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ARTESIO Eleonora (inc) Adotterò sull'insieme degli atti deliberativi che si muovono nella logica del piano di rientro un atteggiamento comune, vale a dire un'analisi critica non tanto sui singoli e specifici punti, se non poi per la cessione delle quote (inc), quanto piuttosto una critica generale per la scelta che è stata compiuta. Credo che l'occasione con la quale la Giunta sottopone al Consiglio l'approvazione di questo piano che costa delle riduzioni di spesa dell'alienazione di patrimonio, il congelamento per un anno degli organici, quindi nuovamente una morsa di sacrifici alla Città, come alcuni atti irreversibili quali appunto quelli delle alienazioni o delle vendite, sia una scelta politica che forse è stata valutata come preferibile rispetto alla dichiarazione di predissesto, ma certamente è una scelta politica che non sfida il tema vero con il quale non la Città di Torino e chi l'amministra, ma l'insieme degli enti locali si trovano a misurarsi che è la questione del debito pubblico. Io vorrei ricordare che da un'analisi condotta dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e dagli esperti contabili e conclusa a giugno del 2017, ci sono ad oggi 67 comuni che non rispettano almeno 5 dei parametri di deficit strutturale. 151 quelli che hanno dichiarato il predissesto, con capoluoghi significativi e 107 i comuni in stato di dissesto. Ora coloro che non sono particolarmente appassionati ai temi del neo municipalismo o non sono particolarmente indotti ad apprezzare le qualità e le competenze degli amministratori pubblici potrebbero dire che si tratta di incapacità locali, circoscritte e legate all'eccessiva volontà di intervento delle amministrazioni che vanno oltre l'erogazione dei servizi essenziali e si pongono vocazioni politiche di troppo largo raggio. In realtà questa condizione è venuta a verificarsi negli ultimi 15 anni a seguito delle conseguenze successive manovre di restrizione della spesa pubblica e di riduzione dei trasferimenti. Devo dire, caso non frequente per quello che mi riguarda, che oggi ho particolarmente apprezzato l'intervento del Consigliere Fassino che, nello sviluppare il tema del sotto finanziamento del trasporto pubblico locale, arredava e lasciare intravedere alcune soluzioni come quelle di possibili ingressi di capitali privati nel sistema dei trasporti che non mi convincono, ma che dall'altro lato apriva una scenario, credibile anche ai suoi occhi, di necessità di ulteriore alimentazione economica dei trasferimenti dello stato sui servizi fondamentali. In realtà negli ultimi 15 anni è avvenuto il contrario, in nome del debito pubblico i comuni che concorrevano a una parte del debito per il 2,1% del totale sono stati chiamati attraverso tagli ai trasferimenti e ossequio ai patti di stabilità interni, al massimo del sacrificio. Tant'è che il loro contributo alla riduzione della spesa pubblica è passato da 1,6 miliardi del 2009 ai 16,6 del 2015. Allora c'è da chiedersi se non si sia colmata la misura, se non siamo a una condizione che non potrà che vedere il Sindaco e la maggioranza di turno arrovellarsi in soluzioni sempre più faticose, nel cercare di far quadrare i conti, sottraendo sempre più soddisfazione alle esigenze dei propri amministrati, mortificando sempre di più le potenzialità del proprio territorio in nome di un equilibrio che sembra solo i comuni stiano percorrendo. Ma forse non è casuale che si chieda proprio ai governi di prossimità, come le autonomie locali, di recedere dal ruolo della loro politica. Di dismettere la loro funzione di governo e di convertirla in una funzione di controllo contabile, forse perché proprio là dove si tocca con mano la modifica sociale e ambientale, proprio là, dove si possono stringere alleanze fatte con gli interlocutori perché gli si vede in faccia e gli si incontra di persona, proprio là dove la politica potrebbe più fare si vuole che faccia di meno. E allora io confido sempre che possa esserci una stagione di riscatto degli enti locali, ma per riscattare gli enti locali bisogna compiere degli atti di orgoglio e non degli atti di soggezione. E quindi l'unico atto di orgoglio che io ravviso è quello di una chiamata all'appello della propria comunità politica, non dicendo alla propria comunità sopporta e china la testa, ma dicendo alla propria comunità dobbiamo insieme rappresentare, nei livelli istituzionali, adeguati quali sono le nostre esigenze e quali coperture sarebbero necessarie per soddisfarle, nell'interesse non di un perimetro locale corporativo, ma nell'interesse di una collettività nazionale, che non può che trarre vantaggio dalla migliore qualità della vita del proprio territorio e dei proprio territori diffusi. Per fare questo accanto alla chiamata l'orgoglio, io ricordo tempi non sovversivi di chiamate all'orgoglio, quando a fronte di famiglie che richiedevano l'estensione del tempo scuola e di comuni che non erano autorizzati alle assunzioni si organizzavano incontri nazionali con i torpedoni pieni dei genitori delle scuole e delle insegnanti delle scuole primarie. Ma se questo vi può sembrare oggi, nella crisi della politica, nell'indebolimento delle passioni civiche, eccessivo, almeno un aspetto bisognerebbe fare: provare a narrare un'altra storia, rispetto a quella che ci viene raccontata sul debito pubblico e sulla necessità che i comini concorrano ancora e ancora di più a diminuire il debito pubblico: E' quello che proponevo di fare quando proponeva l'audit pubblico, l'audit pubblico che non è di nuovo una verifica interna dei propri uffici, e nemmeno l'affidamento ad una società di advisor specializzata. E' di nuovo le débat public, il momento pubblico di confronto in cui si racconta perché si è speso, come si è speso, per ridare, io credo, anche credibilità alla politica perché in tutti questi mesi, non ultimo la seduta di oggi in cui si è discusso quanto si fosse sbagliato, dove si fosse sbagliato, come si avesse sbagliato e chi avesse sbagliato, io penso che gli amministratori che si sono succeduti abbiamo cercato di operare quella che si chiama la resilienza, cioè riuscire con gli strumenti che avevano a disposizione e io credo anche gli strumenti corretti nella correttezza, di reggere l'urto di una domanda sociale che non riuscivano più ad accompagnare con le risorse a loro disposizione, e oggi la resilienza non basta più, oggi però la resilienza si chiama ennesimo rientro. Salvo poi trovarsi da qui ad un ampio di anni a scoprire che forse le conseguenze negative che si sono prodotte sono superiori ai vantaggi che abbiamo registrato. Quindi, è proprio per una diversità di approccio che non posso misurarmi con i contenuti di questi atti deliberativi né li posso condividere. |