Interventi |
ARTESIO Eleonora Grazie. Non ho seguito con la stessa costanza delle colleghe che mi hanno preceduto la discussione nelle rispettive Commissioni e devo dire che alcuni dei contenuti della forma definitiva dell'atto deliberativo confermano le perplessità che mi avevano indotto a non frequentare continuativamente quella discussione e brevemente sottolineo le perplessità. La mia sensazione è che per la furia iconoclasta con la quale questa Amministrazione ritiene di dover superare le esperienze precedenti a prescindere, e quindi per il solo fatto che appartengano ad una fase amministrativa precedente, porta l'attuale Maggioranza a compiere delle scelte che rischiano di non produrre concretamente e operativamente alcun risultato. Altri direbbero, meno maliziosi di me, che il meglio è nemico del bene, e mi pare che siamo esattamente nella situazione per la quale si sia costruito un atto deliberativo ineccepibile nei presupposti culturali, contraddittorio con scelte che si sono compiute su altre linee di lavoro, quasi che questa, essendo quella su cui si esercita questa Giunta e non derivando da proposte altrui, è la vera esplicazione della volontà politica di questa Maggioranza, e rischi poi operativamente di non trovare gambe. Cosa voglio dire? Tutto l'articolato e l'impianto culturale della deliberazione è condivisibile ancorché non originale, ma non si pretende che ogni atto deliberativo che si ispiri agli indirizzi dell'ONU o alle esperienze precedenti sia necessariamente originale. Certo che condivido il fatto che i diritti sono universali, ma si declinano secondo le specificità, ai miei tempi si chiamavano discriminazioni positive quelle per le quali, quando le politiche pubbliche si rendevano conto che un'accessibilità definita come diritto esigibile non poteva essere perpetrata per condizioni specifiche, andava a intervenire prioritariamente su quelle condizioni specifiche, certa di perseguire un diritto e di migliorare le condizioni di tutti, quindi figuriamoci se non condivido. Quindi sull'impianto culturale nulla da eccepire, anche se non patrimonio specifico di questa deliberazione. Sugli strumenti, nulla da eccepire, salvo il fatto che erano strumenti che non la Maggioranza, ma il Consiglio vi aveva suggerito e che esplicitamente avete deciso di ignorare per tutto un altro profilo di politiche pubbliche, perché, guardate, che la valutazione preventiva dell'impatto delle politiche su determinate condizioni, e quindi la predisposizione di una checklist sulla quale leggere le conseguenze possibili e quindi il via libera sulla eguaglianza delle opportunità rispetto ad alcuni atti, era esattamente il contenuto della proposta di costituzione del gender city manager. E non casualmente, quando individuate questo tipo di procedura, la prendete ad esempio dal Comune di Pisa che ha istituito, di concerto con l'Università, esattamente la figura di questo tipo di organizzazione comunale per valutare l'impatto delle politiche comunali sulle differenze di genere. Ma no, sul gender city manager bisognava studiare, approfondire, tenere sospesa la mozione, andare a fare le verifiche internazionali, e infatti dopo due anni e mezzo non c'è uno straccio di testo. Invece la stessa metodica ritenete che sia buona e giusta da applicarsi qui e io ritengo che sia buona e giusta, ma non posso non sottolineare l'ambiguità di questo comportamento. Questa opzione nasce qui per vostra volontà, è buona e giusta deve andare avanti. La stessa modalità nasce su altri contesti, su proposte altrui e deve stare ferma, e questo non rende credibile questo percorso. La terza questione è il deficit operativo. Io non so perché ci si sia orientati in prevalenza a scegliere come requisito della persona che andrà a svolgere questa funzione, il diploma di perfezionamento post laurea sul Disability Manager. Ma lo sapete quanti sono i corsi universitari che hanno istituito questo perfezionamento post laurea? Nella regione Piemonte soltanto l'Università del Piemonte Orientale, e questo è solo il secondo anno accademico. Nelle altre regioni d'Italia brilla il caso di Roma, ci sono delle facoltà universitarie private per le quali occorre pagare 2.500 euro annui di iscrizione per poter frequentare il corso di perfezionamento; ci sono corsi di perfezionamento a Padova e a Genova. Allora, a fronte di questa non generalizzata possibilità di perfezionamento, perché assumere come condizione obbligatoria per l'esercizio di una funzione inedita e non retribuita una qualifica che ha così poca diffusione al momento attuale, quando probabilmente, e ve lo ha dimostrato la ricerca di professionalità interne, esistono competenze e sensibilità che pur non avendo quel tipo di qualifica, potrebbero esercitarsi egualmente al meglio? Quindi mi sembra che non ci siano, a fronte di una buona letteratura, le condizioni per dare gambe operative a questa ipotesi di riorganizzazione. |