Interventi |
RUSSI Andrea Grazie, Presidente. Grazie a lei, Sindaca. Sono davvero molto, molto contento di questo spostamento di deleghe per l’importanza concettuale che ricopre. Premetto, il mio giudizio non ha nulla a che vedere con i risultati raggiunti dall'Assessore Sacco, che ha svolto a mio giudizio un ottimo lavoro, sia nel ruolo di mediazione con le sigle sindacali e sia portando avanti le istanze della Città di Torino nelle diverse crisi del territorio che abbiamo potuto esaminare e affrontare anche all'interno della III Commissione con i commissari e si va dalle mense ai lavoratori Italia on line, a Imbraco, insomma, sono tutte crisi che sono passate dalla III Commissione. Mi fa piacere che questa parte di deleghe infatti sia rimasta in capo a lui, ma le mie considerazioni sono più relative ai problemi occupazionali che sono introdotti dalla grande rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo, assieme ai problemi legati alle larghe economie di scala e alla globalizzazione, infatti ha reso molto, molto obsoleto il paradigma che collega un aumento di posto di lavoro a un aumento della produzione. È una formula che non funziona più e diventano sempre più necessarie nuove forme di redistribuzione della ricchezza. Nel ‘95 l'economista Jeremy Rifkin scrisse un saggio dal titolo emblematico, quanto provocatorio, che era intitolato “La fine del lavoro”. Nella parte iniziale del libro l'autore espone la tua tesi: “Prima delle rivoluzioni industriali più del 90% della popolazione americana si occupava di agricoltura. Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare a operare nelle fabbriche e attualmente solo il 3% infatti della popolazione americana si occupa ed è impiegata nell'agricoltura, ma grazie alle macchine agricole la domanda è ampiamente soddisfatta dalla produzione. Nella seconda rivoluzione industriale è avvenuto qualcosa di analogo, le macchine in automazione hanno preso il posto dell'uomo nell'industria manifatturiera e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel settore terziario ed adottare il computer come nuovo strumento di lavoro. Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l’incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni lavoratori pone in esubero un crescente numero di lavoratori”, in pratica la tecnologia che prende il posto del lavoro dell'uomo. A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario entrano a far parte del mondo della disoccupazione. Non esiste un settore quaternario dove si possono reimpiegare e insomma tutto ciò causa un impoverimento, anche delle persone che già erano impiegate per via della maggiore concorrenza e di un numero sempre minore di posti di lavoro disponibili. È una situazione che arriva quotidianamente alla nostra attenzione, è veramente miope non rendersene conto. Il 30 gennaio 2019 ANSA.it titolava che “L'automazione ruberà il 25% dei lavori”. Viviamo in un mondo dove 100 operai sono stati sostituiti da un unico Ingegnere che comando una catena dove il lavoro di 99 operai non esiste più. E dove vanno a finire queste risorse? 20 casellanti autostradali sono sostituiti da bancomat e telepass e la settimana scorsa i dipendenti della Catena alberghiera Marriot hanno indetto il primo sciopero contro i robot che rubano il lavoro, in quanto sono stati introdotti nuovi sistemi di riconoscimento dei clienti, praticamente attraverso la tecnologia di riconoscimento facciale. Il mio stesso lavoro, sono un tecnico di radiologia, probabilmente e verrà sostituito dalle macchine. Qua a Torino parliamo di guida autonoma, che sicuramente non aiuterà il lavoro degli autisti. Molte delle aziende che abbiamo ascoltato in Commissione Lavoro, tra l'altro non solo continuano a produrre, anzi producono molto di più, aumentano la produzione, ma sono sempre meno persone che ci lavorano e sono sempre meno pagate, di conseguenza sono sempre meno necessari i lavoratori per la produzione. Dopotutto le nuove tecnologie nascono proprio per quello, per lavorare di meno e avere più tempo libero, solo che in una società come la nostra, fortemente impostata sul lavoro, tanto che il lavoro è il primo punto della nostra Costituzione, tra i principi fondamentali, il reddito è legato all’attività lavorativa che genera consumi e dunque altro lavoro. Si può affermare, estremizzando, che se non c'è lavoro, mancano proprio le fondamenta su cui è costituita la nostra società. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e molto spesso si trasformano in disoccupazione e impoverimento e ricorso agli ammortizzatori sociali. Gli stessi Sindacati non hanno più gli strumenti adeguati per contrastare questo processo. Lo Stato e tutte le Istituzioni, compresa la nostra, dovrebbero cambiare il modo di intendere il lavoro e dovrebbero assumersi più responsabilità nella regolamentazione e nella redistribuzione delle risorse. Dobbiamo immaginare un altro mondo in cui esistono un salario minimo orario, ovviamente, ma soprattutto un reddito di cittadinanza in un certo modo slegato dal lavoro, ma in accompagnamento alla ricerca di un impiego, come forme di redistribuzione della ricchezza, che è sempre più nelle mani di poche persone. Alla luce di queste considerazioni, che sono un po' la fotografia dell'epoca che stiamo vivendo, e, ripeto, non vederlo secondo me dimostra una miopia veramente infinita, diventa indispensabile recuperare la dignità del lavoro anche attraverso percorsi assistenzialisti e sono contento che la nostra Amministrazione abbia scelto con questo spostamento delle deleghe di andare in questa direzione, che è, a mio giudizio, l'unica possibile. Grazie. |