. Tempo fa, ci fu giustamente fatto notare che tutti noi abbiamo l’obbligo di non usare un linguaggio da bar. Quella frase della Sindaca, che ancor di più oggi condivido, metteva sotto la luce di un potente riflettore il nostro dovere di scendere nella complessità, affrontarla senza presunzione ed anche senza paura. I simboli sono direttamente collegati a un altro mondo meraviglioso, che è quello della percezione. Come tutti voi saprete, la percezione è quasi sempre indotta, raramente diretta: mi faccio un’idea di cosa vedo, di cosa provo, di cosa vivo, in base a come viene raccontato ed a come viene illustrato; è lì che costruisco la mia opinione, e più mi viene raccontato in un modo, più la mia percezione sarà indotta in tal senso. Per quanto non possa piacerci, il contesto storico in cui viviamo è, a mio giudizio, regressivo, proprio su questo piano, cioè nella relazione tra simboli e percezione indotta. Quella relazione oggi è distruttiva, è oggettivamente distruttiva, ne abbiamo parlato tante volte anche in quest’Aula: il sentire comune di questi tempi è spesso rabbioso, stiamo perdendo il concetto di tolleranza e fatichiamo a tollerare. E giustamente, come si può tollerare un sudicio mercato, di chi non rispetta le regole, di chi puzza, di chi sporca, di chi fa rumore, di chi ci appare così lontano da noi, non si può, non possiamo farci nulla, oggi è così. E quindi il compito di un buon politico dovrebbe essere provare a procedere in questo delirio di semplicismo, sfruttando il meccanismo della complessità. È molto difficile, è molto faticoso, questo senza dubbio ma, appunto, è sempre meglio del bar. E vengo al cuore della questione. Quando viene posizionato un muro, una barriera, un cordolo, esistono due tipi di relazioni certe: chi lo pone negherà una parola precisa, e quindi dirà: “Non è un muro, non è un’azione di polizia, è un’azione di prevenzione”; chi lo subisce, invece, definirà una parola più precisa, dirà: “È un muro, è un muro che espelle i poveri da un quartiere”. La narrazione mediatica darà il senso definitivo di questa cosa, e il senso definitivo che ne è stato dato è quello che si evince da un breve elenco dei titoli di giornale che abbiamo letto tutti in questi giorni, e ne leggo alcuni: “Muro contro il suk degli abusivi”; “Muro a San Pietro in Vincoli”; “Appendino e Palomba, misura per il trasferimento di via Carcano”; “Un muro contro il suk, Prefettura e Comune cancellano il mercato”; “Una barriera di cemento per chiudere il mercato”, e via dicendo. Cosa vuol dire tutto ciò? E vengo al cuore della critica, anche (incomprensibile) quando ho detto che quella barriera non è la mia soluzione. L’altro giorno, noi abbiamo esposto, noi stessi e la Città a quello che a mio giudizio è un pericolo, ma non solo, perché era totalmente prevedibile che la percezione generale avrebbe definito quello strumento, che è divisivo in ogni caso, perché è una divisione fisica per quanto piccola, un muro. E per chi ha avuto il dispiacere di andare anche a vedere cosa stava accadendo sarà stato chiaro che è esistita, quella sera, una fortissima militarizzazione del territorio, nella serata di venerdì, e questo è un altro elemento che offre la sponda a chi utilizza un determinato sostantivo. Ora torniamo al problema, che poi è sempre lo stesso, cioè parlare come se fossimo al bar, o fare azioni da bar, come posizionare un jersey. Pregiudica il lavoro di sostanza, ma soprattutto ci rende subalterni ad uno schema narrativo e politico che oggi è quello delle destre, e noi abbiamo sempre detto, come forza politica, di essere post-ideologici, ma questo non vuol dire che possiamo sentirci a nostro agio con chi dice che i muri servono. E qualcuno parlando di San Pietro in Vincoli, in quest’Aula, l’ha fatto. Io credo che la presenza di quel muro, di quella barriera, di quel cordolo sia un errore e anche grave, perché incidiamo sulla cultura della comunità lasciando un simbolo enorme - che appunto tutti definiscono muro - in un tempo in cui di muri se ne vede sorgere ovunque. E quei muri sono la cosa culturalmente quanto più distante da me, quanto più distante da lei, Sindaca, quanto più distante da questa Amministrazione e soprattutto quanto più distante dalla città di Torino. E infine perché quella cosa ognuno poi la valuti in base al proprio livello di tolleranza alla verità, utilizzando quindi la parola che più lo conforta, sposta l’attenzione da altri aspetti di sostanza, che la politica dovrebbe affrontare. E in questa vicenda ci sono due aspetti di sostanza: uno riguarda il Borgo Dora e l’altro riguarda via Carcano. Su Borgo Dora, a differenza di quanto ci vorrebbe raccontare qualcuno, la vicenda di quello che ora si chiama mercato di libero scambio non è un’emergenza di questi anni; ha, come ha detto giustamente la Sindaca, una storia lunga, complessa, inevitabilmente discussa e discutibile, così come la rabbia, l’intolleranza verso chi vende non è nata dall’oggi al domani. Tutto ciò è segno di una trasformazione, quella dell’area di Borgo Dora, che chi ha governato la Città negli ultimi 40 anni ha fortemente voluto, e che forse si è mostrata più complicata anche di quello che speravano gli amministratori di centrosinistra che ci hanno preceduto. Sentire però ora parlare di gentrification, da chi ha soffiato sul fuoco di questo processo, Presidente, personalmente mi fa un po’ sorridere. Detto ciò, penso che sia necessario aprire una riflessione su ciò che questo quartiere vuole diventare: la convivenza tra realtà sociali così diverse è complicata e secondo alcuni impossibile, addirittura. È chiaro che la riqualificazione non può essere e non può passare dall’allontanamento di chi vive ai margini. Rendere vivibile un quartiere, una piazza, uno spazio pubblico lo si può fare ma solo coinvolgendo tutti quelli che ci vivono e io credo che un mercato, come appunto quello del Balon è uno degli organismi più vivi di una città, perché vi convergono tante realtà e tante sensibilità diverse. E quindi compito di un’Amministrazione è rendere i meno traumatici possibili quegli scontri, accompagnare chi ha più difficoltà e dare soluzioni alternative a chi soffre. E quindi io mi chiedo se in quel quartiere situazioni come..., appunto, situazioni causate dai processi di gentrificazione, come possono essere, appunto, l’aumento dei prezzi degli affitti e della vendita al metro quadro, possono essere e possono diventare una delle prime conseguenze di quei processi, con l’annesso rischio che chi ha investito ci perda e che chi ci vive non possa più permetterselo, tanto per fare un esempio. L’altra questione poi è quella relativa a via Carcano. Chi ha resistito allo spostamento è chiaro che era spaventato dalla carenza di acquirenti rispetto al Borgo Dora nella giornata del sabato. Dobbiamo lavorare e tanto, per rendere quel posto attrattivo. So che molto è stato fatto, che l’area è stata sistemata, che si sta pensando a dei collegamenti straordinari mediante navetta e, appunto, ad una fermata più prossima della Linea del 19. Dovremmo essere poi in grado di valutare se queste misure sono sufficienti, perché è importante far crescere, e io mi chiedo perché è importante far crescere e appoggiare quella che è l’esperienza del mercato? Perché le persone che vi operano sono in gran parte ex operai, ex operai del comparto edile, ex operai del comparto industriale, che traggono da quelle poche centinaia di Euro di guadagno, che prendono appunto nelle giornate del sabato e della domenica, il sostentamento per vivere. E allora, dato che una grossa importanza viene dedicata al tema della sicurezza, è fondamentale che queste persone abbiano di cosa vivere perché, detto banalmente, è meglio vivere di un telo di cianfrusaglie per terra che andare a spacciare o andare a rubare. Allora, le persone sono integrate, noi possiamo parlare di integrazione se forniamo quelli che sono i mezzi adeguati alla sussistenza e quel mercato è un mezzo adeguato alla sussistenza di quelle persone, quindi va difeso. E quindi dobbiamo far sì di rendere via Carcano il più possibile attrattiva. Concludo, Presidente, chiarendo che la mia voce degli ultimi due giorni non voleva essere una voce di dissenso, ma la parola di chi chiede di approfondire, di provare a ragionare sulla complessità e non di seguire i dogmi della semplificazione politica. Ecco, proviamo a dire no agli slogan e a cercare soluzioni. Grazie. |