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Comunicato stampa

FCA, IL DIBATTITO IN CONSIGLIO COMUNALE

Il 3 febbraio, dopo l’intervento iniziale del Sindaco Piero Fassino, è iniziata la discussione in Sala Rossa sulla questione del trasferimento della sede legale di Fiat Chrysler.

Michele Curto (SEL): Non ci aspettavamo da Lei, Sindaco, una posizione diversa da questa cantilena stanca e vecchia di più di due anni. Anche se i buoi sono ormai scappati dalla stalla, noi vogliamo provare a capire cosa si può fare per il bene della nostra città. Oggi escono da Mirafiori 20.000 vetture all’anno, erano 176.000 nel 2009; alle carrozzerie lavorano, per soli 3 giorni al mese, 1.500 persone. Quando entrammo in Consiglio due anni e mezzo fa, si parlava di Fabbrica Italia e di investimenti che non sono mai stati realizzati. Ora avremo finalmente un piano industriale, mentre dall’altra parte dell’oceano, grazie all’esistenza di una politica industriale qui assente, lo hanno da anni. Io mi aspetto da Lei assieme al Governo, che questo Consiglio deve richiamare alle proprie responsabilità, che si apra una vertenza con Fiat sul territorio torinese. Forse siamo all’ultimo minuto utile per farlo, alla vigilia della presentazione di un piano industriale, assieme alle altre istituzioni che sono rimaste silenziose, come la Regione, ricorrendo a una Commissione speciale che per tre mesi apra un dibattito pubblico per contrattare questo piano industriale. Bisogna togliere ogni alibi al management perché Torino è nel marchio Fiat e questo conta e non è storia vecchia come conta per Volkswagen l’azionariato del land dove l’azienda è nata, per Chrysler, Detroit, per Tata, l’India.

Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia): Purtroppo siamo al consueto stanco teatrino, Sindaco. Quando Lei è arrivato da Roma per amministrare Torino, la città era al centro dell’immagine e del marchio Fiat, adesso Lei rischia di essere ricordato come colui che ha amministrato mentre la casa automobilistica portava all’estero testa, braccia e portafogli. Dicendo che la convenienza per Fiat è avere sede fiscale a Londra, Lei dice che un’azienda, per esprimere il proprio potenziale al meglio, deve abbandonare l’Italia: un discorso che potrebbe fare un imprenditore privato e non un amministratore pubblico. Ben venga comunque un Consiglio comunale aperto. Lo abbiamo chiesto già all’inizio del mandato, ma non con il management Fiat. Non meritiamo un’umiliazione come quella già patita quando l’ad Marchionne, che pure trovava il tempo in passato per giocare a carte con Chiamparino, ci mandò un comprimario che lesse un comunicato stampa. Facciamolo con il settore automotive e con tutti quei soggetti che possono stimolare il rilancio del settore e smettiamo di inseguire il miraggio di un Suv o di un’auto di lusso che comunque qui non sarà venduta, anche perché, come Lei ha ammesso, se Fiat avrà un futuro lo avrà lontano da Torino.

Enzo Liardo (NCD): Le parole più significative che ho ascoltato in questi giorni, Sindaco, sono le sue. Lei, infatti, ha detto che quel che conta sono i siti produttivi, magari per la fascia bassa della produzione. Dunque malgrado Renzi e, prima di lui, l’Ulivo, a Lei quel che interessa è la permanenza di un certo numero di Cipputi, che votino a sinistra. Le interessa solo proteggere interessi elettorali, anche se privi di prospettive, a fronte dello spostamento dei centri decisionali all’estero. A Lei interessa che rimanga una catena di montaggio chiusa dentro un grande scatolone obsoleto.

Fabrizio Ricca (Lega Nord): Marchionne fa il manager e non il benefattore, quindi ha organizzato l’azienda in modo tale da salvaguardare al meglio i propri bilanci.
Il fatto che Fiat perda le sedi legale e fiscale è il risultato un lungo processo di un allontanamento graduale dalla città. In Italia Fiat ha una parte marginale di produzione e fatturato. Senza Chrysler il suo giro d’affari sarebbe cresciuto solo del 2%, con una flessione importante sul mercato italiano. Spiace che chi ha governato le istituzioni a tutti i livelli, negli anni passati, non se ne sia accorto. L’azienda, con ripetute iniezioni di denaro statale, è stata trattata come un’azienda pubblica, senza comprarla davvero. Sono state attuate politiche sbagliate verso questa azienda che non vede più in questo Paese un luogo dove investire. Pagheremo cassa integrazione per un’azienda che andrà a produrre all’estero, dove è più basso il costo del lavoro.
Oggi è arrivato il momento di guardare Fiat non più come un’azienda italiana, ma come una multinazionale, senza occhi di riguardo economico e di affezione.
Oggi dobbiamo pensare a uno spazio che probabilmente verrà lasciato vuoto. A Torino ci sono competenze nel creare, nel produrre e nell’inventare. Mettiamoci a disposizione di chi vuole venire a investire: chiamiamo altre case automobilistiche e, anziché dare soldi per la cassa integrazione, proponiamo incentivi produttivi. Le Istituzioni lavorino in questo senso per salvare un indotto che ancora può dare tanto e che, diversamente, sarebbe destinato a morire.

Paolo Greco Lucchina (NCD): Il Sindaco affronta la questioni con riferimento alla pluralità di vocazioni della città. Ho più volte ricordato come la principale resti quella industriale.
L’attenzione delle Istituzioni si è concentrata sui posti di lavoro e sulla competitività, ma il tema da dibattere deve essere la bassa produttività di questa industria italiana, la mancanza di modelli esportabili ad alto valore aggiunto, determinato anche da una cronica inerzia e incapacità di creare politiche di sviluppo economico. Marchionne ed Elkann hanno deciso di organizzare la loro azienda al meglio. Perché un’azienda resti sul territorio devono esserci le condizioni, ma nei progetti strategici di questa città, chi l’ha preceduta ha escluso l’industria, non creando condizioni ambientali, territoriali, infrastrutturali.
Noi ci salviamo grazie a quelle imprese che oggi, nel nostro territorio, producono per altre case automobilistiche.

Michele Paolino (PD): Siamo di fronte a una multinazionale che, a fronte di una sede legale e fiscale all’estero, ha il socio di maggioranza a Torino. Sarei più preoccupato se fosse avvenuto il contrario. La nostra preoccupazione deve essere rivolta alle migliaia di lavoratori in questo territorio e in altre zone d’Italia. Dobbiamo occuparci di come costruire sul territorio di Torino un distretto dell’auto. Da sempre ragioniamo su un solo produttore, ma non è così che si mantengono i livelli produttivi e di competizione. Dobbiamo preoccuparci di cosa succede della parte industriale di questa azienda e del sistema produttivo nel suo insieme.
A Fiat dobbiamo chiedere investimenti sulla progettazione, dobbiamo chiedere che a Torino resti la testa di FCA, che indirizzi il mercato, che vengano realizzati nell’area torinese i motori. Dobbiamo chiedere nuovi modelli per essere competitivi sul merca,to dando così spinta al sistema produttivo torinese che consenta anche di riassorbire la cassa integrazione.
Abbiamo in testa un modello di città con più vocazioni dove maggiori servizi e una forte offerta culturale garantiscano attrattività per chi voglia aprire nuovi centri di ricerca e di produzione.
Tutta la maggioranza ha deciso di proporre di costituire una Commissione speciale sul distretto dell’auto che entro la fine di aprile offra alla città un tavolo istituzionale con le associazioni di categoria, sindacati, e tutti gli interlocutori possibili, compreso Governo e Parlamento, perchè si possa dar vita alla costruzione di un piano industriale che permetta a Torino di restare la città dell’auto e non più la città della Fiat.

Andrea Tronzano (Forza Italia): Questa Amministrazione comunale non è in grado di chiedere niente alla Fiat. Questa è una Città che non è in grado nemmeno di riformare la Tares o la Tarsu. Invece, invito il Sindaco a rivolgersi al Governo nazionale, a Letta e ai suoi ministri, per dire loro che Torino ha fame e sta vivendo una situazione drammatica. Torino ormai non interessa agli industriali e senza una reale e concreta politica industriale è destinata a soccombere.
Il sistema manifatturiero torinese è stato dimenticato dalla politica negli ultimi 20 anni. Ci sono state soltanto imposizioni fiscali (come l’Irap, che non consente assunzioni nelle aziende) e i costi dell’energia sono aumentati. Lei invece, caro Sindaco, può incidere sulle scelte nazionali. Occorre ridurre il costo del lavoro, investire sulle grandi vie di comunicazione, innovare la giustizia per renderla più celere (specie quella civile).
Mi auguro che il salone dell’automotive si tenga a Torino, in linea con la nostra storia industriale. E auspico che lo stabilimento di Mirafiori continui a dare lavoro, anche a coloro che oggi sono in cassa integrazione.

Luca Cassiani (PD): Quanto è avvenuto in Fiat è legittimo, ma non è ineluttabile. La Fiat ha investito all’estero, in Polonia e in Serbia, e non a Torino. Questo per gli alti costi del lavoro, in prima battuta. Lo dimostra anche quanto accaduto per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco. Lì sono stati concessi sgravi fiscali a fronte degli investimenti fatti.
Occorre prendere atto che il nostro territorio non è più competitivo. E va messa in campo una politica industriale in grado di attirare investimenti. Condivido le posizioni espresse dall’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia: ha parlato in modo chiaro della vocazione industriale della città, delle caratteristiche e peculiarità del nostro sistema manifatturiero. Ed è su questo che occorre ripartire, facendo leva sui nostri punti forti aiutati da un’incisiva politica industriale, valorizzando così l’indotto.

Andrea Araldi (PD): Saremmo stati contenti di avere le sedi (fiscale e legale) di FCA a Torino, ma si tratta di un tema globale comune a tutte le multinazionali: sono scelte legate soprattutto alla questione del “dumping fiscale e societario”. E con un’Unione Europea più forte si potrebbero fronteggiare le multinazionali del mondo con maggiore incisività.
Ci sono problemi di fondo: vent’anni di mancata politica industriale e un depauperamento della nostra industria. E dobbiamo convivere con i timori occupazionali che ne derivano. Gli sviluppi futuri dipenderanno in larga parte dalle dinamiche mondiali. Ma la nostra città ha la possibilità di svilupparsi con la Fiat, e non soltanto.
Condivido la proposta di una tavolo tra gli enti locali, le associazioni di categoria e i sindacati, per un argomento vitale, da affrontare senza pregiudizi.

Ferdinando Berthier (Torino Libera): Il dibattito di oggi mi ricorda la trasmissione televisiva che cominciava con “fiato alle trombe Turchetti”: belle parole, belle considerazioni. Vorrei però sottolineare come, in questa fase di esportazione dell’azienda più importante del territorio, il Sindaco Fassino non abbia troppe responsabilità. Quando Marchionne ha rifiutato il confronto con il Consiglio comunale di Torino ha fatto uno sgarbo non tanto a noi consiglieri, ma a tutta la città, che purtroppo non conta nulla in tutta questa operazione cominciata più di due anni fa e che, certo non ancora terminata, non può che peggiorare. E l’indotto, con l’apertura del mercato all’estero, non ha avuto alcun vantaggio: anzi, molte aziende hanno chiuso o stanno per chiudere. Torino ormai può essere solo più la capitale dell’auto a pedali. Sede legale ad Amsterdam e sede fiscale a Londra, guarda caso fuori dall’Euro, non sono solo una questione di costi: la classe operaia non specializzata ne pagherà le conseguenze più pesanti perché non ha e non troverà più lavoro.

Marco Grimaldi (SEL): Dai tempi di Fabbrica Italia chiediamo di deporre le armi di distrazione di massa utili a non parlare di politica industriale, investimenti, ricadute occupazionali, economiche e sociali per questo Paese. Non credevamo alle parole di Marchionne allora, non ci crediamo oggi, perché continua a non esserci alcun progetto industriale presentato alle Istituzioni. Vedo un vuoto industriale che non è rappresentato solo dai 1.500 operai che oggi ancora entrano a Mirafiori, ma da tutto quello che c’è fuori. Un polo del lusso appena abbozzato non può bastare a rassicurami.
Su Mirafiori abbiamo fatto un investimento importante per insediare la prima cittadella della mobilità sostenibile con fondi pubblici, chiedendo al Politecnico di fare a sua volta un investimento sul polo del design. Ma in questi cinque anni Marchionne non si è presentato una sola volta nel cda di Torino Nuova Economia e il Politecnico, oggi, ci dice che il tempo è scaduto e che è meglio far tornare il design ad Architettura, perché a Mirafiori c’è il deserto.
O la cittadella della mobilità sostenibile (con Fiat o senza) è l’oggetto di discussione o la commissione straordinaria sulle politiche industriali dell’automotive non servirà a niente. Se siamo convinti che gli investimenti si faranno, dov’è il miliardo e mezzo di euro previsto per Fabbrica Italia? Spero a auspico che la divisione fra ottimisti e pessimisti finisca. Il compito degli amministratori è altro: con Regione e Governo dobbiamo chiedere conto degli investimenti non fatti e di quello che sarà il futuro industriale di questo Paese.

Chiara Appendino (5 Stelle): Sono anni che Fiat racconta, come in un film a puntate, la bella storia della politica protagonista e generosa investitrice. Dal 2010 con la presentazione di Fabbrica Italia e il suo grande piano industriale quinquennale. È bastato poco tempo per capire quanto fosse poco credibile. Nel 2013 con la fusione di Fiat e Chrysler, nuova puntata in cui il sindaco dichiara la necessità di fidarsi di Fiat proprio mentre Marchionne faceva uscire il gruppo da Confindustria, dichiarando la sua mancanza di fiducia nel sistema produttivo del nostro Paese. Oggi arriva il colpo di scena finale con lo spostamento delle sede legale e di quella fiscale: non raccontateci che non cambia nulla per Torino. La realtà è quella di un pezzo di economia che lascia l’Italia, dando qualche giovamento ai suoi azionisti, ma rendendo più povera la nostra città. Adesso i nostri concittadini non vogliono finte rassicurazioni e vogliono sapere quale futuro si prospetta. Il sindaco ha il dovere di interloquire con il management della Fiat per avere informazioni precise su cosa ne sarà di Mirafiori, quando partiranno le nuove produzioni, su quali siano, insomma, le intenzioni di Fiat sul futuro della nostra città.

Vittorio Bertola (5 Stelle): Non me la prendo con Marchionne, che fa gli interessi dei suoi azionisti, ma forse dovremmo farci ridare i miliardi di denaro pubblico che la Fiat ha ricevuto in questi anni. Invece, il Sindaco ha parlato da “pr” della Fiat/Fca, magnificandone le strategie e criticando lo Stato per non aver creato le condizioni per la sua permanenza in Italia. Eppure, il Sindaco ha fatto parte integrante della classe politica nazionale, è stato anche Ministro: direi che ne porta qualche responsabilità. Vorrei avesse almeno la dignità di non giustificare qualunque cosa dica o faccia la Fiat, che per decenni ha avuto in questa città un trattamento di favore, permeandone profondamente il sistema politico. Sarebbe triste perdere l’azienda e mantenere gli ossequi della politica nei suoi confronti. Almeno speriamo che la città si liberi dai condizionamenti che l’azienda le ha imposto finora, ad esempio sui temi della mobilità urbana.

Marco Muzzarelli (PD): Se Torino non deve essere alle dipendenze di Fiat, certo non può prescindere da essa. Dobbiamo chiedere all’azienda di mantenere gli impegni presi su Mirafiori, ma anche cercare di costruire con la stessa Fiat un nuovo futuro manifatturiero della città. Non importa dove sia la testa dell’azienda: a noi interessa il cervello aziendale, affinché la nostra città sia il luogo dell’innovazione e della ricerca. Ragioniamo sulla globalizzazione dei diritti e della qualità del lavoro. Pensiamo al lavoro e ai lavoratori, non solo ai “posti di lavoro”. Un’azienda italiana che si espanda all’estero non può competere sulla produzione di massa. deve farlo sul terreno della qualità.

Silvio Viale (PD): La decisione assunta da Fiat/Chrysler non può essere per noi una sorpresa: chiunque avrebbe fatto una scelta analoga. Qui ognuno dice la sua su Mirafiori, sull’Italia o sull’Europa, ma la Fiat in quanto tale era una società virtualmente morta. Credo che se alcuni consiglieri intervenuti oggi fossero consiglieri comunali di Detroit parlerebbero di una Chrysler svenduta a Torino. Invece, oggi qualunque impresa deve puntare ad allargarsi. È inutile discutere delle colpe del Governo nazionale o della responsabilità delle Amministrazioni locali:, deve avvenire qualcosa di concreto per inserire FCA nel sistema Paese.
Noi possiamo promuovere un confronto tra il Consiglio e i sindacati confederali a livello nazionale, con chi ha facoltà di interloquire direttamente con azienda e governo. Un tempo sognavamo una Torino che si emancipasse dalla Fiat: sta accadendo forse nel modo peggiore, ma pur se la situazione è difficile, non si profila una situazione disastrosa.

Ha quindi concluso il dibattito il Sindaco Piero Fassino: Se pensate si possa avviare una discussione pubblica con Fiat con questi toni da tribunale, vi illudete: non parlerete con nessuno. Invece io mi batto perché la Fiat non chiuda e non vada via di qui: la “cantilena” la fanno coloro che da anni preconizzano che la Fiat vorrebbe andarsene e sperano che ciò avvenga per poter dire che l’avevano detto.
Bisogna guardare in faccia la realtà: senza accordo con Chrysler, Fiat avrebbe chiuso o comunque avrebbe vissuto vita stentata. Per questo non ho “nostalgia”. Dal 2004 al 2008, con una crisi crescente, Fiat era sull’orlo della chiusura. Nel nuovo grande Gruppo, invece, Fiat sarà un produttore globale in grado di competere su tutti i mercati. Questa era l’unica strada percorribile, piaccia non piaccia.
Naturalmente, anche Fiat Chrysler soffre della crisi che investe il mercato europeo. E lanciare nuovi modelli di auto significherebbe bruciarli: per questo tutti hanno preferito puntare su re-styling di modelli già esistenti. E la crisi riguarda tutti, non solo la Fiat. Per fortuna reggono mercato americano e asiatico. La sfida è rimettere in moto il mercato europeo ed essere pronti per quel momento.
Oggi Marchionne ha incontrato i sindacati di Chrysler, preoccupati per lo spot del marchio italiano Maserati al Super Bowl, e si è impegnato a mantenere Chrysler americana, ma ha ribadito la necessità di preservare la natura italiana dei marchi Fiat. Questo perché il nuovo Gruppo ha interesse a mantenere una pluralità di marchi.
Concludendo, noi ci batteremo perché FCA onori gli impegni presi e confermi gli investimenti annunciati in questi mesi, a partire dal rilancio di Mirafiori, senza nostalgia per il passato, ma confermando il ruolo strategico di Torino e dell’Italia nel settore automobilistico e nel gruppo Fiat Chrysler.

(Ufficio stampa Consiglio Comunale)


Pubblicato il 3 Febbraio 2014

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