Interventi |
ARTESIO Eleonora Grazie. Mi associo al ringraziamento per le persone che singolarmente e a nome delle organizzazioni di appartenenza hanno raccolto il nostro invito e ci hanno fornito dei contributi significativi. Devo dire, però, che questo Consiglio Comunale aveva sicuramente lo scopo di socializzare le informazioni in ordine alla condizione delle persone malate croniche non autosufficienti, ma almeno nell'intento dei sottoscrittori e credo dei Consiglieri presenti, anche quello di non esaurire in una socializzazione delle informazioni il nostro compito, ma di determinare l'assunzione di alcune decisioni che possono riguardarci e di alcune sollecitazioni che possiamo promuovere verso terzi ed è essenzialmente su questo aspetto che concentrerò la mia comunicazione. Innanzitutto noi abbiamo di fronte due scenari di inquadramento legislativo: uno regionale e uno nazionale sul quale, come già ricordava la Collega Grippo, occorrerebbe che il Consiglio Comunale assumesse una propria determinazione. Il primo riguarda il Piano Regionale per le Cronicità. Per essere molto esplicita e non parlare un linguaggio specialistico, io sono molto contenta, da persona malata cronica, se si arriverà a definire dei protocolli diagnostico-terapeutici che ad esempio prevedano un'automatica iscrizione delle procedure di controllo, per quello che mi riguarda, senza che io debba recarmi ai Servizi Sanitari distrettuali o prenotare online - ma sono ancora in grado di farlo - sono autosufficiente, so anche autodeterminare il protocollo terapeutico. Quindi, il Piano Regionale per la Cronicità non può assolutamente essere scambiato con il Piano Regionale per la Non Autosufficienza e non possiamo parlare in maniera indifferenziata di situazioni profondamente diverse. Quindi, questo Consiglio Comunale o la Giunta dovrebbero pretendere che si discuta in maniera specifica della non autosufficienza, perché, come è stato ben ricordato, la persona non autosufficiente non può aderire ai benefici né informatici, né organizzativi di alcuni protocolli che sulla cronicità si stanno adottando. Seconda questione, l'inquadramento LEA. L'inquadramento LEA contempla le cure domiciliari, ma le contempla esclusivamente come responsabilità sanitaria per gli interventi specialistici; ribadisco, una persona non autosufficiente può ricevere la visita programmata del medico di famiglia, può ricevere una corretta prescrizione dei farmaci, può ricevere un competente servizio infermieristico domiciliare, dopodiché non sa se, come, perché dover assumere i farmaci, non sa la ragione delle medicazioni, non sa quando deve cambiarle, non sa aderire al protocollo terapeutico, se accanto all'assistenza sanitaria specialistica non c'è un'assistenza tutelare e se questa assistenza tutelare non viene riconosciuta come parte integrante dell'assistenza sociosanitaria e quindi quota a parte per il 50% a carico del Servizio Sanitario. Queste sono due questioni di inquadramento del tema che io chiederei al Comune di Torino, nella forma dell'esecutivo e nella forma del nostro Consiglio, di inquadrare correttamente se vogliamo, davvero, accompagnare le condizioni delle persone malate non autosufficienti; poi la consapevolezza dei tanti anni di battaglie su questo tema mi porta a dire che bisognerebbe avere verso il tema un interesse non rapsodico, cioè non quello dei media sui casi che diventano purtroppo drammatici casi di cronaca e nemmeno quelli della nostra politica legata più o meno alla omogeneità delle maggioranze che si succedono su questi livelli di responsabilità. Sono arrivata a ritenere che occorrano dei gesti forti e simbolici e ne cito tre, che o insieme o separatamente, per quello che mi riguarda - io su questo intendo impegnarmi - potremmo percorrere. Il primo, ci è stato raccontato correttamente quali sono gli inquadramenti dei tempi di attesa dopo l'Unità di Valutazione Geriatrica delle persone malate croniche non autosufficienti. In quest'Unità di Valutazione Geriatrica concorrono figure professionali cliniche (i medici), figure professionali sociali (i nostri servizi); ora pare a voi ragionevole - ragionevole non è, ma anche professionalmente e deontologicamente sostenibile - che un medico e un assistente sociale che hanno visitato una persona, l'hanno ritenuta incapace di assolvere autonomamente le funzioni quotidiane della vita 24 ore su 24 possano poi prendere atto del fatto che rivedranno quella persona dopo sei mesi o dopo un anno senza che siano intervenuti alcun ausilio rispetto alla gestione o residenziale o domiciliare del suo caso, senza con ciò interrogarsi rispetto all'esercizio della propria professione? Io credo che la nostra Assessora debba prendere in considerazione il fatto se i nostri Servizi Sociali debbano continuare a far parte dell'Unità di Valutazione Geriatrica e lo dico per una doppia ragione: una per le ragioni che già venivano ricordate in un intervento, la valutazione sociale è importantissima. È drammatico non essere autosufficienti, lo è di più se si vive in una casa con barriere, lo è ancora di più se si è poveri e se si è soli, però comunque si è non autosufficienti e quindi la nostra competenza sociale non può condizionare la responsabilità primaria dell'attività sanitaria, ma poiché ne facciamo parte come possiamo pretendere che i nostri operatori replichino, anno dopo anno, alle persone che si recano per l'Unità di Valutazione Geriatrica: "la sua condizione è salita dal duecentesimo posto al centesimo, ma non c'è il posto in convenzione in RSA o non viene erogata la cura domiciliare"? Credo che lo valga ugualmente per i medici di famiglia, ma credo che o c'è una manifestazione esplicita di tutte le professioni che intervengono su queste situazioni e che alla fine poi sono chiamate in termini di responsabilità, perché in termini di responsabilità non è chiamato l'Assessore regionale o l'Assessore comunale, ma quel medico, quell'assistente sociale, quell'infermiere, quel familiare, perché qualche volta viene chiamato in causa per una mancata assistenza; quindi questo va preso in considerazione, per smuovere le acque ci vuole anche ogni tanto un intervento forte. Secondo, è già stato detto, si fa di necessità virtù e le famiglie quando non hanno alternativa si oppongono alle dimissioni e non riportano, o in una struttura o a casa, il proprio congiunto malato perché non saprebbero dove e non saprebbero come assisterlo e si oppongo alle dimissioni, è una autotutela. L'opposizione alle dimissioni produce però quello che ci siamo detti, cioè una condizione di sovraffollamento delle situazioni di emergenza/urgenza o viceversa un mantenimento di un ricovero in un posto che non è adeguato perché anche il posto di..., post-acuzie, di riabilitazione, può non essere adeguato ad una persona che ha bisogno di interventi continuativi di lunga degenza o di residenzialità. Allora, io voterò convintamente. L'ho sottoscritto il documento della Collega Grippo, che chiede di informare tutte le famiglie, tutte le persone della possibilità di opporsi alle dimissioni sapendo che però questo è un metodo che dovrebbe servire a rendere visibile il punto di rottura di questo sistema, perché questo sistema arriverà ad un punto di rottura: l'emergenza/urgenza non riuscirà a gestire, per questo tipo di condizioni, la sovraoccupazione dei posti letti per situazioni non di acuzie, creerà quelle contraddizioni nel sistema ospedaliero e quindi questo dato va valorizzato per questo, per far prendere coscienza della necessità sociale, morale, persino economica, di occuparsi in altro modo della non autosufficienza. Terza ed ultima questione, quella che dimostra e racconta qui, a tutti voi che l'ascoltate, anche una parziale sensazione di sfiducia che mi permea ed è questa: quando vengono negati i diritti fondamentali, le persone, quelle più robuste sul piano della capacità di organizzare una propria reazione, sanno anche difendersi in altre sedi che sono le sedi legali, sanno chiedere ciò che sarebbe necessario, sanno opporsi alle dimissioni, ma alcuni di loro, quelli non fiaccati dalla malattia, quelli non fiaccati dalla stanchezza, sanno anche opporsi in sede legale e quindi produrre, intentare delle vere e proprie cause nei confronti di un sistema che non garantisce la fruizione dei diritti fondamentali e della loro esigibilità. Sono state, in passato, intentate cause civili nei confronti delle Direzioni Sanitarie delle Aziende Sanitarie e queste cause hanno avuto, singolarmente, anche esiti positivi, poi ovviamente quando si comprende che il fenomeno si può allargare la struttura fa muro e facendo muro si riesce a resistere. Allora, io non amo l'americanizzazione del sistema sanitario, non mi piace un rapporto della persona nei confronti di un Servizio Sanitario al quale ci si dovrebbe affidare perché se ne è stati sostenitori, e lo si è anche come contribuenti; non amo che si trasformi in un rapporto conflittuale nelle aule di un Tribunale, ma io credo che se parlassimo di altre categorie di persone malate, non di quelle così sconfitte dalla malattia, quale quelle di cui ci stiamo occupando, saremmo già di fronte anche in Italia ad una class action e forse la via giudiziaria può fare di più della moral suasion di tanta politica che chiede ascolto per queste condizioni. Io ho proposto cinque situazioni concrete, cinque atti con i quali sollevare, in maniera non soltanto dal punto di vista dei contenuti e dell'applicazione del diritto che sono sacrosanti, ma anche con atti concreti, una sensibilità che sembra non esserci o non essere così estesa e che mi spiace dire, anche per le assenze di questa giornata, in questa giornata, continuo a ritenere un'insensibilità grave. |