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Estratto dal verbale della seduta di Lunedì 7 Ottobre 2019 ore 14,00
Paragrafo n. 30

Comunicazioni della Sindaca su "Militarizzazione quartiere Borgo Dora".
Interventi
SGANGA Valentina
Grazie, Presidente. Prima di entrare nel merito della questione, vorrei fare due brevi
premesse. La prima è che intervengo non a nome del Gruppo, ma a titolo personale, per
fortuna nel nostro Gruppo c’è libertà di pensiero e penso sia giusto che in Sala Rossa
abbiano voce le diverse sensibilità che animano il Movimento 5 Stelle, ma anche la
città, e sono certa che dentro la Maggioranza, come tra le Opposizioni, c’è chi vede la
questione in modo simile al mio, e spero che in questo dibattito ciò possa emergere. La
seconda premessa è che la mia non è la difesa della situazione che sussisteva nel
mercato di San Pietro in Vincoli. Ciò che si è venuto a creare non rispettava la dignità
dei commercianti, in primis, che ci operavano, e soprattutto non rispettava il diritto alla
quiete dei residenti. Quell’area era diventata da tempo, da anni, uno spazio
incontrollato, ma su questo non mi dilungo perché quest’Amministrazione ha adottato
una delibera, che questa Maggioranza ha votato, perché vedeva in essa uno strumento
progressivo per la Città e per i suoi abitanti più deboli. Ciò detto, sono molto contenta
che un mio piccolo post su Facebook abbia aperto un dibattito in città. Io credo che la
politica debba non solo puntare sul piano dell’azione amministrativa, bensì anche su
quello culturale, che parimenti forgia lo spirito di una città e la sua coscienza. Un uomo,
che in questa città è vissuto oltre un secolo fa, disse che gli uomini devono, e sottolineo
devono, essere giudicati in base alla quantità di verità che possono tollerare. Possiamo
definirlo muro, possiamo definirla barriera, possiamo definirlo cordolo, ma esso è ben
più di tutto questo. Lo sbarramento che è stato posizionato al Balon, venerdì mattina, è
un simbolo; i simboli nella realtà sono un materiale esplosivo, e credo non sia
necessario essere la reincarnazione di Carl Gustav Jung per comprenderne il perché.
Tempo fa, ci fu giustamente fatto notare che tutti noi abbiamo l’obbligo di non usare un
linguaggio da bar. Quella frase della Sindaca, che ancor di più oggi condivido, metteva
sotto la luce di un potente riflettore il nostro dovere di scendere nella complessità,
affrontarla senza presunzione ed anche senza paura. I simboli sono direttamente
collegati a un altro mondo meraviglioso, che è quello della percezione. Come tutti voi
saprete, la percezione è quasi sempre indotta, raramente diretta: mi faccio un’idea di
cosa vedo, di cosa provo, di cosa vivo, in base a come viene raccontato ed a come viene
illustrato; è lì che costruisco la mia opinione, e più mi viene raccontato in un modo, più
la mia percezione sarà indotta in tal senso. Per quanto non possa piacerci, il contesto
storico in cui viviamo è, a mio giudizio, regressivo, proprio su questo piano, cioè nella
relazione tra simboli e percezione indotta. Quella relazione oggi è distruttiva, è
oggettivamente distruttiva, ne abbiamo parlato tante volte anche in quest’Aula: il sentire
comune di questi tempi è spesso rabbioso, stiamo perdendo il concetto di tolleranza e
fatichiamo a tollerare. E giustamente, come si può tollerare un sudicio mercato, di chi
non rispetta le regole, di chi puzza, di chi sporca, di chi fa rumore, di chi ci appare così
lontano da noi, non si può, non possiamo farci nulla, oggi è così. E quindi il compito di
un buon politico dovrebbe essere provare a procedere in questo delirio di semplicismo,
sfruttando il meccanismo della complessità. È molto difficile, è molto faticoso, questo
senza dubbio ma, appunto, è sempre meglio del bar. E vengo al cuore della questione.
Quando viene posizionato un muro, una barriera, un cordolo, esistono due tipi di
relazioni certe: chi lo pone negherà una parola precisa, e quindi dirà: “Non è un muro,
non è un’azione di polizia, è un’azione di prevenzione”; chi lo subisce, invece, definirà
una parola più precisa, dirà: “È un muro, è un muro che espelle i poveri da un
quartiere”. La narrazione mediatica darà il senso definitivo di questa cosa, e il senso
definitivo che ne è stato dato è quello che si evince da un breve elenco dei titoli di
giornale che abbiamo letto tutti in questi giorni, e ne leggo alcuni: “Muro contro il suk
degli abusivi”; “Muro a San Pietro in Vincoli”; “Appendino e Palomba, misura per il
trasferimento di via Carcano”; “Un muro contro il suk, Prefettura e Comune cancellano
il mercato”; “Una barriera di cemento per chiudere il mercato”, e via dicendo. Cosa vuol
dire tutto ciò? E vengo al cuore della critica, anche (incomprensibile) quando ho detto
che quella barriera non è la mia soluzione. L’altro giorno, noi abbiamo esposto, noi
stessi e la Città a quello che a mio giudizio è un pericolo, ma non solo, perché era
totalmente prevedibile che la percezione generale avrebbe definito quello strumento,
che è divisivo in ogni caso, perché è una divisione fisica per quanto piccola, un muro. E
per chi ha avuto il dispiacere di andare anche a vedere cosa stava accadendo sarà stato
chiaro che è esistita, quella sera, una fortissima militarizzazione del territorio, nella
serata di venerdì, e questo è un altro elemento che offre la sponda a chi utilizza un
determinato sostantivo. Ora torniamo al problema, che poi è sempre lo stesso, cioè
parlare come se fossimo al bar, o fare azioni da bar, come posizionare un jersey.
Pregiudica il lavoro di sostanza, ma soprattutto ci rende subalterni ad uno schema
narrativo e politico che oggi è quello delle destre, e noi abbiamo sempre detto, come
forza politica, di essere post-ideologici, ma questo non vuol dire che possiamo sentirci a
nostro agio con chi dice che i muri servono. E qualcuno parlando di San Pietro in
Vincoli, in quest’Aula, l’ha fatto. Io credo che la presenza di quel muro, di quella
barriera, di quel cordolo sia un errore e anche grave, perché incidiamo sulla cultura della
comunità lasciando un simbolo enorme - che appunto tutti definiscono muro - in un
tempo in cui di muri se ne vede sorgere ovunque. E quei muri sono la cosa
culturalmente quanto più distante da me, quanto più distante da lei, Sindaca, quanto più
distante da questa Amministrazione e soprattutto quanto più distante dalla città di
Torino. E infine perché quella cosa ognuno poi la valuti in base al proprio livello di
tolleranza alla verità, utilizzando quindi la parola che più lo conforta, sposta l’attenzione
da altri aspetti di sostanza, che la politica dovrebbe affrontare. E in questa vicenda ci
sono due aspetti di sostanza: uno riguarda il Borgo Dora e l’altro riguarda via Carcano.
Su Borgo Dora, a differenza di quanto ci vorrebbe raccontare qualcuno, la vicenda di
quello che ora si chiama mercato di libero scambio non è un’emergenza di questi anni;
ha, come ha detto giustamente la Sindaca, una storia lunga, complessa, inevitabilmente
discussa e discutibile, così come la rabbia, l’intolleranza verso chi vende non è nata
dall’oggi al domani. Tutto ciò è segno di una trasformazione, quella dell’area di Borgo
Dora, che chi ha governato la Città negli ultimi 40 anni ha fortemente voluto, e che
forse si è mostrata più complicata anche di quello che speravano gli amministratori di
centrosinistra che ci hanno preceduto. Sentire però ora parlare di gentrification, da chi
ha soffiato sul fuoco di questo processo, Presidente, personalmente mi fa un po’
sorridere. Detto ciò, penso che sia necessario aprire una riflessione su ciò che questo
quartiere vuole diventare: la convivenza tra realtà sociali così diverse è complicata e
secondo alcuni impossibile, addirittura. È chiaro che la riqualificazione non può essere e
non può passare dall’allontanamento di chi vive ai margini. Rendere vivibile un
quartiere, una piazza, uno spazio pubblico lo si può fare ma solo coinvolgendo tutti
quelli che ci vivono e io credo che un mercato, come appunto quello del Balon è uno
degli organismi più vivi di una città, perché vi convergono tante realtà e tante sensibilità
diverse. E quindi compito di un’Amministrazione è rendere i meno traumatici possibili
quegli scontri, accompagnare chi ha più difficoltà e dare soluzioni alternative a chi
soffre. E quindi io mi chiedo se in quel quartiere situazioni come..., appunto, situazioni
causate dai processi di gentrificazione, come possono essere, appunto, l’aumento dei
prezzi degli affitti e della vendita al metro quadro, possono essere e possono diventare
una delle prime conseguenze di quei processi, con l’annesso rischio che chi ha investito
ci perda e che chi ci vive non possa più permetterselo, tanto per fare un esempio. L’altra
questione poi è quella relativa a via Carcano. Chi ha resistito allo spostamento è chiaro
che era spaventato dalla carenza di acquirenti rispetto al Borgo Dora nella giornata del
sabato. Dobbiamo lavorare e tanto, per rendere quel posto attrattivo. So che molto è
stato fatto, che l’area è stata sistemata, che si sta pensando a dei collegamenti
straordinari mediante navetta e, appunto, ad una fermata più prossima della Linea del
19. Dovremmo essere poi in grado di valutare se queste misure sono sufficienti, perché
è importante far crescere, e io mi chiedo perché è importante far crescere e appoggiare
quella che è l’esperienza del mercato? Perché le persone che vi operano sono in gran
parte ex operai, ex operai del comparto edile, ex operai del comparto industriale, che
traggono da quelle poche centinaia di Euro di guadagno, che prendono appunto nelle
giornate del sabato e della domenica, il sostentamento per vivere. E allora, dato che una
grossa importanza viene dedicata al tema della sicurezza, è fondamentale che queste
persone abbiano di cosa vivere perché, detto banalmente, è meglio vivere di un telo di
cianfrusaglie per terra che andare a spacciare o andare a rubare. Allora, le persone sono
integrate, noi possiamo parlare di integrazione se forniamo quelli che sono i mezzi
adeguati alla sussistenza e quel mercato è un mezzo adeguato alla sussistenza di quelle
persone, quindi va difeso. E quindi dobbiamo far sì di rendere via Carcano il più
possibile attrattiva. Concludo, Presidente, chiarendo che la mia voce degli ultimi due
giorni non voleva essere una voce di dissenso, ma la parola di chi chiede di
approfondire, di provare a ragionare sulla complessità e non di seguire i dogmi della
semplificazione politica. Ecco, proviamo a dire no agli slogan e a cercare soluzioni.
Grazie.

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