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Estratto dal verbale della seduta di Mercoledì 9 Maggio 2018 ore 14,00
Paragrafo n. 7

Continuità cure per i malati non autosufficienti e sistema dei servizi socio-sanitari dedicati.
Interventi
ARTESIO Eleonora
Grazie. Mi associo al ringraziamento per le persone che singolarmente e a nome delle
organizzazioni di appartenenza hanno raccolto il nostro invito e ci hanno fornito dei
contributi significativi. Devo dire, però, che questo Consiglio Comunale aveva
sicuramente lo scopo di socializzare le informazioni in ordine alla condizione delle
persone malate croniche non autosufficienti, ma almeno nell'intento dei sottoscrittori e
credo dei Consiglieri presenti, anche quello di non esaurire in una socializzazione delle
informazioni il nostro compito, ma di determinare l'assunzione di alcune decisioni che
possono riguardarci e di alcune sollecitazioni che possiamo promuovere verso terzi ed è
essenzialmente su questo aspetto che concentrerò la mia comunicazione. Innanzitutto
noi abbiamo di fronte due scenari di inquadramento legislativo: uno regionale e uno
nazionale sul quale, come già ricordava la Collega Grippo, occorrerebbe che il
Consiglio Comunale assumesse una propria determinazione. Il primo riguarda il Piano
Regionale per le Cronicità. Per essere molto esplicita e non parlare un linguaggio
specialistico, io sono molto contenta, da persona malata cronica, se si arriverà a definire
dei protocolli diagnostico-terapeutici che ad esempio prevedano un'automatica
iscrizione delle procedure di controllo, per quello che mi riguarda, senza che io debba
recarmi ai Servizi Sanitari distrettuali o prenotare online - ma sono ancora in grado di
farlo - sono autosufficiente, so anche autodeterminare il protocollo terapeutico. Quindi,
il Piano Regionale per la Cronicità non può assolutamente essere scambiato con il Piano
Regionale per la Non Autosufficienza e non possiamo parlare in maniera indifferenziata
di situazioni profondamente diverse. Quindi, questo Consiglio Comunale o la Giunta
dovrebbero pretendere che si discuta in maniera specifica della non autosufficienza,
perché, come è stato ben ricordato, la persona non autosufficiente non può aderire ai
benefici né informatici, né organizzativi di alcuni protocolli che sulla cronicità si stanno
adottando. Seconda questione, l'inquadramento LEA. L'inquadramento LEA contempla
le cure domiciliari, ma le contempla esclusivamente come responsabilità sanitaria per
gli interventi specialistici; ribadisco, una persona non autosufficiente può ricevere la
visita programmata del medico di famiglia, può ricevere una corretta prescrizione dei
farmaci, può ricevere un competente servizio infermieristico domiciliare, dopodiché non
sa se, come, perché dover assumere i farmaci, non sa la ragione delle medicazioni, non
sa quando deve cambiarle, non sa aderire al protocollo terapeutico, se accanto
all'assistenza sanitaria specialistica non c'è un'assistenza tutelare e se questa assistenza
tutelare non viene riconosciuta come parte integrante dell'assistenza sociosanitaria e
quindi quota a parte per il 50% a carico del Servizio Sanitario. Queste sono due
questioni di inquadramento del tema che io chiederei al Comune di Torino, nella forma
dell'esecutivo e nella forma del nostro Consiglio, di inquadrare correttamente se
vogliamo, davvero, accompagnare le condizioni delle persone malate non
autosufficienti; poi la consapevolezza dei tanti anni di battaglie su questo tema mi porta
a dire che bisognerebbe avere verso il tema un interesse non rapsodico, cioè non quello
dei media sui casi che diventano purtroppo drammatici casi di cronaca e nemmeno
quelli della nostra politica legata più o meno alla omogeneità delle maggioranze che si
succedono su questi livelli di responsabilità. Sono arrivata a ritenere che occorrano dei
gesti forti e simbolici e ne cito tre, che o insieme o separatamente, per quello che mi
riguarda - io su questo intendo impegnarmi - potremmo percorrere. Il primo, ci è stato
raccontato correttamente quali sono gli inquadramenti dei tempi di attesa dopo l'Unità
di Valutazione Geriatrica delle persone malate croniche non autosufficienti. In
quest'Unità di Valutazione Geriatrica concorrono figure professionali cliniche (i
medici), figure professionali sociali (i nostri servizi); ora pare a voi ragionevole -
ragionevole non è, ma anche professionalmente e deontologicamente sostenibile - che
un medico e un assistente sociale che hanno visitato una persona, l'hanno ritenuta
incapace di assolvere autonomamente le funzioni quotidiane della vita 24 ore su 24
possano poi prendere atto del fatto che rivedranno quella persona dopo sei mesi o dopo
un anno senza che siano intervenuti alcun ausilio rispetto alla gestione o residenziale o
domiciliare del suo caso, senza con ciò interrogarsi rispetto all'esercizio della propria
professione? Io credo che la nostra Assessora debba prendere in considerazione il fatto
se i nostri Servizi Sociali debbano continuare a far parte dell'Unità di Valutazione
Geriatrica e lo dico per una doppia ragione: una per le ragioni che già venivano
ricordate in un intervento, la valutazione sociale è importantissima. È drammatico non
essere autosufficienti, lo è di più se si vive in una casa con barriere, lo è ancora di più se
si è poveri e se si è soli, però comunque si è non autosufficienti e quindi la nostra
competenza sociale non può condizionare la responsabilità primaria dell'attività
sanitaria, ma poiché ne facciamo parte come possiamo pretendere che i nostri operatori
replichino, anno dopo anno, alle persone che si recano per l'Unità di Valutazione
Geriatrica: "la sua condizione è salita dal duecentesimo posto al centesimo, ma non c'è
il posto in convenzione in RSA o non viene erogata la cura domiciliare"? Credo che lo
valga ugualmente per i medici di famiglia, ma credo che o c'è una manifestazione
esplicita di tutte le professioni che intervengono su queste situazioni e che alla fine poi
sono chiamate in termini di responsabilità, perché in termini di responsabilità non è
chiamato l'Assessore regionale o l'Assessore comunale, ma quel medico,
quell'assistente sociale, quell'infermiere, quel familiare, perché qualche volta viene
chiamato in causa per una mancata assistenza; quindi questo va preso in considerazione,
per smuovere le acque ci vuole anche ogni tanto un intervento forte. Secondo, è già
stato detto, si fa di necessità virtù e le famiglie quando non hanno alternativa si
oppongono alle dimissioni e non riportano, o in una struttura o a casa, il proprio
congiunto malato perché non saprebbero dove e non saprebbero come assisterlo e si
oppongo alle dimissioni, è una autotutela. L'opposizione alle dimissioni produce però
quello che ci siamo detti, cioè una condizione di sovraffollamento delle situazioni di
emergenza/urgenza o viceversa un mantenimento di un ricovero in un posto che non è
adeguato perché anche il posto di..., post-acuzie, di riabilitazione, può non essere
adeguato ad una persona che ha bisogno di interventi continuativi di lunga degenza o di
residenzialità. Allora, io voterò convintamente. L'ho sottoscritto il documento della
Collega Grippo, che chiede di informare tutte le famiglie, tutte le persone della
possibilità di opporsi alle dimissioni sapendo che però questo è un metodo che dovrebbe
servire a rendere visibile il punto di rottura di questo sistema, perché questo sistema
arriverà ad un punto di rottura: l'emergenza/urgenza non riuscirà a gestire, per questo
tipo di condizioni, la sovraoccupazione dei posti letti per situazioni non di acuzie, creerà
quelle contraddizioni nel sistema ospedaliero e quindi questo dato va valorizzato per
questo, per far prendere coscienza della necessità sociale, morale, persino economica, di
occuparsi in altro modo della non autosufficienza. Terza ed ultima questione, quella che
dimostra e racconta qui, a tutti voi che l'ascoltate, anche una parziale sensazione di
sfiducia che mi permea ed è questa: quando vengono negati i diritti fondamentali, le
persone, quelle più robuste sul piano della capacità di organizzare una propria reazione,
sanno anche difendersi in altre sedi che sono le sedi legali, sanno chiedere ciò che
sarebbe necessario, sanno opporsi alle dimissioni, ma alcuni di loro, quelli non fiaccati
dalla malattia, quelli non fiaccati dalla stanchezza, sanno anche opporsi in sede legale e
quindi produrre, intentare delle vere e proprie cause nei confronti di un sistema che non
garantisce la fruizione dei diritti fondamentali e della loro esigibilità. Sono state, in
passato, intentate cause civili nei confronti delle Direzioni Sanitarie delle Aziende
Sanitarie e queste cause hanno avuto, singolarmente, anche esiti positivi, poi
ovviamente quando si comprende che il fenomeno si può allargare la struttura fa muro e
facendo muro si riesce a resistere. Allora, io non amo l'americanizzazione del sistema
sanitario, non mi piace un rapporto della persona nei confronti di un Servizio Sanitario
al quale ci si dovrebbe affidare perché se ne è stati sostenitori, e lo si è anche come
contribuenti; non amo che si trasformi in un rapporto conflittuale nelle aule di un
Tribunale, ma io credo che se parlassimo di altre categorie di persone malate, non di
quelle così sconfitte dalla malattia, quale quelle di cui ci stiamo occupando, saremmo
già di fronte anche in Italia ad una class action e forse la via giudiziaria può fare di più
della moral suasion di tanta politica che chiede ascolto per queste condizioni. Io ho
proposto cinque situazioni concrete, cinque atti con i quali sollevare, in maniera non
soltanto dal punto di vista dei contenuti e dell'applicazione del diritto che sono
sacrosanti, ma anche con atti concreti, una sensibilità che sembra non esserci o non
essere così estesa e che mi spiace dire, anche per le assenze di questa giornata, in questa
giornata, continuo a ritenere un'insensibilità grave.

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