Interventi |
ARTESIO Eleonora Grazie. La proposta giunge all’attenzione del nostro Consiglio dopo essere stata depositata il 14 di gennaio e conserva tutta la sua attualità e, a mio modo di vedere, credo anche a modo di vedere degli altri sottoscrittori, tutta la sua necessità. Cercherò di illustrare all’Aula le motivazioni per le quali riteniamo giusto il conferimento della cittadinanza onoraria. Mimmo Lucano è divenuto, credo di poter dire suo malgrado, visto la fatica della vita di questi ultimi mesi, un simbolo di una questione che ci coinvolge e che ci riguarda; il simbolo, cioè, di una costante e permanente contraddizione tra il rispetto delle norme definite in un codice, il rispetto e l’attenzione verso la giustizia e il rispetto e l’ascolto della propria coscienza. Noi non sappiamo, perché appartiene al procedimento giudiziario, quali siano nella sostanza e nella definizione puntuale gli addebiti mossi all’ex Sindaco Lucano, però sappiamo due cose: sappiamo che nessuno, in nessun livello, ha mai contestato a Mimmo Lucano un fatto, un vantaggio, un interesse personale e sappiamo quello che è stato realizzato in quegli anni, in questi anni, a Riace. È stato dimostrato, con l’evidenza della storia contemporanea, che quando si rispetta la dignità delle persone, l’accoglienza può diventare inclusione; accoglienza e inclusione possono diventare sviluppo e progresso per le persone migranti, richiedenti asilo, rifugiati, ma per la popolazione tutta che da un Comune che andava spopolandosi ha ritrovato ragioni, e vocazioni di attività produttiva, ragioni e possibilità di confronto culturale, ragione e possibilità di un’altra immagine per sé stessa e per il proprio futuro. Già solo quindi le cose fatte, il processo avviato, avrebbero meritato un riconoscimento, e lo hanno fatto degli organismi internazionali, ma quello che oggi la storia di Lucano rappresenta è quella contraddizione immanente a cui facevo riferimento. Si contestano, e forse anche in quest’Aula possono aleggiare delle perplessità e dei dubbi che stiamo parlando di persona che deve essere ancora sottoposta a un processo, nonostante le accuse originarie siano state profondamente ridimensionate. Ebbene, soltanto chi pensa di poter elevare a valore assoluto il metodo della legalità, perché presume di essere in una società perfetta, può ritenersi al riparo dalla condizione di dover scegliere tra il rispetto di una norma e un principio di giustizia, che invece avverte fortemente. Perché chiunque di noi riconosca che, invece, siamo umanamente, collettivamente, immersi in un processo continuo, sa che le leggi registrano lo stato di mediazione di un determinato periodo, di una determinata condizione e che quelle leggi, proprio alla coscienza delle persone, alla collettività politica, chiedono di essere costantemente aggiornate rispetto alla nuova evidenza dei fatti. Quindi, non sempre il rispetto sistematico di ciascuna norma di legge corrisponde all’aspirazione verso la giustizia e la nostra storia è piena di questi esempi. Non voglio citare periodi storici oscuri nei quali disobbedire alle leggi vigenti fu mettere le condizioni per costruire la libertà e la democrazia, ma restando nel nostro contesto democratico quanti esempi di persone che hanno pagato direttamente per portare la Legge ad assumere il più elevato concetto di giustizia? Penso a Danilo Dolci, quello che forse alcuni ricorderanno per aver avviato lo sciopero della fame nel giaciglio in cui un bambino era morto di fame e non averlo interrotto fintanto che le autorità del luogo non assumessero l’impegno di procedere almeno alla disinfestazione di quei luoghi, ma che soprattutto fu processato dal Tribunale di Palermo per aver avviato a Partinico lo sciopero al contrario, quello per il quale i disoccupati provvedevano alla manutenzione delle strade e in sostituzione dei compiti dell’Amministrazione Comunale, e per questo venne processato. O ancora: la mia generazione ha conosciuto fratelli e compagni di scuola maggiori che per disobbedire a una legge dello Stato, quello dell’obbligo del servizio di leva, pagavano di persona e, però, contribuivano al cambiamento di una legge che assumeva, a quel punto, caratteri più contemporanei e più aderenti alla coscienza delle persone e dei giovani. È questo snodo che Mimmo Lucano rappresenta: lo snodo a cui spesso sono chiamati dei pubblici amministratori di come conciliare con azioni, anche individuali, che costano sul piano delle responsabilità personali, come conciliare il rispetto delle norme con il rispetto del senso di giustizia, con l’esercizio della propria coscienza individuale. Da questo punto di vista è diventato, suo malgrado, un esempio per molti; è diventato un richiamo alla collettività politica e io credo che questo valga per il Consiglio Comunale ai fini dell’attribuzione della cittadinanza onoraria. |