Lunedì 13 settembre 1999
Martedì 14 settembre 1999
ore 17
- Conservatorio Giuseppe Verdi

Evgeni Koroliov - pianoforte

IL PROGRAMMA

Johann Sebastian Bach
(1685-1750)
Il Clavicembalo ben temperato
Libro II

(lunedì 13 settembre, ore 17)

1. do magg. BWV 870
2. do min. BWV 871
3. do diesis magg. BWV 872
4. do diesis min. BWV 873
5. re magg. BWV 874
6. re min. BWV 875
7. mi bemolle magg. BWV 876
8. mi bemolle min. (re diesis min.) BWV 877
9. mi magg. BWV 878
10. mi min. BWV 879
11. fa magg. BWV 880
12. fa min. BWV 881

(martedì 14 settembre, ore 17)

13. fa diesis magg. BWV 882
14. fa diesis min. BWV 883
15. sol magg. BWV 884
16. sol min. BWV 885
17. la bemolle magg. BWV 886
18. sol diesis min. BWV 887
19. la magg. BWV 888
20. la min. BWV 889
21. si bemolle magg. BWV 890
22. si bemolle min. BWV 891
23. si magg. BWV 892
24. si min. BWV 893

 

"Se potessi portare una sola opera su un'isola deserta sceglierei senz'altro il Bach di Evgeni Koroliov, perché vorrei ascoltarlo, assetato e affamato, fino all'ultimo respiro".
Questa affermazione di György Ligeti chiarisce efficacemente il particolare legame di Evgeni Koroliov con la letteratura bachiana per tastiera, che lo portò a tenere a Mosca, all'età di 17 anni, il primo recital con l'intero ciclo del Clavicembalo ben temperato. Nato a Mosca nel 1949, Koroliov ha studiato, tra gli altri, con Anna Artobolevskaya, Heinrich Neuhaus, Maria Judina e Lev Oborin e insegnato al Conservatorio Cajkovskij dalla fine dei suoi studi fino al 1976, anno in cui raggiunse la moglie in Jugoslavia. Le vittorie a numerosi concorsi internazionali - Premio Bach, Lipsia 1968 e Toronto 1985; Premio Van Cliburn, 1973; Gran Prix Clara Haskil, 1977 - gli hanno dato l'opportunità di tenere concerti in due continenti e di essere nominato professore presso la Scuola superiore di Musica di Amburgo. Festival di Ludwigsburg e di Montreux, Internationale Bachtage di Stoccarda, Festival Glenn Gould di Groningen, Settembre Musica di Torino, Gewandhaus di Lipsia, Konzerthaus di Berlino sono le principali tappe di una carriera che l'ha visto spesso al fianco di artisti come Natalia Gutman e Mischa Maisky. Ha inciso Bach, Cajkovskij, Prokof'ev e Schubert per l'etichetta Tacet, mentre la Bachakademie di Stoccarda lo ha invitato a partecipare alla registrazione in cd di tutte le opere di Bach che si concluderà nel 2000, in occasione del 250° anniversario della morte del compositore, a cura della Haessler Classics.

Il Clavicembalo ben temperato deve il suo titolo (per la verità tradotto in modo poco opportuno, dal momento che il termine tedesco usato, Klavier, significa semplicemente "tastiera") al fatto che vuol essere un'esemplificazione di ciò che si può fare su una tastiera servendosi appunto del temperamento equabile.
Da secoli il problema dei rapporti matematici fra i suoni di una scala compresi nell'ambito dell'ottava aveva affascinato i teorici. Con Zarlino, nel '500, si era imposta la "scala naturale", che derivava i suoi rapporti dal fenomeno fisico-acustico dei suoni armonici. La scala zarliniana, che prevedeva due tipi di tono, uno grande e uno piccolo, poneva però non pochi problemi per gli strumenti ad accordatura fissa, come il clavicembalo o il clavicordo, i quali per adeguarvisi, avrebbero dovuto impiegare un numero esageratamente elevato di tasti per ogni ottava.
Dopo vari esperimenti si giunse, fra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII, per merito di Andreas Werkmeister e di Johann Georg Neidhart, alla formulazione di una scala di compromesso, chiamata "scala temperata", che divideva l'ottava in dodici parti uguali (semitoni), eliminando le differenze fra diesis e bemolli. La teoria del "temperamento", favorita dal fatto di rappresentare una singolare convergenza fra scientismo ed empirismo, che dominavano il pensiero filosofico dell'epoca, attrasse immediatamente vari compositori, come Johann Pachelbel o Johann Mattheson.
Con la raccolta di preludi e fughe in tutte le tonalità maggiori e minori intitolata Il Clavicembalo ben temperato, Bach superò di gran lunga, sul piano artistico, i precedenti, erigendo alla nuova scala un monumento destinato a non essere eguagliato. L'opera è giunta fino a noi divisa in due libri: il Primo, comprendente ventiquattro coppie di preludi e fughe (BWV 846-869), reca la data del 1722; il Secondo libro, datato 1744, riunisce composizioni dagli anni Venti agli anni Quaranta, replicando, a ventidue anni di distanza, lo schema di preludi e fughe in tutte le tonalità già sperimentato con fortuna (BWV 870-893).
Fedele alla sua mentalità razionalistica e compendiaria, per vocazione esaustiva, il Kantor di Lipsia volle dimostrare, non lasciando nulla di inesplorato, tutte le possibilità della nuova scala, servendosi delle due forme che più frequentemente venivano impiegate e abbinate nella letteratura cembalo-organistica tedesca del suo tempo: il preludio, come massima espressione di libertà compositiva, e la fuga, la più rigorosa forma di contrappunto imitativo del sistema tonale.
Il Primo libro presenta sul frontespizio, oltre al titolo, la destinazione dell'opera: "per utilità e uso della gioventù musicale avida di apprendere" (e dunque a scopo didattico), "e anche a ricreazione di coloro che sono già provetti in questo studio". L'assenza di specificazioni nel Secondo libro ha condotto gli studiosi a prospettare varie ipotesi sulle ragioni che avrebbero indotto Bach a comporre questa nuova raccolta. Alfredo Casella, autore di un'importante e attenta revisione commentata del Clavicembalo ben temperato, propende per una ragione eminentemente pratica: riunire in un unico libro una serie di preludi e fughe già composti in tempi diversi. Ma Alberto Basso, nella sua magistrale monografia bachiana (Frau Musika. La vita e le opere di J.S. Bach, Torino, EDT 1979-1983), propone, suggestivamente, la ricerca di una spiegazione "nel mondo delle allegorie, dei simboli, degli emblemata, di cui tutta la cultura barocca tedesca è intrisa".
Per lungo tempo si è creduto che l'autografo del Secondo libro fosse andato perduto, e le edizioni moderne dell'opera si basavano su copie di Johann Rudolph Kirnberger e di Johann Christoph Altnickol, allievo e genero di Bach. Oggi è noto anche l'autografo; passato probabilmente, alla morte di Bach, al figlio Wilhelm Friedemann, fu poi affidato a Muzio Clementi, che nel 1820 ne pubblicò due fughe, nella sua Introduzione all'arte di suonare il pianoforte. Alla morte di Clementi, il manoscritto passò nelle mani della famiglia inglese degli Emett. Visto da Mendelsohn durante una sua visita in Inghilterra nel 1842, fu poi creduto perduto, ma risulta ora in possesso del British Museum. Esso fornisce alcune indicazioni preziose, di agogica, diteggiatura, dinamica e di legati e staccati. Ma di alcuni preludi e fughe che lo compongono esistono anche versioni più antiche.
Rispetto al Primo libro, i preludi e le fughe del Secondo mostrano una concezione più elaborata. I preludi sono di dimensioni più ampie e si presentano spesso bipartiti, o addirittura con una "ripresa" conclusiva più o meno lunga: evidente il rapporto con il genere della suite, o con la sonata italiana del grande contemporaneo di Bach, Domenico Scarlatti. Quanto alle fughe, nonostante spesso siano solo a tre voci (nel Primo libro si raggiungevano le cinque voci), sono spesso più cerebrali e complesse rispetto a quelle del Primo libro, rivelando nell'autore il desiderio di esaltare l'ars combinatoria piuttosto che privilegiare la funzionalità didattica. Il tutto appare sintomo di una tendenza all'astrazione (destinata a culminare nell'Offerta musicale e nell'incompiuta Arte della fuga), cui, secondo Basso, non sono estranee "le istanze della cultura esoterica".
Come, e più ancora di quelli del Primo libro, i preludi del Secondo rivelano diversi stili e il Preludio in la minore contiene addirittura un contrappunto doppio su una linea cromatica, ma la fantasia di Bach trionfa soprattutto nelle fughe. Si noti l'uso degli "stretti", in cui i soggetti si possono combinare in vari modi, con varianti o cromatismi. In alcune fughe è presente un controsoggetto assai incisivo. A volte i controsoggetti sono più d'uno, e allora Bach si serve con grande abilità della tecnica del contrappunto doppio, così come nella combinazione dei vari soggetti nelle fughe doppie e triple. Non mancano gli artifici di origine fiamminga, come l'uso del soggetto "per aumentazione" o "per diminuizione" dei valori ritmici, o l'impiego del soggetto rovesciato "a specchio". Particolarmente intenso l'uso del cromatismo, fonte di pathos fin dall'antichità classica. Ma non mancano fughe in cui i temi richiamano i contemporanei ritmi di danza della suite.
Disposte in successione crescente di semitono (do maggiore, do minore, do diesis maggiore, do diesis minore, re maggiore ecc.), le coppie di preludi e fughe si snodano all'insegna di una varietà sorprendente. Il Preludio n. 1 in do maggiore, ad esempio, richiama, nella sua festosità, l'allemanda di una suite. Caratteristica invece la forma del Preludio n. 3 in do diesis maggiore, diviso in una prima parte di carattere armonico (come il celebre Preludio n. 1 del Primo libro), e in una seconda parte che è una sorte di "fughetta" a tre voci. Una mesta, pensosa cantabilità contraddistingue il Preludio n. 4 in do diesis minore, che ricorda, per intensità di concezione, il "mistico" preludio nella tonalità corrispondente del Primo libro, mentre la Fuga si distacca da quella chiesastica grave e complessa del Primo libro, adottando un ritmo di giga, che però conserva, forse suggerito dalla tonalità, un pathos tragico, soprattutto in un nuovo soggetto, cromatico, protagonista della seconda sezione. (È appena il caso di ricordare che Bach, il cui pensiero musicale si riconnette in parte alla barocca "dottrina degli affetti", tende ad attribuire alle singole tonalità un significato particolare.) Alla fanfara iniziale di una suite orchestrale fa pensare il Preludio n. 5 in re maggiore, nella forma "con ripresa", che presenta all'inizio della seconda parte il tema rovesciato alla dominante. La successiva Fuga, nello stile "convenzionale cattolico" secondo Busoni, è attribuita da Casella al periodo (1733-38) della Messa in si minore (cattolica, appunto), nel quale Bach trascriveva i manoscritti dei grandi vocalisti di scuola veneziana (Lotti, Caldara).
Tipiche sonorità di Vivaldi, la cui opera Bach aveva studiato fin dall'epoca Weimar (1708-17), si trovano nel Preludio n. 6 in re minore. "Pastorale" viene talvolta definito il Preludio n. 7 in mi bemolle maggiore, in tempo di 9/8, improntato a una quieta solennità, destinata ad accentuarsi nella festante Fuga. Il Preludio e la Fuga n. 8 in re diesis minore (tonalità enarmonica di mi bemolle), meritano di essere confrontati con quelli corrispondenti del Primo libro. Se il Preludio di quello era un magnifico recitativo strumentale, questo appare brano più intellettuale, riflessivo e malinconico, mentre notevoli affinità con quella del Primo libro presenta la Fuga: austera e meditativa, essa procede da un'iniziale atmosfera enigmaticamente incolore a una grandiosa chiusa, in modo maggiore, preceduta da artefici, come quello di combinare il tema con la sua inversione speculare.
Il Preludio n. 9 in mi maggiore, bipartito, è degno di nota per la presenza di due temi, ed è seguito da una Fuga maestosamente organistica. Ritmi puntati contraddistinguono il Preludio n. 13 in fa diesis maggiore, e si ripresentano anche nella Fuga assimilata dal Tovey a un tempo di gavotta; vi domina la ricorrenza di un assertivo tricordo ascendente che, curiosamente, verrà ripreso da Bruckner nel suo Te Deum, alle parole "Et in te, Domine, speravi". Nella doppia Fuga n. 14, in fa diesis minore, il secondo soggetto appare come una chiara derivazione dal madrigale italiano. Toccatistico e probabilmente giovanile il Preludio n. 15 in sol maggiore. Solenne invece, nei suoi ritmi puntati "alla francese", il Preludio n. 16 in sol minore, e imponente la Fuga, caratterizzata da un soggetto energico, ma anche da un ben rilevato controsoggetto, dal quale Bach ricava interessanti "divertimenti".
Inquieto e patetico il Preludio n. 17 in la bemolle, in cui compaiono armonie dissonanti audaci e presaghe del futuro. La doppia Fuga n. 18 in sol diesis minore, tesa verso l'astrazione logica, fa già presentire quell'omaggio al razionalismo che comparirà nella Fuga della Sonata op. 110 di Beethoven. Quanto alla Fuga n. 22 in si bemolle minore, essa costituisce una delle più complesse architetture polifoniche di Bach, che qui gioca soprattutto sulle combinazioni fra il soggetto e le sue inversioni.
Il gusto bachiano per gli effetti spettacolari di un gioco logico, che compaiono soprattutto nelle fughe (e, nel Clavicembalo ben temperato, più nel Secondo libro che nel Primo), ha indotto lo studioso americano Douglas R. Hofstadter, a cogliere affinità tra i modi di procedere di Bach, del matematico Kurt Gödel e dell'incisore novecentesco di figure geometriche "impossibili" Maurits Escher (nel volume Gödel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante). Ma per restare a epoche precedenti, possiamo anche accostare, in tal senso, l'arte di Bach ad alcuni allucinati giochi pittorichi di Bruegel e, in genere, a tutta la mentalità "gotica" della civiltà franco-fiamminga del Rinascimento.
Tuttavia, razionalità ed espressività, nella musica di Bach, non solo non si escludono, ma appaiono anzi complementari: due modalità di percezione e di reazione al reale che rinviano al senso del divino, nel quale si conciliano le apparenti opposizioni. In questa luce, forse in nessun'opera come nel Clavicembalo ben temperato, le "due immagini" di Bach, quella sacra e quella profana (che, anni fa, sono state contrapposte innescando vivaci dispute musicologiche), trovano una così felice convergenza.

Giulia Giachin


 

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